Prima delle mie turbolenze galattiche universitarie e lavorative, ho ripreso in mano a scopo revisione il romanzo
Scrivere romanzi storici, del resto, significa posare un cappello per indossarne un altro. Per quanto mi riguarda, se mi calo in un periodo non riesco a portare avanti in parallelo un altro romanzo, e oltretutto in un’epoca così diversa, dato che non sono per nulla multitasking.
Le manchevolezze nel romanzo
Per proseguire con le metafore, nei confronti de Il Tempio di Salomone ho avuto la sensazione di dover prendere un gatto e ficcarlo in una tinozza per fargli fare un bagno. Com’è ovvio il micio, inferocito, non voleva saperne di sottoporsi all’ingrato lavaggio.
Alcune lacune erano evidenti a un primo sguardo: mancava tutta la parte relativa al giovane François de Saint-Omer, personaggio attorno a cui ruotano tutti gli altri, mentre era già scritta la storia relativa al padre, l’ormai celeberrimo e fascinoso cavaliere fiammingo, e soprattutto della bella regina Arda.
La seconda questione era che i personaggi erano troppo stanziali, mentre di solito li faccio girare come trottole attorno al mar Mediterraneo tra guerre, avventure e colpi di scena a ripetizione fino a togliere loro il fiato.
Il terzo difetto è che, proprio per i problemi suddetti, il romanzo era troppo magro rispetto agli altri, anche se quest’affermazione riguarda un manoscritto di circa quattrocento pagine.
Spremersi le meningi
Ho cominciato ad attivare la mia scarsa materia grigia sondando varie ipotesi. Per François ho pensato di scrivere una storia gialla alla corte di Marrakech, ma poi ho lasciato perdere: ambientare un’inchiesta in una corte musulmana del XII secolo con tutte le restrizioni originate dalla cultura, e dai dettami religiosi, non mi sembrava una buona idea. Inoltre, non ho l’abilità di una giallista, e sarebbe stata una nota stonata in una serie di vicende che parlano di tutt’altro.
Ne ho parlato al telefono con la mia beta-reader storica, ma, non volendo raccontare troppo della trama, ho dovuto limitare le mie rivelazioni, anche se parlarne ha messo in moto tutta una serie di meccanismi mentali utilissimi. Però i miei fogli appallottolati si ammontavano nel metaforico cestino, e il romanzo-gatto mi soffiava e mi ringhiava contro non appena tentavo qualche intervento.
Il mio regno per una mappa
Quando ci si inoltra in un territorio impervio, però, uno dei metodi migliori è quello di tracciare una mappa, come potete vedere in questa bellissima immagine di mappa medievale del 1321 di Pietro Vesconte, ora alla British Library.
. se ci sia un buon equilibrio tra le scene (come sapete nel ciclo medievale tendo a dare molto rilievo alle scene con Geoffroy de Saint-Omer, ma anche gli altri protagonisti devono avere il loro giusto spazio);
. se non ci siano delle scene ripetute, o anche delle anticipazioni, e in questo caso tagliarle, spostarle o correggerle;
. se una parte sia della giusta lunghezza rispetto alle altre: magari ci sono delle scene su cui insisto troppo e altre troppo sbrigative.
Detto in poche parole, occorre lavorare alla sistemazione della struttura e così ho fatto. Lentamente sto venendo fuori da questo ginepraio anche se il lavoro è immane, perché si tratta di prendere delle parti del romanzo successivo e trasferirle ne Il Tempio di Salomone in una vera e propria rivoluzione (che a quanto pare spunta anche qua!) che ha qualcosa di folle. Inoltre sto eliminando delle sottotrame che non mi hanno mai convinto fino in fondo.
Il lavoro e la scrittura: due vasi comunicanti
Ma veniamo alla domanda che intitola questa mia riflessione, cioè quegli aspetti della propria professione che possono aiutare la scrittura. Qualche anno fa avevo parlato in che cosa consiste il mio lavoro di editor per volumi scolastici e universitari in lingua inglese e francese, in un paio di puntate sul blog Anima di Carta di Maria Teresa Steri dal titolo “Il meraviglioso mondo dell’editor di scolastica”, sotto le mentite spoglie di Alice, che potete trovare qui e qui.
