Sono molto felice e lusingata di poter partecipare all’iniziativa di Luz, titolare del blog “Io, la letteratura e Chaplin”, che nel suo post (qui il link) ha rivolto a una serie di blogger delle domande personalizzate, seguendo anche il taglio di ciascun blog. È stata una splendida sorpresa di cui la ringrazio! La domanda per me è stata la seguente:

“Hai la possibilità di vivere un giorno in uno dei tuoi romanzi storici. Dove ti recheresti, che personaggio saresti? Puoi scegliere fra quelli da te creati o uno che accompagni un personaggio”.

Ed ecco il mio elaborato. 😊

 

 

Viaggio nel tempo con sorpresa

Ebbene sì, confesso che il mio primo impulso sarebbe stato quello di approfittare della mia macchina del tempo per lanciarmi a tutta birra nella Parigi del 1789 e dintorni. Com’è noto siamo nel periodo della rivoluzione francese, e all’epoca la città era una specie di fogna a cielo aperto. Ce lo racconta il nostro autore di tragedie e poeta Vittorio Alfieri nella sua autobiografia, definendola appunto una “fetente cloaca” e, in uno dei suoi sonetti satirici, la chiama “il gran Lutópoli” cioè la città del fango. Il conte Alfieri era un personaggio un tantino sopra le righe, per usare un eufemismo, e aveva il dente avvelenato coi francesi per svariati motivi; però ho riso molto delle sue esternazioni perché questo dato è verissimo. Ce lo conferma anche Louis-Sébastien Mercier nel suo “Tableau de Paris”, una sorta di resoconto giornalistico molto affidabile.

Accantonata dunque l’idea di andare Parigi per conoscere i miei amici rivoluzionari, e riponendo nel cruscotto la molletta per il naso, ho impostato la rotta arretrando di molti secoli: per la precisione all’epoca della cosiddetta Prima Crociata del 1099 dove ho ambientato i miei romanzi del ciclo “La Colomba e i Leoni”. La mia destinazione sarà Gerusalemme, che in questa vita non ho mai visitato, e atterrerò sul tetto della moschea di al-Aqṣā, considerata dagli ebrei il tempio del re Salomone, poi trasformata in palazzo reale dai capi cristiani dopo aver conquistato la Città Santa.

Speriamo che la funzione dell’invisibilità di cui è provvisto il mio veicolo mi consenta di atterrare senza essere notata, o in caso contrario il mio arrivo potrebbe essere scambiato per un celeste prodigio. Potrebbe dunque far accorrere soldati, monaci, nobili e gente di ogni risma, che mi osserverebbero con il naso all’insù dalla spianata del tempio. Nel Medioevo il popolo era prontissimo a vedere mostri e forme fantastiche in ogni nuvola, santi che accorrono in battaglia per aiutare l’uno o l’altro schieramento, spade sguainate che balenano nei raggi del sole, e chi più ne ha più ne metta.

Per quanto riguarda il personaggio che ho scelto di incontrare… lo scoprirete a breve! Seguitemi in questa mirabolante avventura.

 

Portale del tempo. Foto: Pixabay

 

Imposto le coordinate che mi consentiranno di viaggiare a velocità iperbolica nel tempo e nello spazio – tanto sono abituata alle accelerazioni della piattaforma teams durante i miei esami – e, dopo un ronzio e un bagliore accecante… eccomi arrivata! Le coordinate non erano molto precise, e ho rischiato di andare a sbattere contro la cupola del tempio, ma l’ho evitata sterzando e frenando in un gran polverone. Apro il portellone ed esco. Sono proprio fortunata perché è una giornata di sole con un po’ di vento. Mi guardo attorno. Mi trovo alla sommità del palazzo, accanto alla cupola tondeggiante, e rimiro la spianata delle moschee con la Cupola della Roccia che si erge, incontrastata, a poca distanza. Il cielo è nuvoloso sopra il grande spiazzo, e un vento freddo mi smuove i capelli.

