Lunedì 14 settembre sarà un giorno storico per la maggioranza degli studenti italiani, insegnanti e personale di ogni ordine e grado: dopo una lontananza di mesi e pur tra mille difficoltà, timori e incertezze, si torna a scuola! Alcuni bimbi più piccoli della scuola d’infanzia hanno peraltro già ripreso in talune regioni. Per tutti sarà un momento indimenticabile. Penso che sarà commovente vedere le immagini di questi bambini e ragazzi che varcano di nuovo le porte della scuola, bardati con la mascherina e carichi dei loro zaini, seguiti dagli sguardi carichi di amore e ansia degli adulti.

La scuola è molto cambiata da quando la frequentavo, e la didattica si è evoluta in maniera positiva, almeno per quanto riguarda l’insegnamento delle lingue straniere. Finiti sono i tempi delle lezioni del tutto frontali, dell’apprendimento nozionistico, dello scarso coinvolgimento degli alunni, del “The pen is on the table” sui libri di testo e degli sbadigli conseguenti. Come sapete lavoro nel campo editoriale scolastico, e i libri di testo si sono letteralmente trasformati tra le mie mani, arricchendosi di esercizi, iconografia, illustrazioni, percorsi più o meno challenging, supporti per studenti con dislessia e materiali digitali.

A proposito dei supporti digitali, abbiamo sperimentato in varia misura vantaggi e svantaggi della Dad, o Didattica a distanza, che ci ha lanciati in piscina senza saper nuotare e che ha evidenziato in maniera impietosa il divario tecnologico che ci affligge. Il percorso da affrontare per colmarlo è ancora lungo. Già, ma com’era la scuola nelle varie epoche, quando ancora non esistevano le odierne tecnologie e soprattutto la didattica era molto diversa? Che cosa si imparava e come?

Nell’antica Roma

Gli alunni e i loro maestri sono i protagonisti del capitolo relativo all’istruzione in strada, nel piacevole libro di Alberto Angela Una giornata nell’antica Roma, che descrive un itinerario nella Roma dell’imperatore Traiano (98-117 d.C.). I bambini si trovano sotto un portico, seduti su semplici sgabelli e recitano a memoria un testo. Il loro maestro deambula in mezzo a loro, tenendo in mano una canna. Gli alunni stanno leggendo in coro le Leggi delle XII tavole, le prime leggi scritte di Roma. A un certo punto la canna si abbassa e sferza un bambino disattento. Questo non è infrequente, al punto che anche i poeti Giovenale e Orazio ricordano il loro maestro come plagosus, cioè “quello che picchiava”! 
 
Stele funeraria di Orensia Obsequente (sec. I d.C.)
Museo Archeologico di Milano

A riprova della convinzione che battere i ragazzini fosse parte del sistema educativo, esiste una stele funeraria al Museo Archeologico di Milano, definita come Lapide funeraria romana (sec. I d.C.), esposta nel Lapidarium, di una certa Orensia Obsequente, che potete vedere qui. Tale Orensia era liberta di Caio, insegnante di scuola e in basso c’è la scena con la maestra che punisce col frustino un allievo. 

Peraltro le punizioni corporali si sono mantenute fino a non poco tempo fa anche da noi, comunque: se chiedete a mia mamma (88 anni) di nominare la persona più cattiva della sua vita, nominerà la “maestra Letizia” della scuola elementare. Nonostante il suo nome leggiadro, la maestra Letizia infatti era una picchiatrice provetta. Era anche una sfruttatrice del lavoro minorile dato che imponeva trasporti di legna dalla legnaia in cortile alla stufa in pieno inverno, in scene dal sapore dickensiano.
Ritornando ai nostri romani, i metodi per imparare a scrivere e leggere prevedono l’uso della nota tavoletta di cera, che gli scolari incideranno con un pennino riproducendo le lettere dell’alfabeto. Si usa anche una tavola di legno su cui sono già incise le lettere: i bambini le ripercorrono con un pennino, sempre di legno, come metodo per muovere la mano in modo corretto e memorizzare le forme delle lettere. Per imparare a leggere si legge a voce alta anche se si è soli. 
Dunque le scuole elementari a Roma, e in tutto il territorio dell’impero, erano solitamente all’aperto, oppure in locali fatiscenti, ex-tabernae. E la maggior parte dei romani non va oltre i semplici rudimenti come leggere, scrivere e fare di conto, e poi va subito a lavorare: non serve altro. 

La differenza con le famiglie ricche è palpabile, poiché i rampolli dell’aristocrazia continuano il loro percorso scolastico, in quanto una buona istruzione è un elemento fondamentale per la loro carriera. Quindi essi di solito frequentano delle scuole che potremmo definire private per imparare la grammatica e la letteratura latina e greca. I testi su cui studiano sono “classici”, cioè libri della tradizione e dunque ben consolidati, e non esistono nozioni tecniche o scientifiche a questo livello.  Potete vedere una scena un po’ più rassicurante qui sotto: un magister romano insegna a tre allievi in un bassorilievo rinvenuto a Neumagen-Dhron, presso Treviri. Per i figli dell’alta società ci sono anche i precettori privati, solitamente liberti o schiavi coltissimi di origine orientale, soprattutto greca.