Spiegare il ruolo di una redattrice o editor di scolastica non è mai facile perché non sono autrice, non sono traduttrice, e non solo semplicemente una correttrice di bozze, ma sono una sorta di consulente che assiste un autore nello sviluppo della sua opera, a più livelli secondo l’incarico ricevuto. Molta acqua è passata sotto i ponti e, se il mio lavoro non è cambiato nella sostanza, ho potuto fare nuove esperienze, e mi è perfino capitato di diventare autrice di mappe grammaticali e lessicali.
Nella complessa lavorazione di un testo di scolastica, come avrete ormai capito, l’imponderabile è sempre in agguato, e di questo vi ho dato solamente alcuni pallidi esempi. Vi assicuro che potrei scrivere altri trenta post, ma tralascio. Il succo del discorso è che cosa questa professione mi ha insegnato, e continua a insegnarmi. Tre cose fondamentali:
1 La visione d’insieme. Nello sviluppo di un corso di scolastica non ci deve essere solamente un occhio di riguardo sul particolare, o sulla Unit (leggi: capitolo), ma sull’intera opera. Anche in un romanzo è quindi fondamentale avere questo sguardo complessivo. L’autore ha questa facoltà quasi divina, così è bene che spesso faccia delle ricognizioni a volo d’uccello sui suoi territori.
2 L’ordine. La vita è un caos apparente, e quindi sta all’editor far sì che i materiali siano sistemati in maniera corretta e armoniosa. Così come un corso ha una sua struttura e una sua regolarità interna, anche da un romanzo devono trasparire entrambe le cose. A livello razionale non lo senti, ma l’irrazionale lo avverte eccome.
3 La coerenza interna. Se tolgo un vocabolo e lo presento in una lezione successiva, mi devo ricordare di toglierlo ovunque finché non viene presentato “ufficialmente”. Se faccio fuori un personaggio in un capitolo, non può rispuntarmi due capitoli dopo, risorgendo senza un valido motivo…
Ecco, penso che questi aspetti del mio lavoro mi abbiano aiutato a orientarmi nei miei romanzi, e dunque a migliorare almeno un po’ l’organizzazione e le modifiche nella struttura; i rimandi interni; il bilanciamento del materiale; la coerenza e l’uniformità. Ho potuto appurarlo anche nel mio lavoro relativo a Il Tempio di Salomone, e non dico di aver domato del tutto il gatto che non voleva fare il bagno ma sono riuscita a trovare delle soluzioni per fargli accettare il sapone.
Sono però convinta che, qualsiasi sia la nostra professione, il nostro incarico, anche in famiglia, possano contribuire a migliorare aspetti della nostra scrittura, o se non altro essere un’ottima palestra psicologica. E che persino una professione per noi poco appagante ci può offrire molto in questo senso.
***
E voi che cosa ne pensate? Ci sono aspetti della vostra professione che vi sono sembrati utili nella vostra attività di scrittura, o che ritenete possano rivelarsi interessanti se avete intenzione di scrivere?
Complimenti per l'impegno sempre vivo, sarà che io sto in "pausa" da molto ormai (sì, sto facendo fumetti, ma non è la stessa cosa, la verità è che se dovessi scrivere un romanzo o anche solo un racconto in questo momento non avrei testa per farlo).
I principii che hai elencato per la stesura di un testo sono sicuramente perfetti anche per la narrativa. Sicuramente la tua professione ti ha fornito molti mezzi per apprendere al meglio tutti i segreti per redigere un buon romanzo.
Nel mio caso purtroppo no, nel senso che inviare lettere (ormai e-mail) commerciali o corrispondenza in genere spesso richiede di saper dosare bene le parole, però ovviamente parliamo di testi troppo brevi e troppo specifici perché la loro redazione possa risultare di un qualche aiuto nella realizzazione di un racconto di narrativa, che è ben altra cosa.
Grazie mille, Ariano. Cerco di approfittare del mio livello di energia, che al momento è molto buona, per portare avanti alcuni miei progetti per l'immediato futuro. Sebbene l'anno appena trascorso mi abbia fatto diventare alquanto fatalista… Poi per il resto penso che sia giusto assecondare i propri desideri, se in questo momento ti senti più ispirato dai fumetti ben venga!
