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Il panorama editoriale contemporaneo
L’anno scorso ho assistito a un fenomeno inquietante: non avevo voglia di leggere, al di là dei miei saggi universitari. Ciò derivava dello scombussolamento dei miei ritmi quotidiani e da qualche problema di salute, e in questo modo il grafico delle mie letture è crollato al minimo storico.
Non ho più vent’anni e una vita davanti per leggere, e quindi sto diventando sempre più selettiva con i romanzi o le raccolte di racconti: non leggo perché mossa dalla curiosità per un bel titolo o una bella copertina, o perché si grida al libro del momento, o diffido quando il critico di turno osanna il caso editoriale. Sono diventata come un segugio con i sensi sempre all’erta. Ci sono alcuni titoli che mi incuriosiscono, ma aspetto che il polverone mediatico si abbassi per poterli leggere e anche perché mi piacerebbe avere delle opinioni dal mio circolo di amiche lettrici per non rischiare.
Constato che di rado ho trovato nelle pubblicazioni di narrativa odierna dei libri tanto sbandierati che mi abbiano davvero conquistato se non in opere che abbiano un paio di decenni. Il panorama editoriale pare molto annacquato, con trame e stili sempre uguali per cui non si riesce a distinguere un romanzo dall’altro. Ne ha parlato anche Marina Guarneri in questo post di maggio dal titolo “Scrivono tutti così”. Dove si trova il nuovo Umberto Eco con Il nome della rosa, per esempio? O un’opera come Le correzioni di Jonathan Franzen, oppure l’immenso Espiazione di Ian McEwan? Magari mi sbaglio, ma non ne vedo molti in giro.
Il romanzo da scaffale
Perché un romanzo mi conquisti davvero deve avere alcune caratteristiche di fondo, opinabili finché si vuole, ma deve nutrire la mia immaginazione e accendere le mie emozioni, farmi svoltare su una strada che mai avrei pensato di prendere, tramite le vicende o i personaggi, oppure offrirmi nuovi spunti di riflessione. Detto in una frase, deve lasciarmi delle tracce interiori indelebili. Se poso il libro e non mi rimane niente al di là di qualche ora trascorsa in letizia, e tendo a dimenticare tutto appena dopo qualche mese – eventi e personaggi – mi sembra di avere perso tempo, tempo che si va assottigliando. Vi pare che io sia troppo esigente?
Per questo negli ultimi tempi sto rileggendo i cosiddetti classici, che per me sono come dei vecchi amici che non solo non tradiscono, ma offrono nuovi gioielli nel loro baule (Le relazioni pericolose di Choderlos de Laclos) oppure sto leggendo per la prima volta alcuni classici per cui avevo chiesto qualche suggerimento nel mio post “Il Caffè della Rivoluzione: La variante di Valmont”. E ho fatto tre belle scoperte – non tutti classici, peraltro! – che mi hanno fatto recuperare quella voglia di leggere di tipo adolescenziale, quando non vedevi l’ora di catapultarti sulle pagine per andare avanti, quando si partecipa alle gioie e ai dolori dei personaggi e si trema per la loro sorte, ci si arrabbia e si ride per il buon esito delle loro vicende, ci si sposta fisicamente e interiormente con loro alla scoperta del mondo che li circonda.
Un triplete di bellissimi romanzi
Vi voglio presentare dunque queste tre letture con la loro quarta di copertina e con una recensione conclusa da un aggettivo.
La bambinaia francese di Bianca Pitzorno
Parigi, 1832. In una gelida sera d’inverno, la giovane Sophie sviene per la fame in casa della étoile dell’Opéra Céline Varens, dove si è recata per una consegna di biancheria. È l’inizio di una singolare amicizia tra la ballerina e l’orfana, che grazie a Céline frequenterà la scuola tenuta da un vecchio aristocratico, ammiratore dell’Illuminismo e della Rivoluzione, che tutti chiamano il Cittadino Marchese. Insieme a Toussaint, un giovane schiavo nero orginario delle colonie, Sophie affronterà ogni sorta di pericolose avventure, in Francia e in Inghilterra, per salvare la ballerina dai suoi persecutori e la piccola Adèle, sua figlia, dagli inquietanti misteri di una cupa dimora inglese chiamata Thornfield Hall.
