Il film Il giovane Karl Marx di Raoul Peck del 2018 si apre con la scena di una foresta. È un luogo immerso in una dimensione atemporale, attraversata com’è dai raggi del sole, che si posano sulle radure. Il silenzio è rotto soltanto dai canti degli uccelli, ma si tratta di una calma apparente. Da lì a poco, vediamo una mano che si allunga, esitando, a prendere un ramo caduto; la panoramica si allarga su un gruppo di contadini, che si curvano a raccogliere della legna dal terreno: sono uomini, donne, bambini anche piccolissimi. Sono poveri, anzi miserabili, vestiti come sono di veri e propri stracci. Si muovono in silenzio come gli animali del bosco, chinandosi nella raccolta, e ogni tanto sollevando la testa e guardandosi in giro per fiutare il pericolo.

E il pericolo arriva, sotto forma della polizia a cavallo armata di sciabole. A meno di non essere esperti in materia, non riusciamo a capire a chi appartengano quelle uniformi: la foresta è senza tempo, come ho detto, i miseri sono uguali a tutte le latitudini, e quella polizia che si scatena contro di loro è la personificazione del potere. I poveri lasciano cadere la loro legna, urlano terrorizzati, si disperdono in ogni direzione nel tentativo di mettersi in salvo, ma l’azione della polizia è inesorabile: si avventa contro di loro, li prende a sciabolate, li massacra senza pietà.

Mentre si consuma la carneficina, si ode una voce maschile fuori campo, che commenta in tono pacato: “Per raccogliere legna verde, bisogna strapparla con violenza dall’albero vivo. Al contrario, raccogliendo ramoscelli secchi non si rimuove niente del supporto originario poiché sono già separati da esso. Non offende la proprietà. Nonostante questa fondamentale differenza, voi chiamate entrambe le azioni furto, e le punite entrambe come furto. Esistono due generi di corruzione secondo Montesquieu. Il primo, quando il popolo non osserva le leggi. Il secondo, quando viene corrotto da esse. Voi le punite allo stesso modo, negando la differenza tra furto e raccolta, ma vi sbagliate a credere che sia nel vostro interesse. Il popolo vede la punizione, ma non vede il crimine. E, dal momento che non vede il crimine per il quale è punito, voi dovreste temerlo. Perché si vendicherà.” 
Non lo sappiamo ancora, ma queste profetiche parole sono state scritte da un giovane cronista della Gazzetta Renana: Karl Marx. La scelta di aprire con una scena di forte impatto, e al tempo stesso avulsa da qualsiasi connotazione temporale, ci permette di comprendere subito il filo conduttore del film. Per la precisione siamo nel 1843, come ci narra una brevissima didascalia d’ingresso. Dopo le guerre napoleoniche, l’Europa è stata ridisegnata dagli statisti e dai re del Congresso di Vienna, nel tentativo di trovare e preservare un equilibrio secondo i criteri di legittimità dei troni e delle dinastie, e assicurare un periodo duraturo di pace. L’intento non ha tenuto conto delle aspirazioni dei popoli all’autodeterminazione, come nelle zone tedesche (non si può ancora parlare di Germania, la cui unità arriverà, a pochi anni dalla nostra, nel 1870) o nella penisola italiana. L’Europa è ormai una polveriera pronta a deflagrare in quella che sarà conosciuta come “primavera dei popoli”, il 1848 (l’espressione “è successo un quarantotto” nasce da lì). Non si tratta di una questione puramente politica, ma anche di un nuovo tipo produzione: la rivoluzione industriale, iniziata a fine Settecento, ha soppiantato l’ordine mondiale, dando origine alla classe operaia.

Nel film, il giovane Karl è continuamente arrestato e messo in carcere per gli articoli che scrive. Anche a causa di questi articoli, la Gazzetta Renana è costretta a chiudere. Karl vive in modo stentato del suo lavoro di giornalista, che peraltro non viene pagato con regolarità, e lascia Colonia con la moglie Jenny, e la figlioletta malata, trasferendosi a Parigi. Egli scrive al suo editore Ruge: “Ero stanco dell’ipocrisia, della brutalità poliziesca e anche del nostro servilismo.” Tra l’altro Jenny è la figlia del barone von Westphalen, una donna coraggiosa, e forse un po’ incosciente, che ha abbandonato l’altolocata famiglia per amore di Karl. 

