“Dei Sepolcri”… come direbbe Foscolo

Vado spesso al cimitero di Bruzzano dove sono sepolti molti dei miei parenti, incluso mio papà. Si tratta di un cimitero di piccole dimensioni posto alla periferia nord di Milano, in un luogo che un tempo era borgo agricolo sulla strada che va a Como, e come tale è un po’ decentrato. Per una serie di combinazioni, quasi tutti i miei parenti prossimi hanno trovato accoglienza là.

Questo luogo di sepoltura è molto raccolto e meditativo, e mi piace proprio per tale ragione. Potrei aver detto una banalità, ma vi assicuro che i cimiteri milanesi non sono tutti uguali, e che non in tutti si trova lo stesso spirito di quiete e dolcezza, come invece dovrebbe essere. Il cimitero di Bruzzano non è mai molto frequentato, a parte nel giorno dedicato ai defunti. Là tutti si ricordano di avere dei parenti da andare a trovare, e si precipitano muniti di piantine, lumini e fiori con veri e propri ingorghi di auto nel parcheggio antistante l’ingresso, e formando assembramenti agli stand che vendono tali oggetti, come se non ci fosse un domani.

Amo dunque passeggiare nel cimitero, dove in questo periodo l’autunno si sposa perfettamente con il luogo, e la luce assume una tonalità speciale. Questi luoghi non mi incutono ansia e tristezza, come invece gli ospedali che sono luoghi di sofferenza, e mi piace pensare che, dopo una vita di fatica e tribolazioni, i miei cari si stiano finalmente riposando. Si sentono gli uccelli che cantano, e si può anche avvistare qualche gatto che vi si aggira.

Anche procedere in mezzo alle tombe per leggere le date di nascita e morte, osservare le fotografie e quando furono scattate, contemplare le epigrafi, cogliere i particolari è molto istruttivo perché è come leggere una sorta di libro. Ci sono delle tombe fantasiose, con statuette che testimoniano le passioni del defunto, anche calcistiche, altre che esagerano e sono un trionfo di paccottiglia, altre ancora più sobrie. Ci sono tombe solitarie, altre dove sono racchiuse famiglie intere, ve ne sono altre ornate di piante e fiori, mentre le loro vicine sono spoglie e in stato di evidente abbandono. Su tutte la natura sembra farla da padrona, con cadute di foglie, segni evidenti di intemperie, piante rampicanti che si allungano ovunque.

 

La sorprendente arte funeraria

La scultura funeraria poi è magnifica e spesso va oltre quei codici stilistici che la rendono riconoscibile e che si traduce più che altro in angeli, la Vergine in preghiera, donne afflitte, Gesù incoronato di spine. A proposito di angeli, androgino e sensuale è quello del Cimitero monumentale di Staglieno a Genova, opera del 1882 dello scultore Giulio Monteverde e che potete vedere qui. Guardate che meraviglia la posa del corpo, i particolari del viso e dei capelli, e lo sguardo enigmatico, quasi imperscrutabile di questo giovinetto o giovinetta.

 

 

 

Ricordo con particolare ammirazione una visita che feci anni fa al cimitero Monumentale di Milano, un autentico giro guidato in mezzo alle tombe, eseguite da grandi artisti per i loro committenti. Per esempio da bambina mi colpì molto la tomba dove riposa l’aviatore Umberto Fava con la rappresentazione di un giovane aviatore nudo, che regge un’elica. Una testa di Medusa, evidentemente ripresa dalla Medusa di Caravaggio, e rappresentante il mare, lo sta traendo nei suoi gorghi. Sulla base è inciso in lettere dorate l’epigrafe di Gabriele D’Annunzio: “Non cola ma vola, non cade ma s’alza”. Mi impressionava questo mostro che spuntava dal mare per trarre a sé il giovane, morto in Libia nel 1941 all’età di ventitré anni. Eccovi entrambe le immagini per fare un confronto.

La tomba senza nome

Sono dunque andata di recente a compiere il mio breve pellegrinaggio a Bruzzano munita dei miei cinque fiori da distribuire in modo equanime ai miei cari. Mi stavo aggirando alla ricerca di mio zio quando l’occhio mi è caduto su questa tomba con la foto in bianco e nero di una giovane donna, presumibilmente della prima metà del Novecento per posa e acconciatura. Tale sepoltura non aveva nemmeno il classico “giardinetto” a delimitarla, fatto con dei sassolini e delle piantine e, a prima vista, non aveva nemmeno il nome. Ci si poteva passare sopra senza nemmeno accorgersi. Il vaso per inserire i fiori era di plastica e conficcato direttamene nel terreno, ed era ovviamente vuoto dato lo stato di degrado. Ovviamente il primo pensiero è stato di indignazione per l’incuria della manutenzione del cimitero, con relativi improperi al suo indirizzo.

Ero comunque un po’ perplessa, poi mi sono recata sulla tomba di mio zio, rimuginando lungo il tragitto. Però poi mi sono detta che questa donna meritava di ricevere il fiore: non vi nascondo che il pensiero di una tomba anonima mi aveva fatto impressione. Il mio è stato un impulso che non so spiegare, sono ritornata indietro; non riuscivo più a ritrovarla ma alla fine ce l’ho fatta. Inizialmente ho messo il fiore nel vaso vuoto, ma non aveva tanto senso data la lontananza, così l’ho messo proprio vicino alla fotografia e lì mi sono accorta che la pianta rampicante di tipo invasivo aveva avviluppato la pietra con inciso nome e cognome. Ho scoperto che era nata nel 1915, ma non sono riuscita a spostare la pianta e a leggere nome e cognome.

 

Chissà chi era…

Ho cominciato a riflettere sull’identità di questa signora, non disponendo che di qualche dettaglio. Forse era morta giovane, così come la ritrae la foto – dove ha un viso triangolare dal trucco accentuato come si usava all’epoca, un mento pronunciato e uno sguardo penetrante e serio, un po’ ostile – e qualcuno provvede a rinnovare la concessione. Vicino alla fotografia c’era un piccolo fiore fresco. Oppure era morta anziana, e non c’erano altre immagini disponibili se non di quando era ragazza.

Senz’altro non aveva parenti prossimi che potessero commissionare una lapide anche semplice oppure nessuno aveva voglia o possibilità di spendere dei quattrini. Però c’è senz’altro la mano di qualcuno che provvede a rinnovare la concessione, oppure non si spiegherebbe che possa essere ancora in terra dopo tanto tempo. Insomma, questa tomba abbandonata ha sollevato degli interrogativi, e se avessi una penna migliore potrei scrivere un racconto a lei dedicato.

Per il momento mi piace pensare che sia contenta per il dono ricevuto.

Nel romanzo “Via col vento“, ho letto di questo episodio con le signore di Charleston – in pratica amiche delle protagoniste Rossella O’Hara e Melania Hamilton – che si indignano perché una di loro, oltre a occuparsi della tombe dei caduti sudisti, cura anche le tombe senza nome dei soldati nordisti. L’intervento e la perorazione di Melania, una figura assai meno incolore di quanto appare nel film, saranno risolutivi sull’argomento.

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Vi sono dei cimiteri nella vostra città con nomi illustri, o con sculture importanti? Che cosa pensate dell’atmosfera dei cimiteri?

 

Cristina M. Cavaliere