Lo spunto di lettura. Avevo già avuto notizie di questo romanzo in un post di Luana Petrucci che potete trovare qui. Mi ero segnata il titolo nel mio quaderno delle possibili letture; e, curiosamente, ogni volta che ricercavo romanzi sulla rivoluzione francese in rete, spuntava sempre questo titolo anche se, per la verità, nella trama vi sono soltanto echi della rivoluzione del 1789. Grazie anche alla recensione di Luana – ricordate il circolo di amiche lettrici? – l’ho acquistato e mi sono messa a leggerlo… e me ne sono innamorata.
Lavorare con i personaggi minori. I nomi di Céline Varens, Adèle, Thornfield Hall sono come delle luci molto vivide per i lettori di Jane Eyre di Charlotte Brontë, ma non diranno granché a chi non ha mai letto questo capolavoro. Poco male, perché non è un deterrente. Bianca Pitzorno infatti prende per mano i cosiddetti personaggi di contorno, che poca o nulla voce hanno nel romanzo, come la bambinaia Sophie, ne aggiunge altri, e li fa parlare rendendo loro fisicità e giustizia e rendendoli protagonisti decisivi negli snodi di tutte le vicende. Questi personaggi sono legati da rapporti di affetto e devozione, perché appartenenti a classi sociali basse come la giovanissima bambinaia Sophie, sono schiavi comprati e venduti come Toussaint, oppure considerati equivoci come la ballerina Cécile Varens.
Una nuova prospettiva. Essi si proteggono a vicenda soprattutto nei confronti dei personaggi di maggior rilievo e più potenti a livello sociale, quali per esempio Edward Rochester, il padrone di Thornfield Hall. Nulla a che vedere con l’altero, tormentato ma affascinante uomo in Jane Eyre: nel romanzo di Bianca Pitzorno egli è un odiosissimo manipolatore, un vero personaggio machiavellico, e l’effetto sul lettore è del tutto spiazzante. Nelle prime pagine tenta disperatamente di giustificarlo, per poi cedere le armi di fronte alla sua evidente malvagità. Anche Jane non è rappresentata nella sua luce migliore per chi ha imparato ad amarla nella sua fermezza e indipendenza; quindi occorre superare lo scoglio dell’affezione per immaginarli come creature ex-novo e non gridare al delitto di lesa maestà.
Beninteso, l’intento dell’autrice di non è di criticare il romanzo di Charlotte Brontë, ma di colmare una sorta di ritratto di famiglia dove giganteggiano alcune figure e soprattutto di ribaltare completamente la prospettiva del lettore. In questo senso un esperimento letterario simile è da rintracciare ne Il grande mare dei Sargassi di Jean Rhys dove l’autrice dà voce a Bertha Mason, l’inquietante e folle moglie di Rochester.
Tanti piccoli tesori nascosti. La bambinaia francese contiene inoltre numerose chicche come rimandi letterari che il lettore avveduto si divertirà a scovare. Larga parte del romanzo è ambientata nella Parigi nel 1832, e quindi i riferimenti all’ambiente delle banche e della finanza con figure di speculatori in irresistibile ascesa richiamano la grande epopea di Balzac, mentre la ricchezza dei quartieri più chic in contrapposizione alle periferie di operai, sarte e portinaie ricorda le grandi descrizioni de I miserabili di Victor Hugo. Il fatto di amare Parigi e vederla descritta così bene sia negli esterni che negli interni mi ha fatto andare in un brodo di giuggiole, ma al contempo sono molto esigente e quindi la mia gioia è stata doppia.
Lo stile dell’autrice. Bianca Pitzorno è un’autrice di libri per l’infanzia, e questo è evidentissimo nella sua scrittura: limpida, semplice e mai banale. Sì, perché i bambini sono lettori esigentissimi, e non perdonano mai illogicità, confusione e scritture dal tono compiaciuto (una per tutte: L’apprendista delle Fiandre di Dorothy Dunnett, che avrei lanciato fuori dalla finestra dopo quaranta pagine). Quindi, essere abituata a scrivere per bambini e ragazzi per me è un pregio.
Giudizio: INCANTEVOLE.
