La crisi afghana
Viviamo in un tempo esausto e in un mondo globalizzato attraversato dalla pandemia, dalla crisi climatica, da una guerra mondiale combattuta “a pezzi” secondo le parole del Papa, dove la forbice delle disuguaglianze sociali ed economiche sembra farsi sempre più ampia e la cultura dello scarto diventa sempre più pervasiva.
L’estate era propizia per un periodo di riposo all’insegna di un cauto ottimismo. Ma, come voi, ho assistito con sgomento e un senso di impotenza agli avvenimenti che si sono rapidamente succeduti soprattutto dopo il 15 di agosto in Afghanistan. La crisi in Afghanistan, una sorta di conflitto dimenticato e che era finito in fondo all’agenda dei potenti di turno, è sembrata esplodere con la forza di una supernova.
Dopo una guerra ventennale e un enorme dispendio di uomini, mezzi, soldi e risorse, il ritiro degli americani e della coalizione Nato è avvenuto in mezzo al caos ed è apparso più una rotta come quella di Caporetto che un ritiro graduale, con date che si susseguivano e diventavano sempre più stringenti. Abbiamo assistito all’avanzata rapidissima dei talebani verso Kabul, alla dissoluzione dell’esercito afghano che ha abbandonato aerei, droni, armi, elicotteri ai vincitori.
Soprattutto abbiamo visto scene strazianti con persone aggrappate ai carrelli di aerei in decollo, altre accalcate all’aeroporto di Kabul per giorni, in luogo divenuto un’enorme discarica, in attesa di essere imbarcate in una sorta di terrificante lotteria tra la vita e la morte, altre che disperatamente scappavano, e scappano tuttora, attraverso le frontiere dei paesi limitrofi, Pakistan in primis. L’attentato poi, e le sue conseguenze, è stato definito una sorta di apocalisse, ed è costato la vita a più di centosettanta persone. Abbiamo visto i pochi fortunati nei cargo nel ponte aereo, e abbiamo pensato a coloro che non ce l’hanno fatta e sono rimasti all’interno del paese trasformatosi in trappola.
In Afghanistan è in atto una catastrofe umanitaria, sociale, economica che avrà delle ripercussioni nel resto del mondo. Si tratta di un collasso e un tornado insieme che sembrano spazzare via venti anni di stentate conquiste, in primo luogo a favore delle donne e dei loro diritti, ma anche degli oppositori politici, delle minoranze etniche e delle confessioni religiose oggetto di persecuzioni, e l’orologio sembra ritornare indietro di venti anni… anche se così non è.
Le dottrine politiche
Francamente mi sono chiesta a che cosa serve questo mio blog di fronte all’enormità degli avvenimenti che si succedevano, alla pochezza dei miei problemi e al mio senso di impotenza, in parte anche ispirata dall’articolo di Grazia Gironella “La narrativa è inutile?” (qui il link), e forse anche da un filo di depressione, che di questi tempi non è un’ipotesi così peregrina. Il mio blog a dicembre compirà dieci anni, e mi sono chiesta se non varrebbe la pena di festeggiare tale ricorrenza con una chiusura definitiva, come tanto spesso ho ipotizzato. Eppure…
Stavo sfogliando i giornali a proposito della crisi afghana quando sono stata colpita da una frase pronunciata da uno scrittore afghano “Ci vorrebbe una nuova età dei Lumi”. L’Illuminismo, il Settecento, il mio periodo. Sono andata subito a compulsare i libri che stavo ripassando in vista del mio imminente esame di storia delle dottrine politiche, come Paolo sulla via di Damasco o, meglio ancora, come una donna del Settecento folgorata dai lumi della ragione. L’Illuminismo, quel movimento europeo che si batté per spazzare via l’oscurantismo, la superstizione, la società dei privilegi di nascita, che collaborò a vario titolo con i sovrani per operare delle riforme e garantire a tutti diritti di libertà e uguaglianza.
Quando si studiano questi autori del passato, infatti, si ha sempre l’impressione che siano rivestiti da una patina un po’ opaca, come un ritratto a olio affumicato, o un dagherrotipo ormai sbiadito, e che abbiano poco o nulla da dirci in quanto i loro problemi, e le soluzioni rintracciate, appartenevano al loro tempo.
