Il 1 giugno 1310, una gran folla si riunì in Place de Grève. Si attendeva il supplizio di un uomo e una donna, che sarebbero stati arsi vivi. L’uomo era un ebreo convertito che, stando all’accusa, aveva osato sputare sull’immagine della Vergine. La donna si chiamava

Margherita Porete

e moriva per aver scritto Lo specchio delle anime semplici, un libro che venne deposto ai suoi piedi, una volta che fu legata al palo, e che bruciò insieme a lei. Margherita morì tra le fiamme come eretica e recidiva, non solo per aver scritto un libro proibito, ma perché si rifiutò di sconfessare quanto aveva espresso nella sua opera nonostante una persecuzione lunghissima, durata dieci anni. Il coraggio con cui si era avviata al supplizio colpì la folla al punto tale che un cronista presente all’esecuzione racconta, nel Chronicon di Guglielmo di Nangis, che Margherita era riuscita a strappare lacrime di compassione agli astanti, comportamento per nulla comune all’epoca.

Margherita Porete era una beghina, e non si può comprendere a fondo la sua biografia se non si conosce, almeno a grandi linee, la storia di questo straordinario movimento al femminile nato nel Medioevo a ridosso delle crociate le quali, tra le loro vittime, annoveravano anche le vedove di coloro che erano andati a combattere in Terrasanta.



Una religiosità al femminile

Nell’Europa tra il XII e il XIII secolo, dove le donne non potevano scrivere di religione, o discuterne, si assistette a una prodigiosa fioritura di espressioni religiose al femminile: preghiere, vite di donne degne e di sante, inni e visioni. Forse il lungo silenzio di secoli cui erano condannate, la scelta obbligata tra chiostro e matrimonio, la riaffermazione continua dell’inferiorità morale e giuridica della donna, per una volta espressa nella stretta alleanza tra Chiesa e Istituzioni politiche, basata sull’autorità delle Sacre Scritture e sulla parola di filosofi quali Aristotele, fece esplodere questa molteplicità di voci di donne, questo coro diffusissimo in Europa. Si esprimevano in volgare, nella lingua materna del francese, vallone, brabantino o tedesco. Verso la metà del XIII secolo le donne iniziarono dunque a scrivere e a dare sfogo a una religiosità repressa e privata di espressione autonoma.



I béguinage

Nel Nord dell’Europa queste donne si costituirono in comunità e andarono a vivere in case, dette béguinage, poste alle periferie delle città di Liegi, Bruges, Gand, Delft, Marsiglia, Colonia, Lubecca… Erano comunità di donne che intendevano vivere in piena indipendenza sia dalle famiglie di origine che dagli uomini, laici o di Chiesa. Le donne vennero chiamate “beghine“, e gli uomini “begardi“.



Né matrimonio né convento

Nell’ospizio di Liegi, il primo a essere istituito si ritirarono molte vedove delle crociate: donne destinate a risposarsi per volontà delle potenti famiglie, per la maggior parte dei casi, poiché non era ammissibile che una donna vivesse sola e indipendente. Queste case comunitarie di donne unite dalla stessa fede religiosa divennero un’alternativa al matrimonio e al convento. Col tempo le case si raccolsero attorno a una chiesa e occuparono un quartiere, molto spesso cintato, che veniva indicato come “la corte delle beghine“. Ebbi modo di visitare io stessa un quartiere di questo tipo in occasione della mia visita a Bruges. Lo potete vedere nella foto qui sopra.



L’abito, il lavoro e le guide spirituali delle beghine

In Francia, in Germania, nei Paesi Bassi, le beghine vestivano da laiche – sottana e corsetto, davanti un grembiule, in testa una cuffietta – e si mantenevano con il lavoro manuale. Non appartenevano ad alcun ordine riconosciuto dalla Chiesa – anzi, ritenevano di poter servire meglio Dio in libertà nella loro comunità femminile autonoma. Per andare a messa o confessarsi erano però costrette ad andare dal clero parrocchiale, e molte preferivano quindi assumere come guide spirituali i frati degli ordini mendicanti, francescani o domenicani.



Il braccio di ferro con la Chiesa e la società

Nei béguinage, tuttavia, non entravano donne nullatenenti, bensì coloro che appartenevano al patriziato o all’alta borghesia cittadina. Molte erano sicuramente in grado di leggere e scrivere, tanto è vero che scrivevano in volgare, come accennavo, commenti alla Bibbia, discutevano tra loro di argomenti elevati e si interessavano di teologia. Come dire, mettevano le mani sui fili dell’alta tensione. Ciò determinò un braccio di ferro con il clero nei confronti di queste donne che vivevano del loro, si professavano caste e sfuggivano alla subalternità di un marito o della Chiesa. Destavano scandalo solo per il fatto della loro indipendenza, poiché avevano trovato una via d’uscita semplice e rivoluzionaria che implicava anche la solidarietà al loro interno.



