Dopo aver postato l’ultimo articolo con il video, si sono sommati una serie di impegni e attività sul fronte lavorativo ed editoriale, nonché la preparazione agli esami universitari di giugno… e dunque due settimane sono volate senza essere riuscita ad aggiornare il blog. Lunedì avrò anche un esame medico in day hospital. Riprendo ora con un post dedicato al Caffè della Rivoluzione e con un argomento che non poteva mancare in una rubrica con siffatto nome: il bar con le sue vivaci conversazioni.

Nelle fasi di sospensione delle nostre attività quotidiane, a molti è mancato recarsi al bar, per assaporare la classica tazzina di caffè, ‘na tazzulella ‘e cafè come dicono i napoletani che le hanno dedicato anche una canzone. Al bar si scambiano quattro chiacchiere con amici e conoscenti, e con lo stesso gestore, si sfoglia il giornale sovente messo a disposizione della clientela, si spettegola sulle celebrità, ci si accalora sugli ultimi eventi sportivi. Sempre a Napoli, c’è la deliziosa usanza del “caffè sospeso“, cioè lasciare un caffè pagato per un altro avventore. Insomma l’ingresso e la sosta al bar costituiscono una vera e propria liturgia, e nella bella stagione ci si accomoda all’aperto per chiacchierare e scherzare.

Grazie alla diffusione della bevanda che giungeva da luoghi esotici, i caffè ebbero un vero boom nel Settecento. Già, ma a quali generi di locali si poteva accedere nella Parigi dell’epoca? Ce n’erano per tutti i gusti: il Café de Foy, il Café Rousseau, il Café de la Régence… Molti caffè erano luoghi sofisticati frequentati da una clientela elegante, come in questo bel quadro veneziano di Pietro Longhi, La bottega del caffè, 1750-1770 circa, che rispecchia molto bene l’ambiente. Altri erano affollati da lavoratori come artigiani e operai, quelli davanti al palazzo di giustizia da avvocati e giudici.

Ogni locale era specializzato in argomenti impegnativi come le manovre in borsa, il prezzo del pane, le speculazioni sul grano e quelle sull’oro, le simpatie francesi del re di Spagna, ma tenevano banco anche i pettegolezzi, per esempio sulle gravidanze della regina. Del resto soprattutto la virilità del sovrano era lo specchio della buona salute della nazione stessa. C’è da dire che il rispetto per la monarchia era in caduta libera dagli ultimi anni di regno di Luigi XV, il re libertino per eccellenza, e un’opinione pubblica fortemente critica fu uno dei combustibili che fecero deflagrare la Francia, e determinarono il definitivo collasso della corona.

Nella Parigi alla vigilia della rivoluzione, infatti, i caffè erano degli autentici covi di agitatori, arruffapopoli, intellettuali, libellisti, studenti, avvocati, giornalisti, letterati, poeti, insomma, tutte persone che, per professione oppure orientamento politico, con le parole e il dissenso avevano molto a che fare. Proprio per questo motivo i caffè, e in generale le taverne e i luoghi pubblici, erano attentamente sorvegliati dalla polizia. Inoltre, all’epoca non c’erano i sondaggi tanto consultati da alcuni leader politici nostrani, e questo era uno dei modi per vigilare sull’ordine pubblico. La polizia di Parigi era in grado di organizzare una sofisticata rete di informatori e spioni, che orecchiava tutte le conversazioni e le trascriveva nel dettaglio nei suoi rapporti. L’opinione pubblica che si esprime nei caffè, il cui peso è diventato rilevante dalla fine del Seicento, viene registrata minutamente e si produce una grandissima mole documentaria. Dagli archivi si possono leggere le trascrizioni dei dialoghi, con tale precisione che ci sembra di leggere le battute di un copione, e rivivere le atmosfere dell’epoca.

Per scrivere il mio romanzo sulla rivoluzione francese, ho “studiato” alcuni caffè parigini particolarmente importanti, come per esempio il Café Procope, frequentato proprio dai futuri rivoluzionari come Desmoulins, Robespierre, Danton. Si tratta del primo caffè della capitale francese, e secondo alcuni è il più antico d’Europa. Siccome sono un’esaltata – me ne rendo conto – non potevo non andare a scovarlo durante una delle mie prime visite a Parigi, dove feci una sorta di pellegrinaggio. Il Café Procope, tra l’altro, è cambiato pochissimo da allora, e ha mantenuto l’arredamento dell’epoca con la tappezzeria di raso rosso e gli stucchi dorati. Com’è ovvio c’è la luce elettrica ad accendere lampadari e applique, e ad animare il locale, ma ha conservato intatto il suo fascino. Nella fotografia sopra, potete vedere come, attraverso le vetrate, facciano capolino i ritratti dei miei beniamini!

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A voi è mancato il bar nel periodo di quarantena? E quali sono i locali in cui vi recate più volentieri?


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Fonte testo: Libri proibiti. Pornografia, satira e utopia all’origine della Rivoluzione francese di Robert Darnton


Fonte immagini: Wikipedia