Eppure il loro pensiero relativo ai diritti delle donne è attualissimo. Sapevate, per esempio, che Giuseppe Mazzini – sì, proprio lui, uno dei protagonisti del nostro Risorgimento, ormai ridotto a una figura da acquasantiera sui libri di storia – era un decisissimo fautore dell’uguaglianza dei diritti a tutto campo, sia per uomini che per donne? E sapevate che il liberale John Stuart Mill, autore di “Saggio sulla libertà”, ha avuto come coautrice l’amatissima moglie e antesignana del femminismo Harriet Taylor? Stesso dicasi per il pensiero anarchico, da Michail Bakunin in poi: le donne dovevano godere di pari opportunità educative e lavorative, di partecipazione politica, di avere legami sentimentali e scioglierli senza alcun tipo di violenza.
Le dottrine politiche e i diritti delle donne
Ho dunque pensato di proporvi una serie di articoli su queste figure di pensatori e pensatrici illustri per raccordarle con la contemporaneità, e non potevo che incominciare con Mary Wollstonecraft di cui avevo già parlato nella mia galleria di grandi donne e che riprendo come canovaccio (qui in un ritratto di John Opie del 1797).
Fu soprannominata dai suoi detrattori “la tigre in gonnella” per la determinazione nel far sentire la sua voce di combattente per i diritti – ed è qui un altro aspetto della sua modernità – non solo delle donne, ma anche degli uomini. La sua vita fu una continua provocazione per i perbenisti: convivenze non matrimoniali, una maternità illegittima, una vita “sregolata”. E le sue teorie sulle donne certamente non migliorarono la situazione. Ma incominciamo dall’inizio.
Mary nasce a Londra il 27 aprile del 1759 e vi muore il 10 settembre 1797, dopo un’esistenza piuttosto breve e molto avventurosa. La sua prima battaglia viene combattuta nell’adolescenza, nell’ambito di una famiglia condizionata dalla povertà e dall’alcolismo del padre.
Entrata in contatto con altre giovani donne, comincia a forgiarsi un’istruzione da autodidatta e soprattutto a irrobustire gli strumenti dialettici che le avrebbero permesso di battersi contro il conformismo, i pregiudizi e le ingiustizie sociali. La stessa Virginia Woolf, citandola, la definisce ribelle nel suo temperamento, e “con la rivolta nel sangue”. Ben presto Mary si rende indipendente con il proprio lavoro: una data importante è il 1787 dove trova un impiego stabile presso il mensile Analytical Review. In quell’ambiente entra in contatto con i migliori esponenti della cultura progressista londinese.
Nel 1789 avviene lo scoppio della rivoluzione francese, evento epocale in cui molti intellettuali e pensatori, compresa Mary, ripongono le loro speranze di progresso. Nel 1790 scrive la sua prima opera politica, A Vindication of the Rights of Men, in cui conduce un attacco ai privilegi nobiliari e una difesa del regime repubblicano, e si unisce al coro dei difensori della rivoluzione contro l’opposto schieramento degli oppositori conservatori e reazionari. In quest’opera afferma che tutti devono godere degli stessi diritti civili: gli uomini, ma anche le donne.
A questa affermazione dà pieno compimento nella sua opera del 1792, Vindication of the Rights of Woman. All’incirca nello stesso periodo nel 1791 un’altra donna, la francese Olympe de Gouges aveva pubblicato un altro scritto che apriva la strada al movimento femminista, la Déclaration des droits de la femme et de la citoyenne. Mary non fu coinvolta come Olympe negli eccessi della rivoluzione, ma pagò il suo atteggiamento di aperta sfida ricevendo insulti, insinuazioni e sberleffi.
Vive le amicizie con grande dedizione e ha relazioni tempestose. Sposa il pastore “dissenter” e filosofo William Godwin, precursore dell’anarchismo, dal quale ha la figlia Mary, nota scrittrice e moglie del poeta Percy Bysshe Shelley, meglio conosciuta come l’autrice di Frankenstein.
La Rivendicazione dei diritti della donna (Vindication of the Rights of Woman)
«È tempo di compiere una rivoluzione nei modi di esistere delle donne – è tempo di restituire loro la dignità perduta – e fare in modo che esse, come parte della specie umana, si adoperino, riformando se stesse, per riformare il mondo.»
(Mary Wollstonecraft, A Vindication of the Rights of Woman (1792), pubblicato a cura di Eileen Hunt Botting. Yale University Press, 2014, p.71)
Quest’opera ha dei punti di contatto sconvolgenti con la situazione delle donne afghane, e in generale nel resto del mondo che mi permetto di sottolineare nell’articolo. Ascoltiamo che cosa ci dice Mary Wollstonecraft.