Novantatré di Victor Hugo
“Novantatré” (1872), dedicato all’anno del Terrore, conclude il dialogo che Hugo aveva intrattenuto per tutta la vita con la Rivoluzione: nuova barbarie o nuova età dell’oro? Immenso affresco storico, questo romanzo è anche la storia di tre “caratteri” scolpiti con stupefacente maestria: Lantenac, l’uomo del re e dell’onore antico; Cimourdain, genio austero e implacabile della Rivoluzione; Gauvain, aristocratico nipote di Lantenac, passato al popolo. Sullo sfondo del grande dramma collettivo e personale, la folla di “spiriti in preda al vento” che hanno cambiato la Francia e il mondo, veri protagonisti di questa formidabile raffigurazione dalle tinte infuocate, in cui buoni e cattivi, torto e ragione sono mossi da quell'”enigma della storia” che tutti e tutto trascende.
Rivoluzione francese, mon amour. A dirla tutta ignoravo l’esistenza di un romanzo sulla rivoluzione francese, nientepopodimeno scaturito dalla penna di Victor Hugo il grande. Nelle note a pie’ di pagina addirittura si menziona il fatto che l’autore riteneva più importante questo romanzo rispetto al suo capolavoro I Miserabili, al punto che intendeva intitolarlo Gli Inesorabili per una sorta di continuità. Questo romanzo mi è stato suggerito nell’ambito di un commento al post da parte di Filippo, alla mia richiesta di avere suggerimenti per romanzi storici di vaglia. Il titolo si riferisce al 1793, cioè l’anno del Terrore e quando la Francia vive il momento più drammatico della sua tempesta rivoluzionaria, e deve fronteggiare innanzitutto gli eserciti di mezza Europa che passano di vittoria in vittoria. Il pericolo maggiore proviene però dalle rivolte interne, in primis una serie di conflitti scoppiati in Vandea, che si tradussero in una vera e propria guerra civile tra gli abitanti della regione (i “bianchi”) e le truppe inviate da Parigi (i “blu”), se non, secondo alcuni storici, in un genocidio.
La Vandea in fiamme. Tale regione della Francia è situata in un punto altamente strategico, come potete vedere dalla cartina Wikipedia. Si tratta di un dipartimento affacciato sull’Oceano Atlantico e un ottimo punto di invasione per una flotta inviata dall’arcinemica Inghilterra.
La Vandea e la Bretagna insorsero per un insieme di motivi tra loro inestricabili, quali la leva obbligatoria di 300.000 uomini da mandare al fronte, il che avrebbe sottratto braccia ai lavori dei campi, una ben radicata devozione nei confronti della monarchia (il re era stato appena ghigliottinato nel gennaio dello stesso anno, e veniva considerato un martire), e lo sgomento di fronte alla crescente distruzioni di liturgie e simboli religiosi cattolici. Il contadino vandeano combatteva con un attrezzo da lavoro in una mano, o un fucile, e un rosario nell’altra. Nel dipinto qui nei paraggi potete vedere Jacques Cathelineau, uno dei capi delle rivolte vandeane con il rosario sul panciotto.
Le guerre di Vandea si tradussero in un’autentica guerriglia, combattuta tra le profonde foreste che offrivano nascondigli e rifugi perfetti ai vandeani, che conoscevano a menadito il territorio: alberi cavi dove si dormiva in piedi, tane scavate sotto le radici degli alberi, passaggi dove i rivoltosi si muovevano in assoluto silenzio. Addirittura, come narra Victor Hugo nelle sue sontuose pagine, boschi e foreste celavano delle vere e proprie “città” sotterranee; e queste al contrario costituivano delle autentiche trappole per i soldati della Rivoluzione che erano stati mandati lì per reprimere le rivolte.
I personaggi di “Novantatré”. Quello che mi ha colpito sin dalle prime pagine è che, a differenza de I Miserabili dove c’è una commistione di genere, come si direbbe ora, si tratta di un romanzo molto “maschile”; anzi, direi che è un romanzo “maschio”. Però anche qui ci sono dei colpi di scena non da poco. Esemplificativa è la primissima scena del romanzo, ambientata proprio in mezzo alle foreste dove un battaglione di circa trecento soldati repubblicani si muove con circospezione, e trovano una povera donna con tre bambini molto piccoli, la più piccola ancora attaccata al seno. A Michelle Flecard hanno ucciso il marito, ed è fuggita dal suo villaggio in fiamme: è una donna quasi più simile a un animale, non conosce il mondo oltre i confini del suo paese, e non sa perché le persone si stiano massacrando e senz’altro non sa nulla di politica. I repubblicani decidono di prenderla con loro, nella truppa c’è un’altra donna – una vivandiera – e di adottare i tre bambini come figli del battaglione. Questa scena non a caso è posta nell’incipit, non è una scena per dare colore, ed è da tenere bene a mente nel proseguo delle vicende.
