Buongiorno e buon sabato a tutti! 😊
Nell’ultimo articolo dedicato alla mia carrellata di donne notevoli, vi avevo parlato di un scrittrice imperdibile per la letteratura e il femminismo del primo Novecento italiano e non solo, cioè Sibilla Aleramo (potete trovare qui e qui gli articoli).
Oggi è la volta di una figura forse meno nota, perlomeno in Italia: Katherine Mansfield. Autrice di racconti, poetessa, saggista e giornalista, Katherine nasce nel 1888 in una famiglia benestante di Wellington in Nuova Zelanda e muore di tubercolosi a Fontainebleau in Francia nel 1923, in circostanze non chiare, all’età di appena trentacinque anni.
Come la scorsa volta, mi scuso sin d’ora se ci saranno imprecisioni e refusi, rammentandovi che il mio articolo è tratto da appunti del lontano 1982 presi in una serie di conferenze e che ho integrato con la potenza del web. Il racconto della sua vita è tutto meritevole di attenzione, per cui suddividerò la presentazione in due o massimo tre post.
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Non c’è niente di meglio che presentare un’autrice con le parole di un’altra donna che scrive. Ascoltiamo come Sibilla Aleramo ci descrive questa anima irrequieta:
“Katherine Mansfield pareva silenziosamente annuire ora all’una, ora all’altra voce [dolore e magia]. Che cosa fu il passaggio terreno di questa donna, se non una breve, lunga sofferenza? Sofferenza dei mali propri e degli altrui, ma nello stesso tempo con quanta costanza ella seppe gioire del fenomeno dell’esistenza e venerarne il mistero. Non già che ella trasfigurasse illusoriamente le cose, vivesse in un cerchio di ipnosi o in trascendenti divisioni. Nessuna è stata più di lei verista e veritiera, testimone irrecusabile dell’umile vita quotidiana, degli aspetti più semplici, concreti. Diceva di qualcuno: – Era un essere reale, aveva delle radici. – E di qualche altro: – Esseri che non sono umani, che non sono mai fanciulli, macchine irreali. – Soltanto ella riusciva, similmente alla fanciullina, appunto, d’una delle sue migliori novelle “La casa delle bambole”, derelitta e stinta, a sentire come un miracolo ogni minimo e impreveduto dono della sorte e ad incantarsene.
Tutta la sua arte è sgorgata da questo suo inesauribile potere d’imitazione riconoscente. Tisica, vagabonda, dalle stanze d’albergo ove si rifugiava in riviera o in montagna, lontana dal marito, anch’egli poeta, o dagli amici, anch’essi intellettuali londinesi, Katherine Mansfield che aveva avuto nella nativa Nuova Zelanda un’infanzia sana e libera, scriveva, leggeva, guardava la parola umanità intorno, ancora scriveva, novelle e critiche, lettere, pagine di diario, ma soprattutto viveva una intensa, una prodigiosa vita dell’anima. Amore in ogni cosa, così sensitiva ed acuta, pronta a percepire le disarmonie, consapevole di infinite brutture, in rivolta aperta contro l’ipocrisia e la perfidia della società di ogni tempo e del nostro in specie, eccola nondimeno sempre sul punto di dare la benedizione a ciò che contempla.”
Nascita e infanzia
Katherine Mansfield Beauchamp nasce in un piccolo villaggio della Nuova Zelanda nel 1888. Il padre è Harold Beauchamp, diventato poi presidente della Banca di Nuova Zelanda e nominato cavaliere nel 1923; la madre è Annie Burnell Beauchamp (nata Dyer), il cui fratello aveva sposato la figlia di Richard Seddon, primo ministro della Nuova Zelanda. La sua famiglia, che si potrebbe definire allargata, comprende la scrittrice e contessa Elizabeth von Arnim.
La casa natale della scrittrice a Thorndon in Nuova Zelanda. |
La bambina frequenta una scuola rurale, i suoi biografi dicono insieme con l’amico guardiano di porci e con i figli del lavandaio del paese. La famiglia è molto unita, in particolare Katherine ha una venerazione per sua madre, che poi definirà “un essere immenso, perfetto e stupendo sotto ogni punto di vista, qualcosa tra la stella e il fiore.” Questo attaccamento grandissimo che ebbe per la madre fa supporre che, forse, non fu ricambiata.