Il matrimonio
Il trattato inizia con una breve introduzione dove la scrittrice sostiene che, non contenti della debolezza fisica delle donne, gli uomini si adoperano per farle cadere ancora più in basso facendole diventare oggetti di fugace attrazione; e le donne, inebriate dal loro atteggiamento, non si sforzano di diventare autentiche compagne e amiche. Nei primi anni di vita esse trascorrono ad acquisire un’infarinatura di tutto e con un’educazione di base minima. La forza del corpo e della mente viene sacrificata in favore di nozioni futili: Tra queste, vi è come incrementare la propria bellezza al fine di conseguire l’obiettivo del matrimonio.
Nei vari capitoli Mary tratta alcune opinioni che vanno per la maggiore e che lei confuta con grande acutezza e sapienza di argomentazione. Il titolo del primo capitolo, ad esempio, è “Dell’opinione prevalente di un carattere sessuale specifico”, ovvero che secondo l’opinione comune la donna è come una bambina e quindi deve essere mantenuta in uno stato di perpetua fanciullezza come se vivesse nel mondo dei balocchi e senza assumersi responsabilità. La donna va protetta sempre nella sua vita, sia nel corpo che nello spirito perché incapace di badare a se stessa: non vi ricorda qualcosa?
Le sue teorie sul matrimonio sono di conseguenza scandalose per i bacchettoni dell’epoca (non dimentichiamolo mai: parliamo di 1792). Il matrimonio per gli uomini “non è l’elemento centrale della vita; per le donne, invece, è l’unico progetto per cui affinare le proprie facoltà. Per acquistare una buona posizione devono fare un buon matrimonio, e a questo sacrificano il loro tempo, prostituendo legalmente il loro corpo.”
Alla base della sottomissione in cui la donna viene tenuta sta l’assunto della “naturalità” domestica delle donne, destinate per il loro carattere a occuparsi solamente degli ambiti ristretti della casa e dei figli.
Mary, invece, sostiene con forza che questa cosiddetta “naturalità” è solamente il frutto di una forzatura educativa e sociale, e come tale va combattuta. “La libertà è la madre delle virtù e se le donne sono, per costituzione, delle schiave, e non è concesso loro di respirare l’aria rigenerante e penetrante della libertà, allora sono destinate a languire sempre, come piante esotiche, ad essere riconosciute solo come bellissime imperfezioni della natura. L’unica imperfezione della natura.” La casa e i figli possono essere obiettivi del tutto legittimi, ma devono essere frutto di una libera scelta esistenziale e non un percorso obbligato.
La dipendenza della donna
La donna non è libera di scegliere e non ha la forza di combattere per i propri diritti perché non è indipendente né mentalmente né economicamente. Deve sottomettersi a un legame che non desidera, pena diventare una reietta, o peggio ancora; e, quindi, si prostituisce. In effetti le donne non sono disciplinate, ammette la scrittrice, perché non è mai stato insegnato loro come fare a esserlo; e sono quindi del tutto prive di spirito critico, dovendo sottomettersi ciecamente all’autorità maschile costituita.
Se la donna si avvale solo del suo aspetto fisico per legare a sé l’uomo, ben presto ne perderà l’amicizia, e all’amore subentrerà l’indifferenza dato che non si tratterà di un rapporto alla pari. Per ottenere quello che vogliono alle donne non resta che giocare d’astuzia, dopo essere diventate civettuole; e questa è l’astuzia tipica dello schiavo, che non ha altre armi.
L’educazione, le scuole miste
Tutto il ragionamento di Mary ruota proprio attorno a un termine-cardine, fondamentale per gli Illuministi: l’educazione. Che va radicalmente cambiata, per insegnare alle donne a coltivare il proprio spirito e la propria mente, e a saper esercitare un giudizio critico sulle cose; a non fare affidamento soltanto su una bellezza presto destinata a svanire. Secondo Mary occorre aprire le scuole a classi di tipo misto con bambini e bambine in modo che i due sessi traggano conoscenza e arricchimento dalla reciproca vicinanza. Vi assicuro che anche questo non era per nulla scontato!
