In vista del grande contingentamento dei mezzi pubblici, alcuni giorni fa mi sono premurata di recarmi a Milano con una triplice indispensabile missione. Il mio viaggio prevedeva l’uso di autobus sottocasa fino alla stazione di Sesto F.S. e metropolitana andata e ritorno, in un tragitto piuttosto lungo che mi fa toccare quasi tutte le stazioni della linea rossa. Di solito lo compio per andare nel mio studio; di recente mi sono organizzata per lavorare da casa o in smartworking come si dice con il solito termine inglese che si potrebbe tranquillamente evitare. La metropolitana è la mia sala di lettura preferita poiché, avendo questo lungo tratto da compiere, e partendo da un capolinea, riesco a isolarmi e a sprofondare in un libro. In questo periodo, difatti, sto leggendo poco o nulla (parlo di narrativa), perché in casa lavoro, studio i miei testi universitari, prendo i pasti, dormo oppure guardo dei programmi con la famiglia.
Era stata già apposta la segnaletica adesiva per il distanziamento sociale sia sui sedili che sul pavimento dei convogli. Per come conosco io la metropolitana, e cioè al massimo della sua potenza in termini di treni e affollamento, la vista era impressionante: c’erano pochissime persone, sedute distanziate l’una dall’altra e con mascherine protettive; e sulla banchina di una stazione, dove ero scesa, mi sono ritrovata completamente sola. Il senso di desolazione era assoluto, e sono stata colta da una grande tristezza e perdita.
La metropolitana più antica è comunque quella di Londra, aperta senza cerimonia il 10 gennaio 1863. Alla sua inaugurazione vi fu chi predisse, cupamente, che questo modo di viaggiare avrebbe avuto vita breve. Era impensabile, secondo i detrattori, che l’essere umano potesse trascorrere parte del suo tempo al chiuso, spostandosi da una parte all’altra in una galleria scura e puzzolente. Mai profezia fu più fallace: il sistema fu accolto con grande entusiasmo dalla popolazione londinese, tanto che l’anno successivo vi erano più di 260 progetti di nuove linee, delle quali fu realizzata però solo quello tra Westminster e South Kensington nel 1868. Grazie alla metropolitana, si decongestiona il traffico di superficie, si consente di spostarsi rapidamente da un punto all’altro della città e, in genere, si viaggia anche nelle condizioni climatiche più proibitive, come accadde durante la grande nevicata del 1985.
Dunque non si traduce soltanto in una serie di cunicoli con convogli affollati da pendolari: è un vero e proprio mondo parallelo che riflette quello superiore, con i suoi frequentatori abituali oppure occasionali, i suoi riti individuali e tribali, le sue strategie quotidiane, i suoi commerci leciti e illeciti, la sua conformazione e i suoi angoli. A lungo andare, si impara a riconoscere gli habitué a studiarne la psicologia, a partecipare di un brevissimo istante della loro vita: genitori con bambini, studenti che ripassano la lezione, impiegati che vanno al lavoro, artigiani con gli attrezzi nella borsa, ragazze che si truccano tra uno scossone e l’altro, persone intente a scrutare al cellulare o a parlare…
L’antropologo Marc Augé, autore di un celeberrimo studio sui “non luoghi urbani” (quei luoghi senza storia, anonimi e tutti uguali in qualsiasi parte del globo ci si trovi, come per esempio i centri commerciali), le dedica un delizioso libro, Un etnologo nel metrò edito da Elèuthera. Nell’opera egli osserva, con l’occhio esercitato dell’antropologo, abituato a studiare culture e sistemi sociali di popoli spesso distanti geograficamente, una dimensione sotterranea, conosciuta e sconosciuta a un tempo: il metrò di Parigi.
Nonostante alcuni passaggi un po’ ostici per addetti ai lavori, si tratta di un’opera godibile, anche grazie allo sguardo affettuoso e ironico dell’autore; a tratti di una vera dichiarazione d’amore. La riflessione che apre il volume è che l’ambiente del metrò funge da dispositivo di ricordi, in quanto la geologia interiore del viaggiare ha dei punti di contatto con la mappa della metropolitana stessa. Così, per esempio, leggere o pensare al nome di una stazione può scatenare, oltre alle memorie, anche una serie di associazioni mentali a cascata. Nel caso di Parigi, può essere Sèvres-Babylone, nel mio caso può essere Bande Nere o Conciliazione. Ci sono dunque stazioni che richiamano alla mente ricordi personali, professionali, culturali, scolastici, come a comporre una sorta di “certificato civile“. Le linee del metro si incrociano come le linee della mano.