Katherine ha due sorelle maggiori, una sorella e un fratello più piccoli. Ha una tenerezza particolare per Leslie, il fratellino di sei anni più giovane, importantissimo nella sua vita e carriera di scrittrice. Viene teneramente amata, invece, dalla sorella Connie che, quando la malattia di Katherine avrebbe avuto il sopravvento, l’avrebbe portata a Villa Flora a Mentone in Costa Azzurra, facendola scarrozzare avvolta in scialli e sdraiata su cuscini di raso. A nove anni Mansfield vince il primo premio letterario nella scuola del paese.
L’importanza della musica
A tredici anni viene mandata a Londra al King’s College, dove rimane fino ai diciotto anni per i suoi studi. Torna in Nuova Zelanda, portando con sé una mentalità più aperta, un bagaglio di conoscenze letterarie, una maggiore cultura, pur rimanendo sempre profondamente attaccata alla sua isola. Dopo due anni è nuovamente a Londra, ma per compiere studi musicali e non letterari: era violoncellista e si era innamorata di un violoncellista che andava a Londra a suonare.
Un’anima colma di inquietudine
Katherine Mansfield è nota soprattutto come autrice di racconti brevi, che inizia a scrivere fra il 1906 e il 1908. A Londra continua a vivere nuove esperienze, con un’avidità e una curiosità inimmaginabili, che potrebbero far pensare al presentimento di una morte prematura. Conduce una vita piuttosto sregolata, legandosi sentimentalmente ad almeno due donne, Maata Mahupuku e Edith Kathleen Bendall. Nel 1909, dopo un frettoloso matrimonio non consumato con George Bowden, maestro di canto, viene spedita dalla madre nella stazione termale di Bad Wörishofen in Baviera. In seguito a questi eventi, viene diseredata da Annie Beauchamp.
Un’outsider a Londra e dintorni
Quando queste esperienze raggiungono il parossismo e approdano quasi al disgusto, Katherine rientra a Londra. La città vive un periodo di grande fermento intellettuale con figure come T.S. Eliot, James Joyce, Ezra Pound e Virginia Woolf (qui in una celeberrima foto del 1902) con il marito Leonard. Nel cosiddetto gruppo di Bloomsbury si vivono esperienze di neopaganesimo, con Lawrence che scrive “Il Vangelo erotico”, con Anaïs Nin e “I racconti erotici a quattro mani”.
La coscienza del “nulla”
La paragonano a una scimmia, a un gatto per il suo silenzio denso di intelligenza che succhia all’interlocutore le sue parole. In questa società lancia una sfida aperta, avendo lei una mentalità totalmente diversa, nata com’è in un’isola libera, con una famiglia nella norma. Katherine fa una scelta: non ha niente di quello che hanno gli altri a livello formale, ma ha molto di ciò che gli altri non hanno. La sua scelta è essere se stessa, dire soltanto ciò che sente, amare soltanto ciò che a lei piace, credere in ciò che conosce e teme.
Da sempre, infatti, in lei c’è questa tragica coscienza del “nulla” che è insopprimibile e l’accompagna sia nella vita sia nello scrivere. C’è l’ansia, la fretta, di cui è cosciente e che riesce ad arginare e a non far trasparire nella sua prosa, nei suoi mirabili racconti. Non ci riesce affatto, e non vuole farlo, nelle sue lettere.
John Middleton Murry
Nonostante la sua contestazione della società pseudo-pagana, costruita in modo abbastanza cerebrale, Katherine si lega per sempre a John Middleton Murry, amico di Leonard Woolf. Mentre Leonardo fu per Virginia, come lei stessa scrive nella lettera del suicidio, il compagno ideale cui dovette tutto l’appoggio morale, questo Murry, mai scomparso dall’orizzonte di Katherine nonostante qualche fuga d’amore, non le darà nulla. Katherine lo definisce: “... quest’uomo avvolto nel suo morbido egoismo.” Murry è scrittore e critico, ma non la segue, non le chiede nulla, quasi non legge ciò che scrive.