I tre protagonisti maschili menzionati nella quarta – Lantenac, Cimourdain, Gauvain – sono delle figure umanissime e nello stesso tempo sono quasi dei paradigmi per l’ideologia che le muove. Imparerete a scrutare nei loro cuori, che sono come abissi. E non potrete fare a meno di innamorarvi perdutamente di Gauvain, il giovane visconte che combatte tra le file dei “blu” per inseguire un ideale rivoluzionario che, forse, si rivelerà un mostro.
Uno stile impegnativo. Chiunque conosca Victor Hugo sa benissimo che è un autore titanico: leggere ogni suo romanzo equivale a sedersi davanti a una tavola sontuosamente apparecchiata e sa che mangerà una serie di innumerevoli portate, una più succulenta dell’altra; e quindi mangerà parecchio, e forse farà fatica a digerire o ad apprezzare tutto quello che gli verrà servito al momento. Dopo una prima lettura si riproporrà una seconda lettura per poter riavvolgere il nastro, magari non subito, esattamente come in un film, e notare il passaggio letto in fretta, il dettaglio che assume un nuovo significato quando si conoscono tutte le vicende, sostare sul dialogo che rivela lo scontro ideologico – dove ho ritrovato molti concetti dalle lezioni di dottrine politiche, ammirare le descrizioni, di grande afflato romantico, del mare in tempesta, della foresta sotto la luna, di un castello in fiamme.
Hugo alterna infatti scene tratteggiate in maniera molto secca e con dialoghi brevi e incalzanti, quasi con piglio cinematografico, a pagine densissime con elenchi e lunghe digressioni, per esempio la descrizione della Convenzione nazionale (una sorta di Parlamento monocamerale) o il Comitato di Salute Pubblica (l’organo esecutivo di emergenza della rivoluzione). Quello che mi sbalordisce ogni volta è constatare come questo autore enciclopedico potesse scrivere opere così vaste con l’ausilio di libri cartacei, della sua memoria e della penna; e, siccome ebbi modo di visitare la sua casa a Parigi, di constatare con ancora maggior stupore come egli scrivesse in piedi davanti al suo scrittoio questi suoi monumentali romanzi.
Giudizio: GRANDIOSO.
Via col vento di Margaret Mitchell
«Penserò a tutto questo domani, a Tara. Sarà più forte, allora. E troverò un modo per riconquistarlo. Dopotutto, domani è un altro giorno.»
Rossella O’Hara è la viziata e capricciosa ereditiera della grande piantagione di Tara, in Georgia. Ma l’illusione di una vita facile e agiata si infrangerà in brevissimo tempo, quando i venti della guerra civile cominceranno a spirare sul sud degli Stati Uniti, spazzando via in pochi anni la società schiavista. Il più grande e famoso romanzo popolare americano narra così, in un colossale e vivissimo affresco storico, le vicende di una donna impreparata ai sacrifici: la tragedia della guerra, la decimazione della sua famiglia, la necessità di dover farsi carico della piantagione di famiglia e di doversi adattare a una nuova società. E soprattutto la sua lunga, travagliata ricerca dell’amore e la storia impossibile con l’affascinante e spregiudicato Rhett Butler, avventuriero che lei comprenderà di amare solo troppo tardi…
Il film del 1939. C’è poco da aggiungere su questo romanzo potente, se non che è un capolavoro letterario… e che sono arrivata a leggere un centinaio di pagine, quindi per onestà intellettuale ammetto di averlo “appena iniziato”. La storia fu resa nota grazie al film del 1939 diretto da Victor Fleming e prodotto da David O. Selznick, e che ha come protagonisti Clark Gable nel ruolo del capitano Rhett Butler, Vivien Leigh come Rossella O’Hara, Leslie Howard nei panni dell’incolore Ashley Wilkes e Olivia de Havilland che interpreta la dolce Melania Hamilton.
Mi dispiace soltanto di non averlo letto prima. In questi casi il film è galeotto, nel senso che se vedi il film ti pare di aver già letto il libro, invece sono due prodotti artistici ben diversi. Pur avendo realizzato il romanzo a meraviglia, di necessità il film non può dilungarsi troppo, e quindi si perde tutto l’ampio respiro del romanzo con lo sguardo davvero onnisciente del narratore, lo sviluppo anche dei personaggi cosiddetti minori, delle famiglie dove Rossella, la protagonista, si trova a vivere, i rituali sociali di un mondo che, dietro le feste, i picnic a base di porchetta, la scelta degli abiti per il mattino o il pomeriggio, e una certa frivolezza, nasconde regole di una durezza d’acciaio.
