“Il sol dell’avvenire”

Eccomi qua con un’altra tacca sul mio fucile, cioè un altro esame fatto nella mia corsa verso il traguardo che si profila all’orizzonte avvolto dalle luci dell’alba come “il sol dell’avvenire”, e la frase non è scelta a caso. Quasi non mi sembra vero quando consulto il mio account universitario e constato con stupore che mancano soltanto due esami (più, ovviamente, la tesi di laurea): Storia dell’Arte Medievale da 6 crediti e Storia dell’Età dell’Illuminismo e delle Rivoluzioni da 9 crediti. Anche gli scaffali di casa mia testimoniano concretamente questo percorso, come potete vedere da voi stessi: i tre scaffali superiori rigurgitano di libri con esami fatti, lo scaffale vuoto è pronto ad accogliere i tomi per gli ultimi due esami da fare e la tesi.
Un esame a sostituzione
Ma andiamo con ordine. Avevo trascorso la primavera di quest’anno preparando i due giganteschi esami di Letteratura Italiana, scritto e orale, e Storia Romana, di cui vi ho parlato qui e qui. Oltre a ciò, ho potuto frequentare il corso online di Storia delle Dottrine Politiche, che avevo sostituito a Storia Economica; quest’ultimo era un esame fatto a computer con una serie di quesiti nello stile dei quiz con domande formulate male, e risultati modesti per quanto mi riguardava, ancorché catastrofici per la maggior parte degli studenti. All’epoca avevo preso 22, per poi ridarlo e arrivare a un 24.
Mi ero fatta un punto d’onore nel voler sostituire questo esame con Storia delle Dottrine Politiche, cosa che avevo fatto prendendo appuntamento in segreteria per avere dei lumi, e rifacendo il piano di studi appena prima dello scoppio della pandemia.
 
 
 
Il corso di Storia delle Dottrine Politiche
 
Il corso online è stato magnifico e non mi sono persa una sola lezione, da Niccolò Machiavelli ai monarcomachi, dai teorici dell’assolutismo regio a Thomas Hobbes e i contrattualisti, dall’Illuminismo radicale alle Costituzioni della rivoluzione americana e francese, dal liberalismo al socialismo, dagli anarchici ai comunisti, dalle teorie delle forme di governo ad Alexis de Tocqueville, dal nazionalismo francese di estrema destra a Lenin e Georges Sorel dell’estrema sinistra per approdare fino ad Adolf Hitler. Ho imparato moltissimo, che poi è lo scopo delle lezioni e dell’apprendimento universitario; almeno è così per gli studenti della mia veneranda età che intraprendono questo percorso per passione e non perché devono conquistare il pezzo di carta che dovrebbe servire – il condizionale è d’obbligo, ho un figlio laureato – per la futura professione.


La materia è comunque complessa e da non sottovalutare, anche se richiede meno sforzo di memoria di altri esami. Tra gli argomenti più difficili ci sono i teorici francesi dell’Illuminismo oppure gli Illuministi radicali che tendo a confondere. Sul podio degli ostici metterei al primo posto Jean-Jacques Rousseau che parte spesso per la tangente con il contratto sociale, e la sua “volontà generale” o io comune (che non è la maggioranza e “mi sono fatta persuasa”, come direbbe il commissario Montalbano, che nemmeno lui sapesse che cos’era), e che prima asserisce una cosa e poi dice l’esatto contrario. Nella brigata dei difficilissimi nominerei anche a gran voce il barone Montesquieu, e i teorici dell’assolutismo regio come Jean Bodin e il vescovo Bossuet non scherzano per nulla, con la sovranità che ha queste e quelle caratteristiche e le devi sapere tutte per benino.

Facendone un discorso di nazionalità in senso generale e soltanto a scopo di scherzo (non vorrei che si offendesse qualcuno, ora bisogna usare le parole come se si camminasse sulle uova), mi sembra che i francesi spesso tendano alle astrazioni, che gli inglesi siano più puntigliosi e che i tedeschi facciano proprio i tedeschi, per esempio secondo me Il Manifesto è chiarissimo e da qui il successo tra i lavoratori europei dell’Ottocento, e non solo. Avete presente la barzelletta che comincia con “un francese, un tedesco e un inglese si trovano…”? beh, la situazione era un po’ così.

