Rieccomi dopo questa “pausa di riflessione”, che mi è servita per pensare a come organizzare un diverso calendario di pubblicazioni, cosa di cui vi ho parlato nel post precedente. Proprio per mantenere una certa assiduità e un peso specifico adeguato negli articoli, mi è venuta l’idea di usare anche dei miei appunti di Antropologia culturale per inaugurare un nuovo filone… spero gradito!

L’Antropologia è una materia davvero affascinante perché riguarda noi e i nostri sistemi sociali e culturali, che assumono una loro coerenza anche simbolica. Gli studi antropologici possono essere svolti anche dietro casa nostra, non è necessario andare in posti lontani. Anzi, penso che studiare i comportamenti antropologici di certi politici nostrani, celebri ecclesiastici, o anche dei membri della nostra famiglia possa diventare materia di intenso studio.

Cominciamo però con la popolazione degli Irochesi, presso cui visse uno dei padri nobili dell’Antropologia, Lewis H. Morgan (1818-1881). Morgan studiò in modo particolare i loro sistemi di classificazione familiare, com’è ovvio alla luce delle convinzioni tipiche della sua epoca, l’Ottocento, oggi sorpassate o rivisitate. In questa sede, però, non vi parlerò del sistema di consanguineità e affinità di Morgan, bensì della “società delle facce false“. Se la si menzionasse a bruciapelo a un ascoltatore, senza offrire alcun rapporto con i nativi americani, egli penserebbe a qualche club dove i componenti siano impegnati in ipocrite attività mondane o a una consorteria politica ugualmente fasulla. L’evocativo nome di Società delle Facce False riguarda invece una delle principali società di medicina o “società sciamaniche” degli Irochesi dove si utilizzavano maschere per le cerimonie di guarigione.


Il tema della “maschera“, tra l’altro, è di estremo interesse e fascino, anche a livello istintivo. Incominciando la nostra indagine dalla parola stessa, secondo il vocabolario Treccani il termine deriva da una voce preindoeuropea, masca, per indicare «fuliggine, fantasma nero», ovvero un «finto volto, di cartapesta, plastica, legno o altro materiale, riproducente lineamenti umani, animali o del tutto immaginarie generalmente fornito di fori per gli occhi e la bocca.» La maschera viene usata nei rituali magico-propiziatori di evocazione o guarigione, ma anche in guerra per spaventare i nemici o nelle rappresentazioni teatrali.

Originariamente stanziati tra gli attuali Stati Uniti e il Canada, i fieri Irochesi si riferivano a loro stessi con il nome di Haudenosaunee ovvero Popolo della Lunga Casa. Questa definizione si rifaceva alla tipica abitazione irochese consistente in una costruzione di legno la cui lunghezza poteva raggiungere fino a sessanta metri ed era in grado di ospitare diverse famiglie. Come capirete meglio più avanti, questa dimora ha una particolare importanza nell’ambito delle nostre “facce false”.

Le maschere rappresentavano spiriti della foresta e venivano scolpite nel legno di un albero vivo, in base ai sogni in cui si erano rivelati determinati spiriti. Si trattava di oggetti cui si attribuivano grandi e misteriosi poteri, tanto è vero che gli Irochesi credevano che esse dovessero essere trattate con il massimo rispetto per non scatenare il pericolo racchiuso nelle effigi. Le regole rituali prescritte per la loro cura erano codificate con attenzione. Esse erano periodicamente unte con olio di girasole e veniva loro offerto del tabacco e del cibo; in loro presenza si cantava e si facevano invocazioni. Curiosamente, ci si rivolgeva loro con l’appellativo di “nonni”. 
Le maschere venivano impiegate nelle cerimonie per curare determinati ammalati che ne avessero fatto richiesta; in questo modo si cacciavano gli spiriti maligni e si purificava il malato. Qui accanto potete vedere, per l’appunto,  alcune maschere della Società delle Facce False irochesi, intagliate nel legno e intessute in foglia di mais, sospese agli alberi della foresta.

La Società teneva la sua assemblea principale in occasione della Cerimonia di Metà Inverno, durante la quale veniva eseguita la più importante cerimonia di tipo pubblico. I membri eseguivano non solo rituali per curare le malattie, ma anche per placare i tornado e i venti impetuosi o contrastare la stregoneria, allo scopo di cacciare le potenze negative del villaggio. Altri riti erano connessi al sogno avuto da un paziente, o quando un veggente aveva consigliato proprio questo tipo di cura rituale.

L’equipaggiamento consisteva nelle maschere, in una canna di legno, un sonaglio composto dal guscio di una tartaruga dove erano posti alcuni semi o sassolini, un palo, un canestro per il tabacco e poco altro. I membri erano coloro che erano stati curati durante i rituali della Società, oppure persone che avevano sognato di far parte di essa. Potevano partecipare sia uomini sia donne, sebbene le donne non potessero indossare le maschere. Coloro cui era consentito farlo erano dotati dei poteri sciamanici di maneggiare carboni ardenti senza bruciarsi; alle volte essi mettevano le mani nelle ceneri ardenti e le strofinavano sul corpo dell’ammalato scopo terapeutico.