La beghina come sinonimo di ipocrita



Così, verso la metà del XIII secolo, cominciarono a essere accusate di ipocrisia, e a essere oggetto di calunnia e degli interventi disciplinari della Chiesa, che però fallivano miseramente. Il termine “beghina” aveva assunto una connotazione dispregiativa sin dal XIII secolo; nell’uso comune, infatti, si tratta di una donna che ostenta una devozione puramente esteriore e formale; una bigotta e una bacchettona.



Lo specchio delle anime semplici

Nell’intento di ridurre le beghine a più mite consiglio, si moltiplicavano i sinodi e le relazioni al Papa. E si allungava su di loro anche l’ombra dell’eresia… Fu in questo clima che, tra le autrici beghine del tempo – Beatrice di Nazareth con I sette gradi dell’amore sacro, Hadewijch beghina di Anversa e in Germania Mechtild  Margherita Porete scrisse Lo specchio delle anime semplici. Scritto verso il 1280 o 1290, il libro è strutturato come un dialogo fra tre personaggi allegorici: Amore, Anima e Ragione; tutti e tre sono personaggi femminili (l’Amore viene nominata “dama”). Nella sua opera Margherita distingue due Chiese: la grande composta dalle anime semplici, annientate in Dio, e la piccola, formata dalle gerarchie ecclesiastiche.

Afferma inoltre che, per sperimentare Dio nell’estasi, l’anima deve passare attraverso sette gradi. “Sono i gradi attraverso cui dalla valle si ascende alla sommità della montagna, tanto isolata che non vi si vede che Dio.” Ma per tale scalata occorre un’Anima Libera, cui Dio ha comandato di amare. Sospinta da Amore, “la creatura abbandona se stessa e si sforza di andare al di là di tutti i consigli degli uomini, con il mortificare la natura, con lo spregiare le ricchezze, i piaceri e gli onori, al fine di adempiere la perfezione del consiglio evangelico del quale Gesù Cristo è l’esempio.

Su questa strada di imitazione, si devono moltiplicare le opere di perfezione. Quest’opera di mortificazione estrema si ritrova anche nell’esperienza di sante come Caterina da Siena (qui nell’opera Estasi di Santa Caterina di Pompeo Batoni). Cercando la sua strada di ritorno a Dio, l’Anima di Margherita si scinde dalla volontà e si annienta in Dio. L’Anima non scorge più se stessa né Dio: è pura quiete. E Dio vede se stesso in lei.

Giunta al punto di estremo approdo, l‘anima si immobilizza in una sorta di fatalismo mistico, non si preoccupa più di sé; ma nemmeno si preoccupa di fare, di agire. Il punto dell’eresia è questo: l’estrema dipendenza da Dio finiva, nel suo traguardo finale, con l’esentare l’uomo dalla responsabilità delle sue azioni, anche malvagie, addossandole a Dio. Margherita non lo enunciò mai con chiarezza, ma ne pose le premesse.



Il processo e la morte di Margherita

Le poche notizie che possediamo su Marguerite Porete sono registrate nei resoconti del suo processo. Non si conosce la sua data di nascita, per esempio, ma molto probabilmente fu una beghina itinerante. Le erano stati concessi ben dieci anni per abiurare: dal 1300, anno in cui il suo libro era stato per la prima volta condannato a Valenciennes e bruciato sulla piazza. al 1308, anno in cui l’inquisitore papale e confessore del re Filippo il Bello l’aveva fatta arrestare e gettare in prigione come sospetta eretica. Nel corso del processo Margherita non ritrattò una sola parola del suo libro, e si rifiutò di prestare testimonianza di fronte all’inquisitore del papa, all’arcivescovo di Parigi e a due vescovi della sua diocesi. Scomunicata, mai implorò l’assoluzione dalla scomunica. Non credeva nell’apparato ecclesiastico e nei dottori della Chiesa. E pagò con la vita: come scrivevo sopra, andando al rogo con grande serenità e fermezza.

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E voi avevate mai sentito parlare delle beghine? Ammirate in modo particolare qualche personaggio storico che, come Margherita Porete, pagò con la vita le sue idee?

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Fonti testo:

  • Medioevo inquieto di Armanda Guiducci
  • Storia delle donne – Il Medioevo di Georges Duby e Michelle Perrot – a cura di Christiane Klapisch-Zuber

Fonti immagini:

  • Illustrazione di una beghina da Des dodes dantz, stampato a Lubecca nel 1489 – Wikipedia
  • Il béguinage a Bruges oggi – Wikipedia
  • Un’edizione dell’opera Lo specchio delle anime semplici
  • Estasi di Santa Caterina di Pompeo Batoni (1743)