Un mondo che cambia. Proprio come in Novantatré, mi sono resa conto che anche questo è un
romanzo dove il mondo conosciuto, che sia rappresentato dal microcosmo del paese dove vive Rossella o delle grandi città è destinato a dissolversi e a trasformarsi, insieme con il suo modo di vivere all’insegna di una certa spensieratezza.
Nel caso del romanzo di Hugo era l’antico regime con i suoi caposaldi come la gerarchia tra ordini dove tutti avevano il proprio posto dalla nascita, il concetto di monarchia divina, la disuguaglianza e il privilegio di secoli accreditati dalle consuetudini. In “Via col Vento” è la Georgia, uno Stato americano schiavista del Sud, che si batte per il mantenimento del proprio modus vivendi dove il possesso della terra, delle piantagioni e del numero di schiavi rappresentano un sistema iniquo ma che assicura la prosperità economica. La secessione e la guerra civile americana travolgeranno tutto.
Le polemiche sul razzismo. Non mi dilungo sulla polemica che lo scorso anno ha accompagnato libro e film a proposito dei suoi contenuti razzisti, perché in rete ci sono articoli che offrono approfondimenti in questo senso, e anche perché del revisionismo letterario e storico, della rappresentazione purista di un mondo diviso in “buoni” e “cattivi”, senza un minimo di complessità, contestualizzazione e sfumature, ne abbiamo piene le tasche. HBO Max aveva rimosso temporaneamente il film dal proprio catalogo a seguito della levata di scudi dei puristi, per poi inserire un disclaimer avvertendo gli spettatori che aveva contenuti razzisti.
Giudizio temporaneo: IMPERDIBILE.
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Bene, ora vi lascio perché devo catapultarmi a leggere Via col Vento. E voi preferite i classici o la narrativa contemporanea? Quali sono state le vostre ultime soddisfacenti letture?
Cristina M. Cavaliere
Io sto rileggendo (Silone, e proseguirò così anche nei prossimi mesi, o anni). Di quelli contemporanei leggo Jon Kalman Stefansson per esempio; Stephen King o Cormac McCarthy. Anche io sto distante dai libri troppo osannati.
Sai che non ho mai letto Ignazio Silone? Comunque si fanno delle belle scoperte tra gli autori del secolo scorso. Degli osannati l'unico che ho continuato a leggere nel tempo è Murakami.
Via col vento mi è piaciuto moltissimo, avrei voglia si rileggerlo, ma ho anche tanti altri libri nuovi che vorrei leggere e quindi sta lì nello scaffale di quelli già letti e chissà.
Rimane un romanzo trasversale, certo deve molto al film, ma immortale come pochi altri di narrativa d'intrattenimento, per quanto lo sfondo storico è pure ben trattato secondo me.
Con "Via col vento" sono arrivata a leggerne metà in pochissimi giorni, ho recuperato gli antichi splendori da lettrice! In pratica sono arrivata a leggere le pagine dopo la conquista di Atlanta da parte dell'esercito del Nord e il ritorno avventuroso di Rossella a Tara con il carretto tirato dal ronzino, il figlioletto, Melania che ha appena partorito il neonato e Prissy. Le descrizioni sono davvero formidabili e anche la parte storica è scritta molto bene, come dici. Tra l'altro sono convinta che le descrizioni di guerra, di morti, feriti e devastazioni non siano facili da trattare per nessun scrittore, si rischia di cadere nella retorica. Mi piace moltissimo anche come parlano e agiscono i personaggi, sono creature in carne e ossa, ti sembra di essere lì con loro. Sono davvero ammirata, è incredibile…
Ti ringrazio molto per questo post.
Sono tre romanzi da tempo nel mio elenco di "papabili letture", poi, per un motivo o per l'altro non li ho mai letti. Probabilmente Via col vento è quello che mi attira di più, anche se lo vedo come una lettura estiva. O, meglio, mi illudo sempre di avere più tempo per leggere in estate.
Grazie a te per il commento, Tenar. 🙂 La mia lista di letture è molto lunga, ma sono convinta che i libri arrivino quando è il loro turno. Per esempio ci sono tanti libri di Dickens che non ho ancora letto, oppure di Zola, penso che mi orienterò in quella direzione.