William N. Fenton riporta nella sua opera The False Faces of the Iroquois del 1987 alcune invocazioni in lingua seneca durante l’estate del 1940 presso la Coldspring Longhouse, registrate dalla testimonianza di Henry Redeye. In una di queste vi era un’invocazione al tabacco che ne identificava la funzione di tramite, grazie a cui gli intervenuti erano in grado di mettersi in contatto con le potenze spirituali. Il fumo del tabacco, infatti, costituiva la forma più diffusa di offerta perché si pensava trasportasse le invocazioni e le richieste degli uomini fino al cospetto delle divinità. L’invocazione si rivolgeva dapprima alle Facce False riunite nella capanna delle cerimonie, dopo aver percorso il villaggio di casa in casa. Gli uomini mascherati erano comunque indicati come distinti dagli spiriti che rappresentavano; nessuno spirito esterno, cioè, si incarnava in loro possedendoli ma si trattava piuttosto di una sorta di “sacra rappresentazione”.

Riunione della Società delle Facce False nella capanna delle cerimonie.

Un’altra tradizione trascritta dall’autore negli anni ’30 nella riserva di Tonawanda racconta in forma leggendaria l’origine della cerimonia di primavera in cui le Facce False si recavano di casa in casa per scacciare le influenze maligne. In esso compare lo spirito delle maschere, il capo di tutte le Facce False che abita ai confini della terra e che porta il difficilissimo e impronunciabile nome (almeno per noi!) di Shagodyowéhgo’wa’h

Alcuni anziani irochesi avevano raccontato all’autore che vi era stata sempre la consuetudine della coabitazione di diverse famiglie in una sola casa. In quel tempo vi erano state quattro famiglie che abitavano in una sola “lunga casa” con i loro figli. Un componente si era ammalato e ben presto tutti gli abitanti della casa si erano ammalati anche loro. Una notte, qualcuno aveva scorto una presenza che scendeva dal buco praticato sul tetto per far uscire il fumo. Era colui che causava le malattie, ovvero lo Spirito della Malattia Shagodyowéhgo’wa’h, il grande senza volto-il-portatore-di-morte. Gli ammalati si erano celati la faccia con le coperte per non vederlo. Shagodyowéhgo’wa’h era andato attorno cercando di tirar via le coperte e fissare il volto degli ammalati senza riuscirci. Essi avevano sentito improvvisamente un gran frastuono esterno, cioè il rumore della Grande Faccia Falsa di legno che scuoteva il suo sonaglio e gridava in modo terrificante. Lo Spirito della Malattia si era impaurito e aveva cercato una via d’uscita dalla casa, ma la porta era bloccata dalla Grande Faccia Falsa. Un’altra Faccia Falsa lo aveva inseguito e finalmente egli era scappato da dove era entrato, cioè dal foro per il fumo. Le Facce False avevano poi scacciato la malattia nella casa e tutti gli ammalati si erano rimessi in salute. 

In primavera, dunque, quando le persone iniziano ad ammalarsi con maggiore frequenza e le epidemie a diffondersi, presso gli Irochesi era cominciata l’abitudine di andare di casa in casa indossando le maschere. Si credeva infatti che lo Spirito della Malattia si aggirasse, indugiando nelle abitazioni e producendo malattie. Le Facce False quindi avevano il compito di spaventarlo e cacciarlo via.

A mio parere queste maschere rituali possono essere considerate alla stregua di opere d’arte per forza ed espressività anche raccapricciante, esattamente come le maschere africane che tanto ispirarono Pablo Picasso per la sua rivoluzione cubista. Qui sotto ve ne propongo un paio, tratte dal Granger Historical Picture Archives:

e un altro paio di maschere tratte da altrettanti musei: sulla sinistra una maschera attualmente presso il Museo Etnico, Berlino, sulla destra una maschera appartenente al Museo d’Israele, Gerusalemme
 

Se ancora non siete contenti e ne volete vedere altre ancora più deformi e spaventose, vi rimando al sito https://www.granger.com o ai numerosi siti web dove sono proposte maschere fabbricate e vendute ai giorni nostri secondo le antiche usanze. 

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Ebbene, che ne pensate delle facce false irochesi? Non trovate che la descrizione dello Spirito della Malattia che entra dal buco nel tetto sia degna di un racconto dell’orrore di Stephen King? 

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Fonti per il testo:

  • Riti e misteri degli Indiani d’America – edizione Utet
  • Antropologia culturale – I temi fondamentali – Raffaello Cortina editore


Fonti immagini:

  • Irochesi – sito http://www.indigenouspeople.net/iroquois.htm
  • Maschere della Società delle Facce False irochesi nella foresta – https://www.granger.com
  • Riunione della Società delle Facce False nella capanna delle cerimonie – web
  • Maschere irochesi –  https://www.granger.com