Come accade anche oggi, la scelta dei libri da studiare ha una ripercussione diretta sul mercato editoriale! Si sfornano appunto i “classici” (opere di Omero ed Ennio e in seguito Virgilio, Cicerone, Orazio) che condizionano il mercato. Molto importante è lo studio, poi, della retorica, per imparare l’eloquenza che sarà un’arte fondamentale nella loro carriera pubblica, e anche se opereranno in ambito giudiziario. Dunque gli studenti si esercitano attraverso i pro e i contra su un determinato argomento. 

Il mondo universitario nel Medioevo
In considerazione del fatto che di recente mi interesso molto all’università e ai suoi sviluppi 😉 non può mancarvi un accenno al mondo accademico, con qualche notizia attinta da un mio post precedente alla viglia del mio esame di Storia Medievale (a proposito, mi sembrano passati secoli!). Le università furono infatti una creazione originale del XII secolo. Erano semplici associazioni di studenti e professori, che si configuravano in maniera non molto diversa dalle corporazioni di arti e mestieri. Fin da subito essi cercarono di ottenere il riconoscimento dell’autorità costituita, laica o ecclesiastica che fosse, e particolari esenzioni in modo da ottenere sgravi e aiuti per gli studenti più poveri. Già questo aspetto me le rende oltremodo attraenti.
I corsi comunque si tenevano nelle case dei maestri o in case da loro affittate, mentre le assemblee, gli esami, le dispute solenni si svolgevano nelle chiese e nei conventi. Mi piace immaginare il gruppo degli studenti che si ritrova a casa del professore, come a testimoniare un legame molto stretto e personale, una sorta di complicità nell’organizzare le modalità di insegnamento e apprendimento. Insomma, si organizzavano un po’ come oggi organizzeranno gli spazi nelle aule post-Covid, fatte le debite distinzioni.
Peraltro il termine universitas all’epoca indicava soltanto la struttura corporativa che si occupava di far funzionare il complesso dell’organizzazione didattica, indicata con il termine di studium. La prima università dell’Europa medievale è considerata la celeberrima Scuola medica di Salerno, un crocevia di culture. A Bologna l’università nacque nell’ambito delle scuole laiche di diritto. A Parigi invece le origini dell’università sono collegate con la scuola della cattedrale di Notre Dame. Una filiazione di Parigi si può considerare l’università di Oxford. Anche Bologna fu madre di altre università, ad esempio Padova e Napoli. Ecco qua un’immagine con l’ingresso di alcuni studenti nella Natio Germanica Bononiae, il collegio di studenti tedeschi a Bologna, in una miniatura colorata del 1497.
Come potete immaginare, anche in questo caso la nascita dell’università contribuì a modificare radicalmente le condizioni in cui venivano prodotti i libri che erano oggetti di lusso, e molto costosi. Erano prodotti soltanto negli scriptoria dei monasteri e, in misura minore, nelle chiese cattedrali, e richiedevano mesi, a volte anni, di lavoro. All’opera degli amanuensi si affiancava quella dei miniatori che realizzavano non di rado delle vere e proprie opere d’arte. 
Nell’ambito dell’insegnamento universitario, dunque, era necessario disporre di molte copie della stessa opera, di libri maneggevoli e poco costosi, su cui poter fare anche delle annotazioni durante la lettura e il commento che faceva il maestro. Tutto questo in un’epoca in cui l’invenzione della stampa era ben al di là da venire. All’inizio infatti sia gli studenti che i maestri furono costretti a procurarsi da soli e in mezzo a difficoltà di ogni genere i libri di cui avevano bisogno. Come fare? Anche qui la necessità aguzza l’ingegno!
Il problema fu affrontato introducendo il sistema della “pecia“, che garantiva la correttezza dei testi e la possibilità di averne a prezzi accessibili. Una commissione di professori approvava i testi ufficiali (exemplaria) per fornirli ai librari-editori (stationarii) riconosciuti dall’università. Questi li utilizzavano per farne copie da destinare alla libera vendita sia per prestarli agli studenti e ai professori, che potevano ricopiarli. Gli exemplaria non erano però prestati nella loro integrità, ma composti di fascicoli sciolti, dette peciae, in modo che potessero lavorarvi più copisti contemporaneamente. 
Un’altra figura tipica dell’università medievale era quella del chierico vagante, cioè dello studente universitario che, soprattutto nel Basso Medioevo, si spostava in tutta Europa per seguire le varie lezioni. I chierici erranti conducevano una vita allegra e non di rado turbolenta, tra donne, gioco, risse e vino, ed erano visti con sospetto dalle autorità e dalle generazioni più anziane perché con il loro comportamento causavano parecchia instabilità sociale. Nulla cambia nel tempo, sembra di assistere agli “scontri generazionali” di oggi!