Anche io ormai ragiono allo stesso modo e – ahimè – "fatico" sempre di più a leggere. Prendo nota dei tuoi consigli, visto che seleziono molto adesso, almeno parto da titoli che hanno una buona recensione fidata al loro attivo.
Sì, anch'io seleziono molto, o tra i classici e i libri che hanno al loro attivo il passaggio del tempo, oppure libri di autori e autrici che già conosco, anche tra i blogger, e di cui mi piacciono lo stile e le storie.
Beh, Via col vento… e aggiungo un cuore. Sai che avevo da tempo intenzione di rileggerlo? Gli altri due non li conosco, ma le tue recensioni li rendono molto interessanti.
Ti do ragione e sì che ne ho scritto (ti ringrazio per la citazione), ma davvero sembra che la narrativa contemporanea sia piuttosto povera rispetto alle grandi storie o, forse, siamo noi affezionate alla letteratura classica. Tanto vero che delle letture affrontare quest’anno fin adesso, ricordo con più piacere proprio quelle di autori di un tempo (per esempio “Oblomov” del russo Gončarov: bellissimo). E in lista ho molti libri trascurati in gioventù che adesso ho voglia di ritrovare. Non è che questo è un segno di vecchiaia? 😀
"Via col vento" è arrivato tardi per me, ma meglio tardi che mai come dice il proverbio… forse gli ha fatto pubblicità proprio il gran polverone sui contenuti razzisti sia relativi al libro che al film. E quindi grazie mille alla "cancel culture".
Sulla questione della narrativa contemporanea, ne parlavo con alcune amiche lettrici come me, e hanno constatato la stessa cosa: a parte alcuni nomi isolati non sono per nulla soddisfatte delle ultime letture. I libri sembrano tutti fatti con lo stampino, ti lasciano ben poco. "Oblomov" non l'ho mai letto, se mi dici che è bellissimo lo segno senz'altro. Vorrei leggere anch'io alcuni libri di Dickens o Zola che mancano all'appello, come spiegavo sopra. E' vero, ritornare al passato può essere un segno di vecchiaia! 😀
Sì, a me è piaciuto molto, anche perché il personaggio, col suo carattere e il suo comportamento, ha creato proprio un mondo. L’ho letto col mio gruppo di lettura e ci siamo divertiti.
Leggere un libro nei gruppi di lettura dev'essere proprio divertente e stimolante. A me piace molto passare i libri alle amiche per avere un loro parere, sia nel bene che nel male, e discuterne ampiamente. 😉
Personalmente, leggo per leggere: nel senso non mi aspetto che i libri che leggo mi lascino qualcosa in particolare e tendo a disfarmi di quelli letti che non mi hanno toccato particolarmente tenendo solo quelli che davvero valgono qualcosa in termini di storia e coinvolgimento!
Una lettura che mi ha davvero soddisfatta ultimamente è stata il primo libro della serie Il trono di spade, il quale pensavo mi avrebbe annoiata un sacco perchè non è il mio genere ma invece mi ha stupito piacevolmente e mi ha riempito le giornate!
Via col vento è nella mia lista da moltissimo tempo e non vedo l'ora di riuscire a leggerlo **
Ti ringrazio del tuo commento, Nicole. Ho inserito ora il tuo blog nel blogroll dei preferiti. 🙂
Ultimamente ho fatto una grande pulizia nella mia libreria, e sono particolarmente contenta perché ho scartato circa trecento libri che: a) non avrò mai tempo di leggere b) non mi interessano particolarmente c) potrebbero essere utili a qualcun altro. La cosa fantastica è che ho trovato una biblioteca disponibile ad accettarli, tramite una conoscente, e quindi li sto consegnando a sacchi. Non li avrei mai buttati, perché mi sembrerebbe un sacrilegio, ma oggettivamente devo fare delle scelte. Ho visto che hai scritto un post dedicato a "Cinque libri in un giorno", cioè un metodo su come cercare di svuotare la libreria… 😉
Grazie 😀 è una bellissima iniziativa quella di regalare i libri alle biblioteche! Siii! E' una sfida che personalmente ti consiglio tanto se hai dei libri su cui sei indecisa se tenerli o no 😀
Ce l'ho fatta a donare tutti i libri sovrannumerari alla biblioteca. :))) Sto scrivendo un post al riguardo! A presto.