Credo che tu abbia una visione d'insieme e una capacità di lavorare sulla struttura che a me manca. Quando devo lavorare sulla struttura di una storia non so mai cosa fare. Non ho un metodo. Una volta fatta la scaletta scrivo e spero in bene. Quanto al lavoro… A me al massimo porta storie, frammenti di personaggi. E ciclicamente la necessità di scrivere un giallo in cui il morto sia uno studente…
All'inizio non facevo molto caso alla struttura, il che mi andava bene quando scrivevo romanzi contenuti come "Una storia fiorentina". Poi ho cominciato a impantanarmi, per esempio con "Il pittore degli angeli" avevo dovuto fare delle forti integrazioni e non avevo un vero metodo: è stato una specie di bagno di sangue. L'attenzione alla struttura mi è cresciuta con il tempo, professione a parte, ora penso che l'articolazione sia uno degli aspetti più importanti di un romanzo.
Mi hai fatto ridere con la tua affermazione finale! 😀 Comunque il tuo primo romanzo che lessi mi colpì proprio per il tuo approccio al mondo degli adolescenti.
Potrei dire che avere avuto poche esperienze degne di essere raccontare, durante l’esercizio della professione, più che fornirmi delle regole utili, avrebbe potuto solo lasciarmi il desiderio di scriverne, ma non hanno fatto nemmeno questo. Avere a che fare con leggi e sentenze frena ogni slancio creativo, però, se fossi una scrittrice di gialli, sicuramente, fare l’avvocato mi avrebbe aiutata nelle deduzioni o nella ricostruzione dei fatti; del resto abbiamo validi esempi di uomini operanti nel settore giudiziario, che sono divenuti famosi scrittori.
Interessante invece, la metodologia che adotti quando scrivi: i sunti delle singole scene devono essere di grande aiuto, come fare una scaletta, cose, entrambe, che non ho mai sperimentato, ma solo perché non mi vengono spontanee.
Il filone del legal thriller ha conquistato una grande fetta di mercato, soprattutto qualche anno fa, evidenziato anche da fortunati film basati sui romanzi per esempio di Grisham. In Italia mi viene in mente Carofiglio, ma ce ne saranno altri. Ecco, questo è un mondo di cui avere una profonda conoscenza, come quello della medicina legale, altrimenti corri il rischio di scrivere moltissime inesattezze o banalità che sarebbero individuate subito dagli addetti ai lavori e farebbero crollare tutto il romanzo.
Per quanto riguarda la metodologia, so che alcuni scrittori usano dei post-it o dei foglietti con scritte le scene che poi possono spostare fisicamente.
Ammiro molto la tua organizzazione quando scrivi e revisioni, Cristina. Penso che in questo la tua professione sia stata effettivamente determinante, abituandoti a un certo rigore e all'analisi.
Per quanto mi riguarda, tempo fa avevo parlato sul blog di come la mia professione mi avesse aiutato nella scrittura, sia da un punto di vista organizzativo, sia per altri aspetti. Mi dicono che mi è rimasto anche un certo stile giornalistico quando racconto e probabilmente è vero.
Curiosa la metafora che hai fatto sul romanzo come gatto recalcitrante!
Sui riassuntini di ogni capitolo, li faccio anche io, ma in fase di scrittura per accertarmi di scrivere solo scene utili.
La struttura interna di un romanzo assomiglia a quella di un orologio con tutte le rotelle a posto e ticchettanti… sempre a proposito di metafore. 🙂
Fare un elenco può far perdere un po' di "poesia" al momento, ma ti permette di risparmiare molto tempo dopo. E senz'altro la professione di giornalista abitua a una capacità di sintesi che a me manca, anche se con I Serpenti e la Fenice ho adottato uno stile ricercato, ma più rapido in alcuni punti, in accordo con il periodo.
Tu sei grandiosa Cristina, la tua precisione, le tue competenze. Io beh no, la mia professiono proprio non serve a nulla, semmai il contrario, scrivere mi aiuta anche a scrivere mail efficaci, in un momento storico in cui si parla, si hanno mille mezzi eppura la comunicazione è spesso deficitaria. Come detesto quando pongo una domanda che prevede come risposta Sì oppure No, che si giri intorno e quelle due lettere no, non me le dicano mai, devo dedurle ancora io.
Ma dai, Sandra, mi fai arrossire. ^_^ Ti ringrazio tantissimo delle tue parole.