Per lui Katherine scrive qualcosa come 750 pagine di lettere d’amore. In realtà lei non ama tanto quest’uomo, ma l’idea di avere un punto fermo per la prima volta nella sua vita. Scrive le lettere quando è lontana: avendo scoperto che l’amore, in fondo, è un sogno, per riprovare tutto quello che l’amore dà, lei parte e, appena lontana, gli scrive.
Quest’amore diventa una cristallizzazione, la sola pietra coerente di tutta la sua vita. Come creatura inquieta al massimo, vagabonda, sogna un nido e nello stesso tempo non può rimanere da nessuna parte: la sua vita è un pellegrinaggio da un albergo all’altro, nel tentativo di fuggire qualcosa che cerca e non trova, di essere una persona sempre in attesa. Katherine peregrina dunque negli alberghi della riviera, della Francia e dell’Inghilterra, conducendo una vita sempre più sregolata.
Un’avventura francese
A un certo momento Katherine comincia a ricevere delle lettere ardenti da uno scrittore francese di poco conto, Francis Carco, che poi descriverà: “... grassottello che sembrava una donna, coi capelli lunghi arricciolati, le manine esili, una catena al collo.” Qui lo vedete in una foto del 1923. Katherine inizia a fantasticare su quest’uomo sconosciuto e ogni tanto risponde alle lettere. A una lettera ancora più ardente di questo strano individuo, manda una sua fotografia e una ciocca di capelli.
Infelice e annoiata con Murry, torna a Parigi dopo qualche tempo. Abita in un appartamentino sopra la Senna, torna a Londra, ritorna a Parigi nuovamente, e stavolta va a Bandole, prende alloggio al Beau Rivage, dove le torna il desiderio di Murry e gli scrive lettere d’amore. Murry le scrive che arriva, e lei affitta la famosissima villa Pauline dove lui la raggiunge.
(segue)
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Per il momento è tutto! Ebbene, vi è piaciuta questa prima parte della vita di Katherine Mansfield? Avete mai letto qualcosa di questa scrittrice? 😊
Cristina M. Cavaliere
Fonte immagini: Wikipedia
Non è stata fra le autrici studiate all'università. Una volta ho provato a leggere un suo racconto in lingua originale (ero particolarmente giovane e alle prime armi con l'inglese) ma sono stato messo in seria difficoltà dalla sua prosa così rarefatta. Non escludo di riprovarci, magari però una versione tradotta in italiano.
Ciao Ariano, io avevo comprato l'intero cofanetto dei suoi racconti – alcuni sono davvero mirabili – ma in lingua italiana. Nonostante la semplicità della trama (sono storie di vita quotidiana, in situazioni quasi banali), in effetti lo stile può cambiare tutto, ed è il bello della scrittura, la voce di un autore.
È sempre molto affascinante scoprire la vita avventurosa di queste donne del passato che hanno spesso anticipato temi importanti come la libertà di essere se stesse, cosa difficile ancora oggi ma nel 1900 sicuramente coraggiosa e rivoluzionaria, però non ho letto ancora nulla di questa autrice.
Katherine Mansfield è una figura spregiudicata e commovente nello stesso tempo, come una farfalla che si sia bruciata in fretta le ali per il desiderio di vivere appieno una vita – forse in un presentimento – forse per lei troppo breve.
Se mi è piaciuta? Ho appena acquistato la collezione completa dei suoi scritti. Sei stata un ottimo sponsor, dal mio punto di vista! 😉
Katherine ne sarà felice! Se sapessi sponsorizzare me stessa con altrettanta efficacia, saremmo felici in due. 😁
Della Mansfield lessi, diversi anni fa, solo un paio di libri, delle raccolte di racconti. Uno lo aveva scritto poco più che ventenne e l’altro poco prima che morisse, poco più che trentenne.
Quello giovanile ruotava intorno a una giovane che, giunta in una clinica bavarese per un’interruzione di gravidanza, descriveva la grettezza degli ospiti tedeschi e, nel farlo, giocava su un duplice registro: sarcastico e a tratti perdutamente amaro.
L’ultimo è, invece, prevalentemente imperniato sulla storia di una giovane che, in occasione dei preparativi di un evento mondano, si imbatte nella morte di un giovane operaio. Quest’ultimo accadimento è il pretesto per tessere una serie di squarci sulle reazioni dell’animo umano le quali, tuttavia, vengono scientemente elaborate solo fino a un certo punto.