Dopo essermi saziata della vista della Città Santa, entro in una porta che porta dabbasso e mi introduco nel tempio. Ho deciso di scendere fino al pianterreno e poi salire nella mia esplorazione. Procedo nelle stanze e nei corridoi, sempre protetta dal mio mantello di invisibilità, che per fortuna è un accessorio trovato nella macchina del tempio. Questo luogo è un vero labirinto, però, e il mio scarso senso dell’orientamento non mi aiuta. Uffa. Mi perdo in più di un’occasione, e mi sembra di girare sempre in tondo. Devo anche stare attenta a schivare i servi che mi vengono incontro e che non mi vedono. La moschea di al-Aqṣā è stata occupata e riadattata a palazzo reale: un edificio a dir poco gigantesco. Procedo in mezzo alla foresta di colonne, dove i passi echeggiano quasi si vogliano perdere nell’eternità. Tutt’attorno, sono scritte incomprensibili in lingua araba, pareti ornate con mosaici di foglie e frutti, e disegni geometrici, ornamenti di legno intagliato, nicchie contornate da frastagliature, piastrelline dai colori meravigliosi, ma nessuna raffigurazione di esseri umani o animali. Mi fermo per rimirare la grande cupola scintillante di tessere musive, con il naso all’insù: è una vertigine che attira come un risucchio.

Alla fine della visita, ho in mente di dirigermi verso l’ala meridionale, dove sono alloggiati alcuni cavalieri che, a questa altezza cronologica, hanno intenzione di fondare un nuovo ordine militare. Saranno un po’ monaci e un po’ guerrieri, e questa sarà una novità. Per il momento il re ha concesso loro l’uso di alcuni locali e delle stalle: loro non lo sanno, ma la fondazione di questo ordine sarà l’inizio di una straordinaria avventura che durerà due secoli.
Il lato orientale con il rosone medievale della chiesa del Palazzo di Salomone. Foto: Wikipedia.

 

Ora subentra però la preoccupazione per l’incontro con il personaggio che ho scelto, cioè Geoffroy de Saint-Omer. Ebbene sì, è proprio lui, care lettrici del fan club di Geoffroy! Scommetto che in questo momento vorreste essere nei miei panni, e come minimo gli chiedereste l’autografo, o persino una ciocca dei suoi lunghi capelli biondi. Il problema è che Geoffroy è un uomo che mette molta soggezione. Figuratevi che all’inizio lo avevo previsto come un personaggio di contorno. A livello storico, non si sa quasi nulla di lui, a parte il nome, e qualche traccia nelle testimonianze dell’arcivescovo di Tiro su questi cavalieri animati da zelo religioso. Così si può dire che è avvolto da un’aura leggendaria, il che mi ha permesso una certa libertà di manovra nei suoi riguardi, sempre nel rispetto del contesto medievale.
Comunque, come dicevo, Geoffroy si è imposto come uno dei protagonisti della storia, e più di una volta ha rischiato di prendersi tutta la scena perché ha un notevole carisma. Beh, in primo luogo l’aspetto fisico lo aiuta, perché è bellissimo anche se non molto alto. Ecco come lo vede suo figlio François: Era di una bellezza straordinaria. Virile senza alcun dubbio. Nessuno avrebbe mai potuto travestirlo da donna e farlo passare per tale in modo credibile. L’uomo aveva il volto aperto, dai lineamenti regolari, armoniosi, la fronte alta. Nel viso s’aprivano occhi azzurri, freddi per il loro colore, duri e penetranti al tempo stesso. Non portava barba né baffi, e la pelle prometteva la crescita di una barba morbida e chiara. Il naso era lievemente aquilino, la bocca morbida, ma non effeminata. Dava l’impressione di grande armonia, addirittura di regalità. L’altra cosa straordinaria erano i capelli biondi, lunghi e in misura talmente copiosa da tenerli racchiusi in un legaccio. Quella chioma gli ricordò, chissà perché, la criniera di un leone. Eppure l’uomo non era più tanto giovane, e non avrebbe dovuto possedere quei capelli abbondanti. E aveva le spalle larghe, e un corpo bellissimo, da guerriero. 
Insomma, è un po’ una via di mezzo tra il protagonista di “The Witcher” e questa scultura che raffigura l’arcangelo Michele nell’atto di trafiggere il male, qui rappresentato da un serpente.