Dopo tanto entusiasmo, arriva però il ferale momento dell’esame, che avevo programmato di dare al primo appello di settembre previo ripasso e ripassone. Una volta concluso l’esame di Storia Romana, ho trascorso una settimana con la borsa del ghiaccio sulla testa per raffreddare la mente ormai sul punto di fondere come il nocciolo di un reattore nucleare. Quindi ho ripreso in mano i libri e mi sono fatta una scaletta secondo il mio solito stile militare, direi da generale napoleonico visto che quest’anno ricorre il bicentenario della morte dell’Empereur. Ho ripassato nel mese di luglio e buona parte del mese di agosto, suddividendo i materiali e arrivando comunque al pelo per i miei canoni.

Il materiale dell’esame
 

Oltre agli argomenti integrati dal professore a lezione, i libri da portare erano i seguenti:

 
. Modulo A e B: come vedete sopra, il manuale “Le grandi opere del pensiero politico. Da Machiavelli ai nostri giorni” di Jean-Jacques Chevallier, e il testo “La teoria delle forme di governo nella storia del pensiero politico” di Norberto Bobbio di Giappichelli editore, che in pratica è un’edizione delle dispense universitarie del professor Bobbio. Infatti ha l’aspetto di dispense battute a macchina vecchia maniera. Se si hanno gusti sofisticati di chi preferisce l’estetica al contenuto si potrebbe storcere il naso, eppure la materia è spiegata benissimo e sembra di assistere a delle lezioni in presenza con una voce pacata e paziente.

 

. Modulo C: due testi a scelta tra questi che vedete: “Pensieri sulla democrazia in Europa” di Giuseppe Mazzini e “Saggio sulla libertà” del liberale John Stuart Mill, “La libertà degli uguali” di Bakunin, “Il manifesto del partito comunista” di Marx ed Engels.

Io ho scelto “La libertà degli uguali” dell’anarchico Bakunin e “Il manifesto del partito comunista” di Marx ed Engels che se l’è giocata fino all’ultimo con il testo di John Stuart Mill. Ho voluto leggere tutti e quattro i volumi perché mi interessavano, ma mi sentivo più sicura nel portare il manifesto del buon vecchio Karl di cui tra l’altro avevo un’edizione in casa pubblicata dalle edizioni lotta comunista con le note e le prefazioni alle varie edizioni e traduzioni che si sono succedute. A voi che cosa sarebbe piaciuto di più?

 

Esame in presenza oppure online?
 
Quando mi ero iscritta per tempo all’esame dopo la consueta veglia d’armi della mezzanotte, risultando la terza in ordine progressivo, esso era ancora in online. Tuttavia, in considerazione dei grandi proclami universitari da parte del rettore che si sarebbe ritornati tutti quanti in presenza con esibizione del green pass e invece deroga per chi voleva farlo online, ho vissuto nella speranza ardente di poter fare i bagagli e andare in sede. Anche la diabolica app dell’università segnalava che sarebbe successo questo, per cui mi sentivo abbastanza tranquilla.

Qualche giorno prima dell’esame, invece, leggo sulla bacheca del professore che bisogna anche stavolta collegarsi tramite un link di teams. Le mie orecchie si sono fatte subito pendule e allungate come quelle di un basset hound. “Che delusione!” ho pensato o, come direbbe Jo Bastianich in Masterchef: “Sono molto diluso: hai fatto un mappazzone.” Ho provato a vedere se non si potesse chiedere tramite la app una deroga alla deroga, ma era troppo per il mio cervellino ormai sopraffatto, di conseguenza ho lasciato perdere e mi sono rassegnata all’esame online.

Ho cercato di cogliere il lato positivo della questione, come per esempio il fatto di non dover blaterare con la mascherina in faccia, di poter sfoderare al meglio la mia eloquenza in un ambiente familiare e con le luci giuste, di avere tutti i generi di conforto a portata di mano, e poter espletare i propri bisogni fisiologici senza entrare e uscire dai bar di Milano.

 
Il giorno dell’esame
 

A dirvi la verità, però, non ero angosciata come le altre volte. Il mio scopo è prendere 18 e accaparrarmi i 9 crediti, ed ero sicura che il 18 lo avrei preso senz’altro. Mi sono dunque collegata una decina di minuti prima delle 9:30 per l’appello generale. Il professore e l’assistente, comparsi puntualmente, si sono detti abbastanza scontenti della modalità online, e si sono detti speranzosi che avremmo potuto riprendere con la presenza.

Poi ci hanno spiegato come si sarebbe svolto l’esame, e lì ho appreso che sarebbe stato doppio: la parte del manuale con l’assistente, come da tradizione, e il monografico con il professore. Le mie orecchie da basset hound hanno ripreso ad afflosciarsi, comunque l’assistente, che vedevo per la prima volta, mi sembrava davvero molto amabile e sorridente.