L’istruzione delle bambine in età moderna
Un libro che consiglio a chi è interessato alla condizione femminile è Le donne nell’Europa moderna (1500-1750) di Merry E. Wiesner. Oltre a studiarlo a fondo per il mio esame di Storia delle Donne e delle Identità di Genere, mi è servito molto per il mio romanzo I Serpenti e la Fenice (perdonatemi l’autocitazione). Per le bambine che andavano a scuola dalle monache, come accade alle sorelle Robespierre, si insegnavano le “materie di completamento“: non soltanto a leggere e a scrivere, ma disegno, ricamo, economia domestica, sempre nell’ottica di formare una buona moglie e una brava massaia.
Nel capitolo dedicato all’alfabetizzazione, viene sottolineato come la stragrande maggioranza delle donne non aveva l’opportunità di imparare a leggere e a scrivere. Questo non vuol dire che fossero ignoranti, ma erano soprattutto abili nel mestiere, che spesso apprendevano in bottega sotto la guida del padre e della madre. Insomma, imparavano sul campo quel che serviva. 
Donne che lavorano di Giacomo Ceruti detto il Pitocchetto (1725-35).
Museo di Santa Giulia, Brescia

Le donne non andavano certo a scuola, e di solito erano i genitori a impartire loro alcune nozioni. I Protestanti raccomandavano di insegnare alle bambine a leggere e scrivere, e nelle città c’erano delle insegnanti che aprivano delle scuolette. Il tutto era molto improvvisato, discontinuo e del tutto privo di qualsiasi progetto educativo, e spesso queste insegnanti non erano molto più avanti dei loro allievi. E queste maestre, se erano brave, si trovavano a fronteggiare le lamentele e l’ostilità dei maestri “ufficiali” che cercavano di limitare il loro raggio di azione, ovvero di insegnamento. 
Indovinate quali erano i libri di testo? Naturalmente il catechismo, i salmi, i versetti, il tutto indirizzato a comportarsi come una buona cristiana in modo da diventare, un giorno, una moglie e una madre eccellente ed espletare bene il proprio ruolo senza creare troppi fastidi. E, a ogni modo, si insisteva molto di più sulla lettura che non sulla scrittura, in quanto i modelli proposti erano le vite delle sante o storie edificanti, mentre con la scrittura avrebbero potuto esprimere la propria opinione.  Inoltre, se andavano a scuola, le ragazze lo facevano per un periodo molto più breve dei loro coetanei maschi. Tutto questo creava un “loop” poiché ricevevano un’istruzione talmente scarsa che non potevano aspirare a migliorare la loro condizione economica e sociale. Niente di nuovo sul fronte occidentale.
Il mio primo giorno di scuola
Bene, abbiamo quasi concluso la nostra rapida carrellata e siamo arrivati all’età contemporanea e a un ricordo personale: il mio primo giorno di scuola, che rammento con un senso di timore misto a curiosità. Nonostante avessi frequentato la scuola materna, a differenza di alcuni miei coetanei che erano stati tenuti a casa (all’epoca non era così infrequente), continuavo a essere una bimba timida dai grandi denti sporgenti. 
Ho un ricordo piuttosto preciso della mia compagna di banco, una biondina dai lunghi capelli lisci. Non rammento particolari traumi nel primo giorno, anche se si sommano nel tempo alcuni incidenti di percorso (un pugno che mi presi da un compagno manesco che mi mandò in infermeria – della serie “i bulli sono sempre esistiti”) e il mio amore per il libro di lettura e il sussidiario. 
Il grembiule regolamentare negli anni ’60 era comunque bianco con il fiocco rosa per le femmine, e nero con il fiocco azzurro per i maschi; ogni grembiule aveva un colletto bianco. Ciascuno di noi aveva una cartella agganciata alle spalle dalle cinghie. Nell’enorme scuola elementare Cappellini di via De Rossi a Milano, i corridoi erano affollati da frotte di bambini frutto del baby boom, di cui io facevo parte.  
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Che cosa ne pensate dell’evoluzione nella scuola nel tempo? E voi quali ricordi avete conservato del vostro primo giorno di scuola? 
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Fonti testo:

Una giornata nell’antica Roma – Vita quotidiana, segreti e curiosità di Alberto Angela
Medioevo – I caratteri originali di un’età di transizione di Giovanni Vitolo
Le donne nell’Europa moderna (1500-1750) di Merry E. Wiesner

Fonti immagini:
Apertura: ansa.it, le altre foto storiche sono tratte da Wikipedia