La sua indipendenza di giudizio non le impedisce di ammirare il filosofo Rousseau, ma di criticare le sue teorie sull’educazione femminile espresse nell’opera “Emile” e in una scarsa paginetta. Al figlio maschio infatti il pensatore francese riserva tutte le cure di un’educazione sollecita e liberale, immersa nella natura; la figlia femmina è invece destinata ad apprendere tutto quello che le serve per rivestire un ruolo di madre e nutrice. Egli critica molto quelle donne che si sbarazzano dei figli affidandoli alle nutrici (salvo poi predicare bene e razzolare malissimo, visto che lui per primo si liberò dei figli lasciandoli in orfanatrofio): “L’uomo ha maggiore genialità; la donna osserva, l’uomo ragiona.” Contro questa mentalità Mary si batte con durezza nella sua opera, decostruendola con la forza del suo ragionamento.
La conclusione e l’eredità di Mary Wollstonecraft
In conclusione, l’istruzione e l’educazione sono l’unico modo per rendere libere nelle loro scelte, e realizzate, non solamente le donne, ma anche gli uomini che stanno loro accanto; e assicurare a entrambi i sessi la felicità che meritano.
Ho appreso di recente che l’opera di Mary Wollstonecraft, ripresa dalle femministe del XX secolo, viene ancora studiata. Guardacaso Ayaan Hirsi Ali, scrittrice politica, già musulmana e poi critica dell’Islam, in particolare per quanto attiene alla sua legislazione nei confronti delle donne, cita i Rights of Woman nella sua autobiografia “Infidel”, scrivendo di essersi «ispirata a Mary Wollstonecraft, pioniera del femminismo che diceva alle donne che esse avevano la stessa capacità di ragionare degli uomini e meritavano gli stessi diritti».
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Volevo sapere che cosa pensate della situazione in Afghanistan e una vostra opinione sulle parole di Mary Wollstonecraft. Nel frattempo vi auguro un buon autunno.
Cristina M. Cavaliere
Gli scritti della Wollstonecraft sono di due secoli fa. Un profugo afghano ha commentato sconsolato il ritorno dei talebani dicendo che il suo paese sta per tornare indietro di più di un secolo… É tutto riassunto qui, quei fanatici vogliono cancellare due secoli di storia a livello di evoluzione sociale.
Le immagini da Kabul sono state sicuramente una mazzata, una riedizione dell'esodo da Saigon e Phnom Penh negli anni '70. Coloro che non ce l'hanno fatta e sono rimasti lì sono rimasti all'inferno praticamente, l'inferno in cui non governa la ragione o il buon senso, ma il fanatismo, e soprattutto l'irrazionalità negativa, l'irrazionalità ispirata non dalla poesia ma dall'austerità feroce, l'irrazionalità retta non dall'umiltà ma da un'arroganza cieca e ottusa. Terribile che in un angolo di mondo si sia arrivati a tanto.
Va pur detto che ci sono altri stati con situazioni simili per quanto riguarda i diritti umani calpestati, ma non se ne può parlare perché sono "alleati" dell'occidente (vedi Arabia Saudita o altri emirati) o perché ormai non sono più un problema per l'occidente (tipo il Sudan).
Hai detto giusto quando hai nominato l'inferno in terra, purtroppo i riflettori si stanno già volgendo altrove, ma le poche notizie che arrivano sono davvero agghiaccianti. Stamane ho letto di una donna poliziotto incinta di otto mesi giustiziata dai talebani. Poi ci domandiamo che cosa porta delle persone ad aggrapparsi a un aereo in fase di decollo pur di fuggire, o ad attraversare il mare su dei barchini. Perché poi l'alternativa è questa.
Molto giustamente hai ricordato i nostri "alleati" dove vige una situazione del tutto simile. L'Arabia Saudita è uno dei maggiori finanziatori del terrorismo internazionale. Mio padre ci lavorò negli anni '70 e mi raccontava al suo ritorno di donne che erano praticamente invisibili e con nessuna possibilità di indipendenza, sempre scortate da una figura maschile ovunque andassero. I figli erano di proprietà del padre per cui eri "libera" di separarti, ma dovevi lasciare i bambini, chiaramente ben poche donne lo facevano…
Anche io mi sono chiesto spesso a cosa serva un blog. Il mio lo gestisco da oltre quindici anni e, specialmente negli ultimi tre o quattro, mi sono ripromesso spesso di chiuderlo. Poi, per un motivo o per un altro, ho sempre procrastinato e continuo tuttora a scriverci.