Hai ragione quando dici che la comunicazione è spesso deficitaria e purtroppo lo si vede anche agli alti livelli. Pensa che un tempo la dialettica era un argomento di studio, ora devono imbastire dei corsi d'italiano per gli studenti al primo anno di università perché non sanno comprendere il senso di un testo, per non parlare degli errori di ortografia e grammaticali che commettono.
Per quanto riguarda le mail o le lettere, al liceo io avevo l'ora di corrispondenza commerciale, in italiano, inglese e francese. Quando giunsi in casa editrice come segretaria, il mio direttore editoriale rimase strabiliato dalla forma e dal contenuto delle mail… 😉
Ottimo metodo quello dei sunti per ogni capitolo, io non lo faccio e infatti ogni tanto mi perdo e poi devo riprendere le fila.
Dal mio lavoro ho preso la capacità di organizzare il tempo, le scadenze e l’organizzazione delle priorità, cerco di utilizzare tutto questo nella scrittura dandomi un metodo.
Non sempre ci riesco bene, ma man mano mi sto perfezionando…
Senz'altro per il tuo lavoro sei molto organizzata soprattutto in rapporto alle scadenze incombenti!
Anch'io ho dei calendari di lavoro, ma sono di massima, in quanto i volumi devono essere pronti per il mese di gennaio e andare in stampa per la propaganda. Non sono date così fiscali come le tue ;), anche se i responsabili di produzione ambirebbero a renderle tali.
Sono in ammirazione per la tua organizzazione mentale e per la tua competenza. Sei proprio un riccio (facendo riferimento a un tuo commento sul mio blog) e conosci bene la tua materia storica ma soprattutto la scrittura e le sue regole. La tua domanda iniziale, permettimi, è retorica. Nel tuo caso almeno. Il tuo lavoro ti ha sostenuta, certo. Ma potrebbe anche essere il contrario ovvero che sia questa tua predilezione per l'ordine e l'organizzazione, per la scrittura leggera e penetrante che ti ha fatto diventare editor scolastica. Chi lo sa. Quanto a me : il mio lavoro mi ha insegnato a ragionare e analizzare molto e qualche volta a fare palestra con lo scrivere. Sarà per questo che scrivo romanzi per lo più introspettivi? Sul metodo che hai illustrato : condivido che sia faticoso ma utilissimo. Lo sto utilizzando quasi pari pari per la mia nuova storia. Ma la mia lentezza mi rende tutto più difficile… A te invece sembra riesca tutto facilmente!
Sì, hai assolutamente ragione, sono proprio un riccio fatto e finito! 😀 Per quanto riguarda il mio lavoro, ho fatto tutta la gavetta, pensa che ho iniziato a lavorare prestissimo come dattilografa dopo il diploma al liceo. Non so se, come dici, la mia attitudine alla scrittura mi ha portato a diventare editor, penso che accada come nei vasi comunicanti in cui uno alimenta l'altro in uno scambio incessante. Il mio lavoro è comunque un'ottima palestra, specialmente perché si tratta di lingue straniere e le modalità didattiche sono molto complesse per tutta una serie di motivi, non da ultimo le linee guida del Ministero della Pubblica Istruzione che ovviamente continuano a cambiare per la nostra gioia. 🙂
Interessantissima la tua analisi sul lavoro e quello che ti ha portato a esprimere nei tuoi romanzi. Sono molto contenta che abbiamo dei punti di contatto sul metodo di lavoro basato sull'elenco, io non ne potrei più fare a meno.
Cristina ti dirò alla fine del romanzo se ha funzionato. Per ora intravedo utilità ma sperimento fatica… Grazie per esserti aperta con me. La mia riflessione è il riflesso della tua
Questi scambi tra noi sono davvero preziosi, Elena. Ti invio un abbraccio grande.
Lo abbraccio con piacere 🙂
<3
Uso anch'io il metodo dei brevi riassunti, solo li riporto su schede, così posso stenderli sul tavolo e spostarli a piacimento. Mi trovo molto bene in questo modo. Non riesco a immaginare un modo in cui il mio lavoro passato può avere contribuito al mio scrivere… forse lo ha favorito con la noia, negli ultimi anni. 😉 (Bellissimo dipinto!)