Innanzitutto grazie per la citazione, cara Cristina. Quel post mi è particolarmente caro, me lo sono riletto proprio adesso e vi ho trovato la citazione de Il grande mare dei sargassi che successivamente ho letto. Quanto sono particolari questi romanzi che finiscono con l'essere delle riletture da punti di vista differenti. Danno l'opportunità di scardinare quei mondi che ritenevamo così perfetti, quegli eroi così patinati. E il bello è che accade senza nulla togliere all'originale.
Di Novantatré ho sentito parlare Umberto Eco in una delle sue meravigliose conferenze proposte su You Tube. Era un grande conoscitore di Hugo, direi che se ne intendeva come si intendeva di Medioevo, ti lascio immaginare quanto completo e dettagliato fosse il suo discorso. E quella metafora della tavola sontuosamente imbandita calza a pennello. Hugo è proprio così e posso dirlo dopo aver letto Notre Dame de Paris e apprestandomi a leggere I miserabili (aspetto quella parte d'autunno con copertina e tempaccio fuori, col la mia lampada da lettura, lo scenario perfetto). Via col vento per me fu una scoperta straordinaria. Sì, due opere molto differenti libro e film, e in pochi sanno che quel libro, quel romanzo storico, vale proprio la pena di leggerlo per quanto è bello, a scanso di tutte le censure stupide che ha subito (ma che in fondo paiono essere state fuochi di paglia).
Concorso, i classici sono quei mondi ai quali torniamo o attingiamo, certi di trovare appagamento, ricchezza, vero scrivere. Siamo diventate selettive e molto esigenti e proprio in questa fase della vita in virtù di ciò sto scoprendo autori e storie che ignoravo completamente e che scoprire adesso, in età matura, finisce con l'essere un valore aggiunto.
Citarti mi fa sempre molto piacere, Luz! 🙂 Dopo aver letto "La bambinaia francese" ero proprio andata a rileggere il tuo post perché mi ricordavo che mi ero presa nota del libro grazie a quel tuo suggerimento sul blog, e volevo rileggere più attentamente le impressioni che ne avevi ricavato. Le scelte di Bianca Pitzorno e di Jean Rhys danno proprio un valore aggiunto a capolavori come "Jane Eyre" non solo denigrandoli, ma facendoci affezionare ancora di più ai personaggi, sia a quelli principali che quelli minori. Il bello della grande letteratura è anche questo, che è come una miniera di tesori inesauribili e altri filoni auriferi.
Caspita, devo proprio recuperare quel video di Umberto Eco su Youtube, dopo aver letto il libro lo gusterò doppiamente! "Novantatré" mi è piaciuto da morire, pensa che di solito racconto a mio marito i libri che leggo e che mi piacciono, com'è ovvio quelli che si prestano a essere narrati. Gli ho raccontato sia "La bambinaia francese" che "Novantatré" e non vedeva l'ora che andassi avanti con la lettura di entrambi per riportargliela. La lettura de "I Miserabili" in autunno con lo scenario da te delineato è perfetta!
Nella mia libreria ho moltissimi classici letti in gioventù da cui non mi separerei mai, senz'altro non avrò tempo di rileggerne molti, però mi piace l'idea di averli lì a farmi compagnia. Come scrivevo più sopra a Nicole, sono anche molto contenta perché ho trovato una biblioteca che accetta i libri, almeno quelli scartati andranno a buon fine… e non è detto che non faccia ulteriori selezioni.
Via col vento mi piacerebbe leggerlo (il film l’ho visto e rivisto più volte senza mai stancarmi…) anche se mi spaventa un po’ la mole del romanzo. Non sono in crisi di lettura, ma capisco che dicendo leggere per lo studio diventi difficoltoso leggere altro, almeno così mi accadeva ai tempi dell’università. Negli ultimi tempi sto leggendo uno dei gialli di Donato Carrisi che riesce sempre a catturarmi…dei libri famosi tanto decantati ho letto L’ombra del vento e Cambiare l’acqua ai fiori, partita con scetticismo li ho trovati stupendi.
Il libro è davvero molto grosso, ma fila via che è un piacere, in pochi giorni sono arrivata a leggerne metà. Se hai amato il film, amerai indubbiamente anche il libro, che è molto più vasto e e completo com'è logico che sia. I personaggi sono fantastici, i dialoghi scoppiettanti, le descrizioni ambientali e sociali perfette.