Friedrich Engels, invece, è il figlio di un imprenditore, e lavora malvolentieri come contabile presso la fabbrica tessile Emmen & Engels di Manchester, di cui il padre è comproprietario. Nella sua posizione, il giovane Friedrich riesce a vedere entrambi i mondi, quello degli imprenditori e quello degli operai, all’interno di una fabbrica. Rimane perciò colpito dal comportamento dell’operaia Mary Burns che chiede sia garantita la sicurezza sul lavoro dopo un incidente nel quale una compagna ha perso due dita. Mary per il suo gesto di protesta è stata licenziata in tronco, ed egli la cerca nei quartieri più poveri di Manchester dove vivono gli irlandesi, buscandosi anche un pugno in faccia da un amico della giovane. Friedrich s’innamora di Mary, ricambiato. 

Le esistenze di Karl e Friedrich sono destinate a intrecciarsi. I due uomini si incontrano a Parigi a casa di Ruge, l’editore degli Annali franco-tedeschi. Per la verità si sono già visti a Berlino, e non si sono piaciuti per nulla. Karl ritiene Friedrich il classico “figlio di papà” borioso e pieno di soldi, Friedrich considera Karl arrogante e maleducato. Anche nell’aspetto sono agli antipodi, come potete vedere nell’immagine qui a lato: Friedrich è longilineo, biondo e con gli occhi azzurri, con una barba ben curata, elegantemente vestito e con un’apparenza da damerino; Karl è una specie di orso con i capelli ricciuti eternamente scompigliati, burbero e spavaldo. 
Ma hanno già scritto articoli di rilievo, e l’uno ha letto quelli dell’altro, pur non confessandolo all’inizio del loro incontro. Friedrich ha proprio svolto uno studio degli operai di Manchester, descrivendo le loro miserabili condizioni di vita: «Questo lavoro compiuto in stanze basse, nelle quali gli operai respirano più vapore di carbone e polvere che ossigeno, e per lo più sin dall’età di sei anni, è destinato a toglier loro la forza e la gioia di vivere». L’amicizia tra i due giovani nasce come per incanto, e sarà l’inizio di un sodalizio politico e umano che durerà tutta la vita e che costituisce uno dei temi portanti del film, tra fughe dalla polizia, nottate passate a scrivere, e lunghe discussioni mentre giocano a scacchi, come potete vedere nella scena sottostante.

Il film ci presenta dunque gli anni cruciali di formazione nella vita e il pensiero di un filosofo, sociologo, giornalista e imprenditore che, piaccia o meno, rivoluzionò le categorie del pensiero ottocentesco, e quello del secolo a venire. Ha il pregio di non presentarlo in modo didascalico e di non farne un “santino” comunista, se mi perdonate il paradosso, e nemmeno di rappresentarlo in modo caricaturale (sarebbe bastato poco).

Ci presenta invece un Karl Marx inedito, nella sua piena giovinezza, rivoluzionario e, a tratti, passionale nel rapporto d’amore con la moglie, e nel ribollire di un mondo dove basta un articolo che contesta l’autorità per finire in carcere. Si tratta di un mondo dove le ingiustizie perpetrate ai danni nei più deboli sono palesi oltre che scandalose: è considerato normale che i bambini lavorino in fabbrica per turni lunghissimi e massacranti, che l’operaio sia legato alla macchina come da una catena, si venga esposti a incidenti e mutilazioni, e licenziati per dei nonnulla, non si abbia alcun genere di diritti; e contro cui lotta con tutte le sue forze in nome di un pensiero che vada oltre l’esercizio di una filosofia fine a se stessa. “Finora i filosofi non hanno fatto altri che interpretare il mondo intero; il punto è cambiarlo.” E, come dice la moglie: “Non c’è felicità senza rivolta. E spero di vedere il vecchio mondo crollare presto.” Particolare rilievo hanno i dibattiti e le assemblee, i confronti con ispiratori come Proudhon, gli scontri con Weitling della londinese Lega dei Giusti e i primi dissapori con l’anarchico Bakunin. 

Il giovane Karl Marx interpreta tutta la storia passata come quella di una lotta tra due classi: la borghesia e il proletariato, pensa che lo schiavo moderno sia il proletario e che la sua liberazione avrà un nome: comunismo. Non a caso il punto apicale del film è la redazione del cosiddetto Manifesto del partito comunista. La pellicola insiste sui toni del grigio delle fabbriche, del marrone delle uniformi degli operai e del nero negli abiti e negli ambienti chiusi tranne nella luminosità di un panorama sulla spiaggia di Ostenda in faccia al mare che sembra aprire un orizzonte di speranza e di sollievo per i protagonisti e la causa per la quale si battono. 

Qui di seguito vi propongo il trailer del film, nel caso vi sia venuta voglia di vederlo!

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E voi avete visto qualche biopic che vi è piaciuto in modo particolare? O che, viceversa, avete trovato indigeribile?