 
L’esame con l’assistente

Ci ha spiegato che avrebbe mandato, a gruppi di quattro studenti, un invito con un pop-up che sarebbe comparso in basso a destra dello schermo, cosa che è avvenuta: la magica notifica è spuntata, vi ho cliccato sopra e sono entrata agevolmente nell’aula virtuale. Eravamo appunto in quattro, una cosa proprio intima. Quando è iniziato l’esame dello studente prima di me, ho pensato bene di abbassare il volume riducendolo al minimo in modo da non sentire che cosa dicesse. Che bello. Infatti io non vorrei che gli altri ascoltassero il mio esame, e allo stesso modo non mi piace ascoltare quello degli altri. Lo studente prima di me, che poteva avere una quarantina di anni, aveva l’aria spaventata, continuava a tossicchiare ed era un po’ titubante, comunque l’assistente lo ha incoraggiato molto, dimostrando grande empatia, e alla fine gli ha dato un 27 con cui presentarsi dall’altra parte per l’esame col professore.

Poi mi ha chiamato e mi sono palesata riaccendendo audio e video. Mi ha messo a mio agio, poi come prima cosa mi ha chiesto Polibio e la sua teoria delle forme di governo, cioè è partito in tromba dal modulo B. Nonostante il fatto che il terreno fosse stato preparato da una piccola chiacchierata, non è che si possa star lì a prendere il tè coi biscotti prima di iniziare l’esame vero e proprio, e queste domande risultano sempre un po’ sparate a bruciapelo. Comunque ho iniziato con una biografia di Polibio per contestualizzare il tutto, dato che si parla del 200 a.C. con l’espansione di Roma nel Mediterraneo, cosa che ha apprezzato molto. Poi sono passata alla sua teoria dei governi che riflette sull’egemonia di Roma, e sul segreto di tale egemonia. Ho parlato dell’”anaciclosi” che non è relativa a una patologia dello stomaco, bensì all’alternanza delle forme di governo che degenerano nel loro opposto (per esempio la monarchia che degenera in tirannide). Era molto contento che mi fossi ricordato “l’oclocrazia” e mi ha chiesto se sapevo l’etimologia. Anche questa parola non si riferisce a una costipazione intestinale, ma è “il potere della massa”. 🙂

Abbiamo chiuso il discorso su Polibio con la questione della settima forma di governo o governo misto o modello ideale, con le istituzioni politiche romane che lo rispecchiano nel consolato, nel senato, nelle assemblee popolari, e alla durata del governo misto. Siccome ero fresca di esame di Storia Romana, era un argomento che mi ricordavo molto bene, e avrei voluto esibirmi nella descrizione di tutte le assemblee popolari romane che sono una badilata e mezza, ma si è affrettato a dirmi che andava benissimo come avevo spiegato.

Mi ha chiesto chi era l’altro teorico del governo misto, e lì ho avuto una défaillance, nel senso che pensavo a un autore della classicità greca o romana come per esempio Cicerone, invece era nientepopodimeno che Niccolò Machiavelli, cosa che ho rammentato colmando la distanza temporale grazie a una vera illuminazione. Ci siamo anche messi a ridere, cosa mai successa in un esame dove tutti sono tesi e nervosi, e vorrebbero soltanto saltarsi alla gola (cosa che peraltro non è possibile fare online). Ho spiegato le due opere principali di Machiavelli, cioè “Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio” dove si parla di governo misto o repubblica, e poi il celeberrimo “Il principe”.

Per il modulo A mi ha chiesto Georges Sorel del primo Novecento ed estrema sinistra francese, ho spiegato la sua biografia, poi il suo scritto principale “Riflessioni sulla violenza”. Mi interrompeva piuttosto spesso, ma solo per frenare il mio eloquio e farmi una domanda successiva, come per esempio “il mito” di Sorel, “lo sciopero generale”, “il sindacato” ecc.

“Le faccio un’ultima domanda. Si ricorda che cosa si intende in Sorel con la morale dei produttori?”. Buio in sala. Ma proprio cecità assoluta. Cerco di imbastire qualcosa, ma è evidente che non me lo ricordo, cosa che ammetto con la massima onestà. Anche dopo la spiegazione, continuo a non ricordarmi dove avrei dovuto leggere “la morale dei produttori” di Sorel, a bocce ferme andrò poi a verificare la questione sul manuale, dato che evidentemente mi è scivolata addosso con la velocità della pioggia in una grondaia. “Peccato per l’ultima domanda, però le do 29 e penso che col professore possa arrivare al massimo,” mi ha detto convinto, e sempre sorridendo. Io naturalmente ero già contentissima così!