Attualmente ho scoperto con stupore che sto leggendo quattro libri in contemporanea: uno da metropolitana ("Scritti corsari" di Pasolini), uno da divano ("Via col vento"), uno per l'università ("In nome del popolo sovrano") e uno da comodino ("Meditazioni di S. Ignazio di Loyola).
"Incantevole" è un giudizio che mi attira… e mi attira anche l'idea di rileggere Via col vento a distanza di x anni, con x troppo tendente a infinito. Forse cederò a entrambe le tentazioni. 🙂
Ogni tanto bisogna assecondare questo tipo di sane tentazioni. 😉
Concordo con te, e ne ho avuto la dimostrazione questo mese, quando dopo aver letto "I Leoni di Sicilia" ho intrapreso la lettura del "Il Gattopardo". Beh, è stato come dare acqua all'assetato e cibo all'affamato.
Molti dei libri scritti oggi (alcuni progettati anche "a tavolino") possono raccontare storie piacevoli ma che mancano completamente di quella struttura, eleganza, e soprattutto messaggio capace di essere sempre moderno e attuale anche ai nostri giorni. Questi ci parlano e continueranno a parlarci ancora.
"Il Gattopardo" lo lessi anni fa, ed è un altro libro da scaffale. Pensa che la prima lezione del corso su Storia della Chiesa all'università, che ebbi modo di frequentare, fu incentrata proprio su "Il Gattopardo" in relazione alla Chiesa! Per dire come un romanzo riveli nelle sue pieghe una miniera di aspetti, mille sfumature diverse. Non ho letto invece "I Leoni di Sicilia" anche se ho avuto modo di assistere alla presentazione del libro a Bookcity.
I libri scritti ai giorni d'oggi sembrano tutti un po' all'acqua di rose, mancano di vigore sia nei personaggi che nelle vicende narrate, non si riesce a individuare un messaggio, un focus importante…
Come te anche io mi sto trovando nella situazione di dover selezionare le letture, ultimamente mi sto concentrando molto sulla narrativa breve, fino a qualche anno fa mi dedicavo a romanzi lunghi e a serie, adesso non ho più la voglia di dedicarmi a cose con più di duecentotrecento pagine.
Mi sa che sto diventando vecchio. 😉
I libri di due/trecento pagine non mi spaventano, ma devono avere delle credenziali di tutto rispetto, come "Via col Vento" per esempio. 😉 A volte faccio più fatica a leggere dei libri piccolini, mi ricorderò sempre la fatica che feci con "Il bosco degli urogalli" di Mario Rigoni Stern, ci misi dei secoli per terminarlo. E sì che ho amato tantissimo "Il sergente nella neve".
Per quanto riguarda la sottoscritta, il fatto di volgersi ai classici è un sicuro indizio dell'età che avanza. 😉
Spesso vado nei classici. Uno dei motivi è che non si trova quello stile di scrittura che fa tanto "scuola di scrittura per attirare il lettore a ogni parola che sennò si distrae". E un altro motivo è spesso la descrizione del modo di vivere di altri tempi. Gli altri tempi potrebbero pure essere gli anni '50, per dire, ma ho come l'impressione che in molta narrativa contemporanea manchino i riferimenti al momento contemporaneo in cui si svolgono.
Oddio, non sapevo che anche il film di Via col vento avesse avuto una sospensione! Assurdo!
Sono d'accordo, molte volte la lettura delle opere dei contemporanei ti lascia con più fame che pria. Per riprendere un paragone culinario, è come sedersi a tavola affamati e vedersi servito un brodino poco nutriente. Tutto è molto blando, a me non rimane quasi traccia. Non dico che le opere oggigiorno siano tutte così, ma è difficile trovare un romanzo che ti soddisfi davvero e ti faccia venire voglia di leggere altri lavori dell'autore. Invece mi basta leggere un romanzo o un racconto di Grazia Deledda, per fare un nome, e grido al miracolo a ogni frase. Alle volte mi chiedo: "Ma come fa?" eppure il segreto si annida proprio in quelle righe.
Delle scuole di scrittura ho sempre un po' diffidato, forse sbagliando: secondo me sono utili per chi incomincia a scrivere e può confrontarsi con gli altri e con il docente, ma non ha senso fare corsi su corsi perché rischi di appiattire le stile. E poi il modo migliore è leggere tantissimo e studiare e scomporre le opere dei grandi autori, magari appunto discutendone con chi ama scrivere.