Alle volte, invece, si continua a salire o scendere in una stazione senza chiederci a chi o a che cosa è intitolata, o perché, come Denfer-Rochereau a Parigi, o Gambara a Milano. Alzi la mano chi è in grado di spiegare con assoluta sicurezza tutti questi nomi. Nell’opera di Augé i nomi delle stazioni sono anche oggetti di spunti divertiti: il percorso si interseca senza tregua con la storia e la geografia, e dunque nel nostro caso si transita a Cadorna, Gerusalemme, Lima, Maciachini, Pasteur, De Angeli, Lambrate, in un susseguirsi vertiginoso.
La regolarità del tragitto offre un senso di sicurezza, sia in termini fisici che di orari prestabiliti, poiché questo mondo del sottosuolo è stato conformato dall’uomo e quindi, a differenza della cavità naturale, non si stringe inaspettatamente (io stessa, pur soffrendo di claustrofobia, di rado ne ho sofferto in metropolitana). Le linee metropolitane diventano un ipertesto di link su una pagina web: si può andare avanti e indietro, cambiare snodi, prendere una circolare o un passante, ma di necessità affidandosi a un percorso prestabilito senza poter creare il proprio. Sono persino stati studiati i flussi dei viaggiatori, sulle banchine, sulle scale e ai tornelli, e ci si è accorti che obbediscono a geometrie molto precise, maggiormente visibili dall’alto.
Chi si muove abitualmente in questo mondo sotterraneo si distingue dunque dal frequentatore occasionale, che ha l’aria un po’ smarrita. “L’utente del metrò ha a che fare essenzialmente con il tempo e lo spazio, abile nel basare l’uno sull’altro” e si muove in maniera disinvolta e insieme distratta, come mosso da un automatismo interiore. L’ambiente esterno a un convoglio, molto poco attraente perché, semplicemente, non esiste, porta il viaggiatore a sprofondare in se stesso, di solito nello schermo luccicante del proprio cellulare, o a mantenere lo sguardo perso nel vuoto. C’è chi tollera male questa meditazione obbligata e chiama col cellulare il malcapitato di turno, sommergendolo di parole anche a orari inadatti.
La metropolitana è un mondo rappresentativo e complesso anche in senso generazionale e multietnico, dove le classi sociali si mescolano senza posa tra annunci di ritardi e pubblicità invasiva e frastuono di convogli sferraglianti. Offre punti di incontro sentimentali e anche clandestini, come un nascondiglio ideale, curve e angoli inaspettati, persino poetici. A tratti diventa un vero e proprio palcoscenico, un mondo di folla e solitudini a un tempo, dove ciascuno di noi può riconoscersi e interpretare la sua parte: un mondo per cui provo un’intensa nostalgia.
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Qual è il vostro modo di viaggiare preferito? E quali sono i luoghi della vostra città a voi più cari?
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Fonte testo:
Un etnologo nel metro di Marc Augé
Foto:
Apertura: clickmobility.it
Wikipedia
Cara Cristina, sono molto preoccupata per questi mezzi che saranno insufficienti. Adoro il treno, anch se sposandomi ho cominciato ad apprezzare i viaggi in auto che hanno il grande vantaggio di non dover limitare i bagagli. Rimango sempre piuttosto insofferente all'aereo e soprattutto al caos degli aeroporti che mi agitano molto. In città adoro il tram, se non ho particolare fretta lo uso proprio volentieri, anche se ovviamente la metropolitana rimane imbattibile per velocità, poi io ho una fermata a 3 minuti da casa.
La fase 2 sta andando meglio del previsto, ma è presto per cantar vittoria secondo me: molte persone continuano a lavorare da casa o si trovano in cassa integrazione. Inoltre, mancano tutti i bambini da nido e scuola materna, e tutti gli studenti. Anch'io adoro il treno, è in assoluto il mio mezzo di trasporto preferito per spostarmi sulle lunghe percorrenze. Anche il treno è un ambiente cinematografico e romanzesco perfetto, basti pensare ai grandi gialli ambientati sui vagoni. Inoltre si può fare praticamente tutto sul treno: osservare il panorama, mangiare, giocare a carte, conversare, leggere, dormire…
Una bella idea quella di argomentare su un luogo-non luogo come la metropolitana. Molto interessante ogni passaggio del post.
Tra i film io ricordo "Ghost", la scena in cui il protagonista Sam deve adattarsi alla nuova "vita" da fantasma. Incontra quel povero disgraziato in metro, una metro solitaria, notturna, che poi si svela essere morto suicida.