 

L’esame con il professore

Chiudo il canale e ripasso con il link di teams all’aula dove il professore sta interrogando un altro studente, che per combinazione porta Bakunin e Marx come me. Lo ascolto per un po’, poi siccome vorrei ripassare qualche appunto abbasso l’audio, e ogni tanto do un’occhiata allo schermo, suddiviso in due metà dove le bocche si muovono quasi senza suono con effetto surreale. Il professore ogni tanto scuote la testa, segno che l’esame non sta andando benissimo.

Tocca poi allo studente prima di me, e qui sono costretta ad aumentare di poco l’audio per stare in campana, perché magari al professore salta il ticchio di pescarmi se a qualche domanda non viene risposto. Mi sembra di rivivere i tempi della scuola superiore, e non sono memorie piacevoli. Ricordo il professor Rana – giuro, si chiamava così – di seconda liceo che nell’ora di letteratura chiamava alcuni nomi mettendo sempre me in fondo alla fila, e io pregavo in silenzio che le mie amiche prima di me sapessero rispondere.

Gli chiede chi sono i piccoli borghesi per Marx, e lo studente si mette a balbettare. “Accidenti, chi sono i piccoli borghesi?!” penso, allarmata. Non me lo ricordo assolutamente, anche perché nella mia testolina mi ero fatta l’idea che si potesse partire dalle citazioni che avevo debitamente stampato, come era accaduto per le fonti in Storia Romana, invece niente di tutto questo è accaduto. Lo studente prima di me lo sa a malapena, poi gli chiede il nome dell’economista svizzero, la cui risposta era Sismondi. E non lo sa. Mi rendo conto che non so ne l’una né l’altra cosa, e invece di ripassare bene il Manifesto avevo finito col riguardare altri argomenti ininfluenti come le date della biografia di Marx ecc. nella convinzione che chiedesse di snocciolarle a occhi bendati. Invece non ha chiesto neanche una data!

Riguardo velocemente quella parte nel capitolo “Letteratura socialista e comunista”, con 1. Il socialismo reazionario suddiviso in socialismo feudale, borghese, tedesco o ‘vero’ socialismo, conservatore e borghese, il socialismo critico-utopico, e in quell’istante… colpo di scena: si apre la porta ed entra mio marito con una scopa in mano. Gli faccio cenni frenetici che l’esame non è finito, roteando gli occhi come un’invasata, e lo caccio fuori. Infatti, poverino, non sentiva nessun rumore, e “si era fatto persuaso” che fosse tutto terminato. Comunque alla fine metto via gli appunti perché mi rendo conto che l’esame sta per terminare, e infatti gli dà 26 (allo studente perplesso, non al marito).

Mi chiama e mi dice di palesarmi con audio e video, cosa che faccio con immensa diffidenza.

Il professore mi chiede che cosa ho portato (Bakunin e Marx) e poi di parlare dei proletari, chi sono ecc. e da lì in poi è stato tutto liscio come l’olio. Dai proletari siamo passati al concetto di merce, alle crisi di sovrapproduzione e alla conquista di nuovi mercati, dei mercati globalizzati, a chi ha creato i proletari, alla teoria del plusvalore. Poi siamo passati a Bakunin, all’antiteismo di Bakunin, ai punti in comune con Marx come la morte dello Stato, la rivoluzione violenta e altri argomenti attinenti.

Alla fine mi ha detto che poteva bastare e che mi dava 30. “Ha fatto un bell’esame,” mi ha detto, e sono rimasta sorpresa perché mi sembrava che fosse durato pochissimo (sebbene io perda sempre il senso del tempo in questi frangenti). Ho chiesto timidamente se mi avrebbe mandato una mail a cui avrei dovuto rispondere, e mi ha risposto sorridendo: “Ma no, facciamo alla maniera bakuniniana, sulla parola,” così ho ringraziato e ho abbandonato l’aula virtuale. Sono ritornata da mio marito, che nel frattempo era in cucina e aveva appoggiato la scopa alla parete ed era in fibrillante attesa. “Ho preso trenta,” ho detto, incredula. Siamo esplosi in un fragoroso evviva, accanto alla scopa che sembrava esultare e mettersi a ballare.

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Bene, sono contenta di dire che il buon vecchio Karl mi ha portato fortuna! E voi ricordate qualche esame particolarmente difficile dei tempi della scuola o dell’università? 

Cristina M. Cavaliere

 
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