Mi ricordavo che usi queste schede che puoi spostare a seconda delle necessità. 🙂
Anche a me questo dipinto piace molto, ce n'è uno altrettanto bello di un bambino che gioca con una trottola, sempre settecentesco. Prima o poi proporrò anche questo.
Sicuramente essere un grafico e aver lavorato come factotum in una casa editrice per cinque anni, dal 2008 al 2013, mi ha aiutato molto con il mio romanzo. In tutte le sue fasi, dalla prima stesura fino alla sua impaginazione e grafica finali. Mi sto invece scontrando con la mia inettitudine sul piano del marketing. Ma non potendo permettermi di affidarmi a un manager editoriale, anche qui mi arrangio come posso.
Aver lavorato come grafico ti ha dato senz'altro una prospettiva importante, Ivano, per non parlare poi della conoscenza di tutti i passaggi per la realizzazione di un libro. Come scrivevo nei miei post sul blog di Maria Teresa, ho fatto la gavetta avendo modo di esplorare tutte le fasi della nascita, dello sviluppo e della morte di un testo di scolastica.
Il lato del marketing è un tasto dolente per molti autori autopubblicati, del resto è un lavoro a tempo pieno che ha delle dinamiche tutte sue. Spesso per me sono del tutto incomprensibili!
Mi sono andata a rileggere i post da Maria Teresa, rileggendo anche me stessa nel secondo articolo fra i commenti. Ahimè, a oggi posso confermare le stesse cose. I testi scolastici al momento stanno trasformandosi a uso e consumo della Dad, ma anche lì, ancora idee troppo generiche, che magari vanno bene in una realtà e meno in un'altra. In compenso, da allora il team di Lettere ha cambiato tutte le adozioni e oggi lavoriamo molto bene con Storia della Pearson, per farti un esempio. Anzi, la Pearson come testi scolastici risulta essere al momento il top in tutte le materie.
Posso immaginare l'immane lavoro che stai facendo per il seguito della monumentale storia del tuo romanzo! Incredibile come si possa anzi delineare una determinata idea e poi modificarla in toto. Diciamo che tutto questo brainstorming è necessario proprio nelle lunghe narrazioni. I tuoi romanzi sottendono una certa complessità, e si vede tutto il lavoro che c'è dietro.
Per quanto riguarda la mia scrittura… non so. Ho sempre considerato la scrittura creativa come un atto che avviene di getto, sull'onda lunga di una particolare emozione che suscita un'idea arrivata all'improvviso. Per esempio, qualche alba fa (eh eh mi capita di svegliarmi per dire alle 4 del mattino e poi fare una sorta di dormiveglia in cui la mente cavalca di immagini) ho immaginato tutto lo sviluppo e il gran finale di una storia cui sto pensando da almeno un paio d'anni. Ecco, da qui poi le fasi sono talmente lunghe e complesse che rispondo… no. Il lavoro di insegnante che svolgo non sottende questo lungo lavorio, già quello che faccio mi logora. 😀
Anch'io ho voluto fare la stessa cosa, cioè andare a rileggere sia i post sia i commenti che ne erano scaturiti. Attualmente lavoro quasi esclusivamente per Pearson per cui quest'anno è in uscita la nuova edizione di una splendida letteratura in due volumi "Amazing Minds New Generation" cui ho contribuito e con un'impostazione ancora più innovativa e dinamica e collegata agli obiettivi sostenibili 2030 dell'Onu. 🙂 Non conosco i testi di Storia di Pearson, ma so come lavorano nel settore lingue straniere: contenuti e grafica sono curati in maniera millimetrica. Per il resto con questa Dad che imperversa si naviga tutti a vista…
In effetti il lavoro di trasferimento e abbattimento che sto facendo per il mio romanzo sembra molto simile a uno stato di follia generale. Il punto è che con questi romanzi così lunghi e complessi non ti puoi permettere dei difetti nella struttura, proprio perché l'attenzione dovrebbe essere mantenuta viva per seicento pagine. Per carità, magari c'è la scena meno incisiva, però questa è una autentica sfida!
Il dormiveglia è il momento ideale perché scaturiscano idee e immagini, pensa che il mattino successivo alla mia telefonata con la beta-reader mi sono svegliata all'alba con un paio di soluzioni per Il Tempio di Salomone. ^_^