Per quanto riguarda la situazione dell'Afghanistan, è difficile non provare amarezza, tristezza e rabbia per quanto successo. Massimo Fini, vent'anni fa, nel libro Il vizio oscuro dell'Occidente scriveva che i popoli hanno il diritto di filarsi da sé la propria storia, senza ingerenze da parte di altri. Gli ultimi anni prima dell'invasione americana, seguita ai fatti tragici dell'undici settembre, sono stati anni di dominio talebano: di oscurantismo religioso, di fanatismo, di totale negazione di ogni diritto delle donne, di totale privazione di ogni libertà. Da questo punto di vista, l'arrivo degli USA e delle forze Nato ha rappresentato una sorta di liberazione, di emancipazione. Ora, andandosene così, tutto è tornato come prima.
Credo che la causa principale, anche se non l'unica, che genera tutto ciò risieda nel fatto che l'Afghanistan, così come tante altre regioni di quella parte di Oriente, sia una teocrazia, non abbia cioè ancora attuato la separazione tra religione e Stato, tra potere religioso e potere temporale, cosa che qua in Occidente abbiamo conquistato a partire dalla Lotta per le Investiture in poi. Da loro, ancora, questa separazione non c'è stata, con tutto ciò che ne consegue. Ma è un'idea mia, non so quanto fondata.
Per quanto riguarda il libro della Wollstonecraft, mi sembra molto molto interessante, come sono interessanti tutte le storie che riguardano i tentativi di emanciparsi delle donne. Ho letto recentemente Donne, madonne, mercanti e cavalieri, un bellissimo saggio storico di Alessandro Barbero in cui si raccontano storie e vicende di grandi donne del passato che si sono distinte per i loro tentativi di emancipazione e di messa in discussione delle regole del loro tempo, come Caterina da Siena, Giovanna d'Arco, Christine de Pizan (la prima donna che ha concepito se stessa come scrittrice di professione, rompendo la secolare tradizione che vedeva solo i maschi come scrittori di professione) e altre.
Mi sembra molto interessante il libro da te citato. Proverò a cercarlo.
Buona giornata.
Buongiorno Andrea,
benvenuto nel blog e ti ringrazio del bellissimo e articolato commento che ho letto con molto interesse. Mi riprometto di andare a visionare il tuo blog, che per fortuna hai mantenuto “acceso”, e per ben quindici anni, complimenti per la tenacia! Penso che le crisi da tenuta blog siano un po’ cicliche per tutti quanti.
Sono d’accordo con la tua disamina sul fatto che la separazione tra potere e temporale e potere spirituale pesi grandemente sulla situazione dell’Afghanistan, aggiungerei un’interpretazione particolarmente rigorosa della legge islamica o sharia (sebbene siano considerati “deboli” da parte dei loro avversari dell’Isis!). Il problema è che nell’Islam non c’è una figura unica di guida spirituale come avviene per la chiesa cattolica, per questo motivo si interpreta e applica la sharia in maniera così diversa nei vari paesi musulmani.
Altri motivi di complicazione sono la divisione tra sunniti e sciiti, la forte composizione tribale del paese, la predominanza di aree rurali rispetto alle città, la geografia aspra e montagnosa del territorio. Tutto questo lo rende una nazione complessa e mal compresa dall’occidente, visto che si sono susseguiti gli inglesi, i sovietici e gli americani, uscendone con le ossa rotte. Non a caso l’Afghanistan è conosciuto come “Il cimitero degli imperi”. Questo non cambia il fatto drammatico che la partenza degli americani, e dei loro alleati Nato, abbia lasciato il paese in balia di questi estremisti, in primis la componente più debole e meno tutelata, della società: gli oppositori politici, le minoranze religiose, le donne e i bambini, gli artisti e i collaboratori degli occidentali.
Seguo molto Alessandro Barbero, e ti ringrazio anche del libro che hai proposto. Lo cercherò per leggerlo! Della figura affascinante di Christine de Pizan ho parlato nella galleria di grandi donne, scrisse l’articolo una mia amica laureata in storia medievale. Ecco il link se ti interessa: https://www.ilmanoscrittodelcavaliere.it/2017/11/galleria-di-grandi-donne-christine-de.html
A presto, e grazie ancora del tuo commento. Ti auguro buona settimana!