Io, che provengo da un sud in cui la metro non esiste, ti lascio immaginare l'entusiasmo che mi colpì quando a 12 anni la presi per la prima volta. Ero venuta a Roma con mia zia, per una visita oculistica, e per me fu la prima meravigliosa scoperta dell'Urbe. Poi la rivissi, dopo diversi viaggi, quando venni ad abitare alle porte di Roma, in particolare da turista e quando studiavo in Vaticano.
Fu un sollievo quando fornirono Roma di vagoni nuovi, perché rispetto a Milano, dove venni la prima volta nel '91, trovai che fosse decisamente arretrata, mentre il capoluogo lombardo offriva un viaggio fresco e confortevole anche in piena estate.
Il mio modo di viaggiare preferito è il treno. Soffro di mal d'auto, tendo a non fidarmi della strada, mentre in treno mi trovo benissimo, perché mi abbandono alla lettura e il tempo vola. Di luoghi prediletti della città, posso citare Roma. Anche se la metro non vi arriva, adoro la terrazza del Pincio. In generale amo tutti i grandi parchi della città, retaggio di una nobiltà che padroneggiò la città eterna.
Ecco, stavo cercando di ricordarmi inutilmente quale fosse la scena ambientata in metropolitana con il fantasma-suicida: "Ghost", naturalmente. Qualche anno fa vidi una trasmissione, una di quelle dedicate ai misteri, che parlava della metropolitana di New York e delle apparizioni e dei fenomeni che vi accadono talvolta di notte e che sono in grado di spaventare anche gli addetti più scettici. Ammetto di essere una fifona per natura, ma certe testimonianze mi hanno proprio impressionato.
Come te a 12 anni, mio figlio manifestò tutto il suo entusiasmo quando mia mamma lo portò a vedere il passante ferroviario a Milano. Era talmente agitato che stentava a trattenerlo!
I parchi di Roma sono bellissimi, non vedo l'ora di poter ritornare per visitare altri luoghi di questa bellissima città. Gli scorci sono meravigliosi.
La metro la usavo spesso quando andavo e Roma e condivido il concetto che abbia il suo fascino, rappresentando in un certo senso un mondo sotterraneo della città. Una delle ultime visite a Roma prima del lockdown mi è servita proprio per portare mia figlia sulla metro e spiegarle come prenderla senza sbagliare direzione o fermata. Però se devo muovermi in città coi mezzi pubblici preferisco il tram, almeno vedo la luce.
Sì, è un mondo speculare e parallelo della città di superficie. Nella metropolitana milanese è particolarmente difficile da interpretare la segnalatica della M3 o metro gialla, anche i più avvezzi fanno fatica a orientarsi.
Mi piace qualche volta prendere il treno, ma in famiglia viaggiamo sempre in auto (anni fa anche in bicicletta).La metro mi dà un senso di claustrofobia, così come idea, ma forse è solo perché l'ho usata un paio di volte in tutto.
Anche la bicicletta mi piace molto come mezzo di trasporto, ma non in città perché si rischia davvero la vita! Chissà, magari ora con le nuove piste ciclabili che stanno predisponendo cambierà qualcosa…
Confesso che soffro anch'io di claustrofobia, ma prendo lo stesso la metropolitana, certo se posso preferisco l'autobus o il tram. Credo che la metropolitana più efficiente o, almeno, quella che ho subito capito bene riguardo a percorsi e collegamenti sia quella di Londra, quando ci sono stata mi è parsa subito molto efficiente. Ho preso spesso anche quella di Milano (sono stata a Milano innumerevoli volte) però nelle ultime visite ho riscoperto il tram e ho capito che viaggiare sotto terra non ti da la prospettiva dei posti che visiti, insomma è comoda se hai fretta, ma viaggiare in superficie lo preferisco. Indubbiamente ha il suo fascino, ma in questo periodo mi preoccupa un po', anche se, da quanto racconti, l'organizzazione per viaggiare in sicurezza mi sembra ci sia.
A me hanno raccontato che la metropolitana di Mosca è affascinante, ci sono delle stazioni che sono delle vere e proprie gallerie d'arte. Pensa che avevo una mezza idea di un viaggetto in Russia quest'estate, ma com'è ovvio si rimanda a data da destinarsi. Viaggiare in tram in città è simpatico, io ricordo a Milano i vecchi tram verde scuro della mia infanzia, con il bigliettaio che ti faceva il biglietto non appena salivi sul retro (era un biglietto piccolo e colorato), e poi le panche di legno stile far west. Ce ne sono ancora in giro, ma pochi.