Nonostante la sua tempra eccezionale, Geoffroy non è un personaggio monolitico, e questo fa parte del suo fascino. Cammina sempre sul limitare di sentieri che potrebbero facilmente fargli porre il piede in fallo. Insomma, è soggetto a tentazioni di ogni tipo. Tanto per dirvene una, è un alchimista pentito. È anche piuttosto vanitoso, cioè sa di essere un bell’uomo… per cui, ora che ci penso, dubito che rinuncerebbe a ciocche della sua folta chioma in vostro favore, care le mie groupies.

Tra le sue molte qualità, ha un forte senso di paternità, non soltanto nei confronti di François, il figlio adorato, ma anche nei confronti dei amici più giovani (specialmente il suo compagno d’armi Hugh de Payns). Non voglio sviolinare troppo, e spero di aver fatto del mio meglio come autrice; al limite chiederò scusa se non sono stata all’altezza delle sue aspettative, e mi offrirò di occuparmi delle sue armi, e soprattutto della sua spada. Volete sapere come è fatta? Era un’arma di splendida fattura, con una croce greca incisa nel disco del pomolo e il rilievo di un muso leonino posto in un altro disco più piccolo, al centro dell’elsa lavorata. Dal punto ov’era il disco con il leone, erano incise fiamme a voluta. Lo stesso avveniva sulla lama, cominciando dalla parte larga vicina all’elsa, e lungo tutto il metallo il fuoco inciso, avvampando, emetteva ai lati molte fiamme più piccole.

Non manca molto, sono arrivata proprio nell’ala meridionale dove risiedono i cavalieri. Vedo la porta che conduce ai loro alloggi. Mi apposto nelle vicinanze dell’uscio, assalita dalla timidezza. Quasi quasi torno indietro e risalgo sulla mia macchina del tempo, ma so che Luz rimarrebbe delusa – e anche voi, scommetto! – perché sarebbe un finale che non manterrebbe le vostre aspettative, un crescendo che si concluderebbe in un capitombolo. Così spingo timidamente l’uscio poiché è socchiuso, ed entro… per un attimo sono abbagliata dal sole che inonda la stanza.
 
Davanti a una finestra sulla città, e sul sole del tramonto, un uomo è in piedi. Mi volge le spalle, e ha la mano sul pomolo della spada. Sta guardando verso quel sole, come se non mi avesse sentito entrare. L’ho riconosciuto. Ha i capelli lunghi, biondissimi, uniti da un legaccio di cuoio. Si è girato, ma io mi sento talmente confusa e intimorita che, ancora, non riesco a scorgere le sue fattezze nel gioco finale dei raggi di sole. L’uomo cammina verso di me, seguitando a tenere la mano sul pomolo della spada. Con straordinaria, incoerente precisione, io vedo, incisa sul piatto disco del pomolo, una croce, e le dita dell’uomo circondare quella croce. Avverto la gola seccarsi per la paura. Apro la bocca per cavare aria, sono sul punto di gridare, di darmi alla fuga. Un terrore innominabile mi afferra, mi stringe alle viscere, mi discioglie… Come d’incanto, sento una voce rivolgersi a me, e dirmi: “Benvenuto a Gerusalemme, figlio mio. Ti stavamo aspettando.”

***

Cristina M. Cavaliere

 

Nota: Le parti in corsivo sono passaggi elaborato dai romanzi del ciclo: “La terra del tramonto”, “Le strade dei pellegrini”, “Le regine di Gerusalemme”.