È terribile quello che sta accadendo in Afganistan, mi sono chiesta anch’io a cosa siano serviti 20 anni di guerra, una fine di agosto angosciante, con una sensazione di totale impotenza. Mentre leggevo il tuo articolo di questa grande pensatrice riflettevo che non è molto che in Italia abbiamo le classi miste, per esempio io ho fatto tutte le elementari in una classe solo femminile. Servirebbe davvero un ritorno all’illuminismo in generale ma mi chiedo come realizzarlo in Afganistan, concretamente…
La situazione in Afghanistan è spaventosa in tutti i sensi, l'unica piccola speranza è che venti anni abbiano concorso a piantare dei semi di democrazia, a far provare che esiste una vita diversa da quella imposta in passato. Vi è una generazione di giovani che non ha mai sperimentato che cosa significhi il regime talebano, anche se lo conosce attraverso i racconti di padri e nonni, e quindi è meno disposta a subire. Però la violenza e la paura sono armi potentissime per operare la sottomissione…
Per quanto riguarda le classi miste, io avevo provato un po' di tutto: avevo frequentato delle elementari miste, poi le medie dalle suore con classi femminili, e infine il liceo linguistico di nuovo con classi miste. Il problema è che eravamo tutte ragazze con un unico maschio…
E' sconfortante che certi meccanismi di soggezione siano tuttora vivi, anche se hanno assunto forme diverse. Il tempo passa molto lentamente, quando si tratta di cambiare il cuore e la mente degli esseri umani. Penso alle ragazze e ai ragazzi afgani, che il regime talebano non lo avevano mai conosciuto. Spero che siano forti, loro e gli adulti. Ne hanno bisogno.
(Grazie per avermi citata. :))
La situazione in Afghanistan è una sorta di concretizzazione di un carcere su larga scala, e purtroppo non è e non sarà l'unico nel mondo. Hai detto una cosa sacrosanta quando scrivi che il tempo passa lentamente rispetto ai cambiamenti, a meno di non attuare delle vere e proprie rivoluzioni. C'è da sperare che un mondo interconnesso contribuisca ad "aprire" un po' di più quella società, anche se non sono molto ottimista.
Prego! Parlando della "crisi da blog", mi è venuto subito in mente il tuo articolo. :))
Parto dalla crisi afgana, per quanto mir giuarda quello che abbiamo fatto noi occidentali a quel paese e a quella gente è vergognoso, per venti anni li abbiamo illusi e poi li abbiamo buttati via come una sigaretta usata, abbiamo abbandonato quel paese dopo aver compiuto il crimine peggiore che si possa fare: dargli una speranza.
Venti anni fa quel paese venne invaso per cacciar via i talebani ed i loro protetti terroristi jiadisti. Adesso sono tornato in quella nazione sia i primi che i secondi, ne valeva la pena?
Li abbiamo proprio abbandonati a loro stessi, inutile negare l'evidenza. Dopo tutti i grandi proclami non c'è stato un piano graduale di evacuazione quando c'era il tempo per portare via oppositori politici, collaboratori, donne e bambini in difficoltà e a rischio della vita. Perché noi non ce ne rendiamo conto, ma di questo si tratta: di vivere o morire.
Come volevasi dimostrare questi regimi mostrano sempre all'inizio un volto morbido, per insediarsi e poi mostrarsi rapidamente per quello che sono. Leggo proprio stamane che nel nuovo regime ci sono dei terroristi iscritti nella lista nera dell'Onu.
Devo dire che un po' la penso come NIck Parisi qui sopra. Quanta gente è morta perché tutto tornasse come prima? Ho sentito il commento sconsolato della vedova di un militare morto in Afghanistan e mi si è stretto il cuore. Ho pensato anche, però, che per vent'anni almeno alcune donne hanno studiato, hanno avuto la possibilità di muoversi e sopratutto di pensare. Fiorirà qualcosa da questo? Non lo so. Ma penso che se lo farà verrà dalla resilienza delle donne, non dalla politica degli uomini che ha usato gli afgani e poi li ha abbandonati.
Infatti sembra che vent'anni di sacrifici e di vittime siano trascorsi invano. La tua domanda su quanto possa fiorire di quei semi è quella fondamentale, ma soltanto il trascorrere del tempo potrà dirlo. Devo dire che vedere le donne manifestare a volto scoperto nelle strade e nelle piazze, prendersi botte e rischiare la vita mi colma di ammirazione, come è successo in Bielorussia, Russia, Turchia e altri regimi illiberali. Non possiamo nemmeno immaginare quanto sia preziosa la nostra libertà, e quanto dobbiamo difendere i diritti acquisiti.