Non so come fai a leggere in metro a Milano… quelle tre volte che mi è capitato di prenderla era assurdamente piena, a differenza di quella di Torino che non è mai così affollata.
Quello di cui Augè parla per la metropolitana nel mio caso sono le stazioni ferroviarie. Viaggiando parecchio per lavoro in tutto il Piemonte e a volte la Lombardia (o almeno quando lo facevo, visto che da due mesi sono in sospensione…) ne ho collezionate parecchie, assieme a tutto il loro microcosmo.
Anche mio marito si stupisce di come io faccia a leggere in metropolitana, eppure riesco a isolarmi benissimo e corro perfino il rischio di non scendere alla fermata giusta se il romanzo è particolarmente avvincente. Per quanto riguarda le stazioni, ce ne sono molte ricche di fascino: pensa che a mio papà sarebbe piaciuto comprare una vecchia stazione in Trentino per poterla trasformare in villetta. Com'è ovvio non passava più il treno da anni!
C'è un ciclo di romanzi di fantascienza, nati dalla penna dello scrittore russo Dmitrij Gluchovskij, che narrano proprio di un futuro post apocalittico nel quale la popolazione di Mosca si è rifugiata all'interno delle stazioni della metropolitana di quella città, il primo romanzo è "Metro 2033" tradotto anche in Italia, assieme al seguito "Metro 2034". A quanto pare la Metropolitana moscovita è la più profonda del mondo, il romanzo non è male te lo consiglio.
Ho appena nominato nel mio commento a Giulia la metropolitana di Mosca, pensa che coincidenza. Grazie del consiglio sul romanzo, me lo segno, penso proprio che potrebbe piacermi!
L'unica metro in cui sono stata è quella di Londra che mi divertiva tantissimo perché mi sembrava tutto molto semplice e immediato. Scendi, prendi, viaggi veloce, esci. Attese minime, tutto molto pratico. Per non parlare della favolosa mappa con mille linee colorate e quei bei nomi di stazioni!
La metropolitana di Londra fu la mia prima esperienza all'estero di tipo "underground" 🙂 Ero con i miei genitori e rimasi stupefatta dell'efficienza… oltretutto già allora i londinesi si disponevano tutti sulla destra sulle scale mobili in modo da far passare viaggiatori frettolosi. Per nulla abituati all'usanza, i miei genitori e io eravamo sempre tra i piedi!
Ah, che bei ricordi quei lunghissimi viaggi a bordo del "Campo dei Fiori", quando il capolinea era ancora in quel quartiere! La maggior parte delle mie letture giovanili le ho fatte su quell'autobus, sulla metro fino a Cairoli e sul "14", che prendevo dopo, fino a Musocco (un viaggio che nemmeno Dante e Virgilio avrebbero retto). Spesso, invece di quello, prendevo invece l'autobus che da via Garibaldi mi portava in Centrale (e viceversa): ci mettevo più tempo ma riuscivo a concentrarmi meglio nella lettura (al punto che una volta non mi accorsi della mia fermata, mi svegliai al capolinea e tornai indietro). Erano anni gloriosi, ma erano anche anni in cui quando entravo in casa la sera avevo pronto il piatto sul tavolo. Adesso la mia priorità è un'altra. Non abito, come sai, più lì anche per una questione di ottimizzazione dei tempi.
Sesto FS, se potevo la scansavo. Troppi "gitani" che guardavano con curiosità i miei movimenti. Non che Centrale fosse meglio (lì c'erano i bambini che sniffavano colla) ma all'ora di punta riuscivo molto più agilmente a rendermi invisibile…
Grazie mille del tuo amarcord, Tom. Sì, spesso ho constatato come a Milano e dintorni gli spostamenti richiedano ore e ore per fare pochi chilometri, specialmente quando si viaggia sulle linee di superficie: una vera odissea. A differenza tua, sull'autobus non riesco a leggere perché sono distratta dalle "visioni" dai finestrini, mentre in metropolitana c'è ben poco da osservare e mi propizia il raccoglimento.
Ti confermo che Sesto Fs è rimasta la losca fermata che mi hai descritto, e forse è persino peggiorata. C'è da dire che, partendo proprio da là per andare a Milano, trovavo sempre posto a sedere, addirittura avevo il lusso di scegliere! Poi col tempo si individuano le stesse fisionomie, e anche una specie di "club dei lettori". 🙂