In ambo i casi, infatti, e questa mi sembra la cifra stilistica dell’autrice, l’approfondimento e la conseguente attribuzione di significati e di valori di ciascun avvenimento resta a carico del lettore. In pratica, la Mansfield coglie l’evento epifanico, lo mette in evidenza e poi è come se dicesse: “Io non voglio elaborarlo e sviscerarlo, perché preferisco che a farlo siate voi, cari lettori: mettetevi in gioco!”.
O, magari, non ho capito niente 😉
Penso che tu abbia centrato il punto focale con la consueta acutezza. 🙂 Ricordo che nell'ambito della conferenza su Katherine Mansfield, venne proposta la lettura di uno dei suoi racconti più celebri, "Felicità" dove la protagonista esprime la sua sensazione inspiegabile di felicità nei seguenti termini: "Nonostante i suoi trent'anni, Bertha Young aveva momenti come quello, che si sentiva la voglia di correre anziché di camminare, di abbozzare passi di ballo su e giù del marciapiede, di giocare al cerchio, di buttar qualche cosa per aria e riprenderlo a volo, di starsene lì a ridere di nulla, semplicemente di nulla." Insieme con il marito, la protagonista attende una coppia di ospiti a cena, i Knight, tutto sembra perfetto e continua a irrorare di un nuovo sentimento di felicità ogni sensazione, ogni oggetto, ogni gesto… senonché al momento del congedo lei scorge, riflesso nello specchio, il gesto del marito che, nel posare la pelliccia sulle spalle dell'ospite, mormora un "Ti adoro." e alcune frasi su un appuntamento per l'indomani. Ebbene, questo è il momento epifanico di questo racconto, tipico dello stile di Mansfield, non a caso il racconto è citato per la sua perfezione assoluta, quasi di contrappunto musicale. La felicità è rappresentata dall'immoto albero di pere del giardino, che è sempre lì, impassibile, sia all'inizio che dopo la rivelazione che il marito la sta tradendo. Quello che mi piace di lei è la mancanza di ogni intento moraleggiante o didascalico, molti dei dei suoi racconti sono come dei flash poetici di bellezza assoluta.
No, ahimé, mai letto nulla. Almeno non ancora. Certo è autrice di racconti e il racconto non è un genere che mi è congeniale. Questa sua biografia è molto affascinante (e attendo il seguito con molto interesse). Mi piace il fatto che da un'isola selvaggia lei veda in Londra un'opportunità di crescita, posso immaginare quanto cambiata tornò dall'esperienza. Mi piace questo caracollare fra amare l'altro e amare l'amore e su tutto la sua affinità con Virginia Woolf, donna e autrice che adoro. Una delle cose che intendo fare è approfondire quel gruppo di Bloomsbury, qualcosa ne so, perché la biografia di Fusini su Woolf ne parla diffusamente. Ma quanto fascino! E che nomi. Per Virginia sono gli anni migliori, i più felici. Certo lei riscontrava questa non affinità con la Mansfield. Ho visto su You Tube che esiste uno sceneggiato su di lei, e il suo ruolo è interpretato da Vanessa Redgrave. 🙂
Grazie infinite del tuo commento, Luz, sempre molto approfondito e stimolante! Ho voluto riproporre con particolare affetto gli appunti di questa serie di conferenze proprio perché mi fecero scoprire in primis proprio Virginia Woolf. Fu un vero colpo di fulmine, e mi dedicai a leggere tutte le sue opere una dopo l'altra. Tieni conto anche che avevo diciannove anni, come a dire che queste folgorazioni arrivano nell'età giusta o non arrivano proprio. La relatrice, la dottoressa Vittoria Palazzo, era molto coinvolgente nella sua esposizione. Ci propose nell'ordine Sibilla Aleramo, Simone de Beauvoir con Françoise Sagan (che però non ebbi modo di ascoltare), Virginia Woolf con Anais Nin, e infine Gabriela Mistral con Katherine Mansfield. La sua preferita era Sibilla Aleramo e a un certo punto si commosse proprio.
Andrò a curiosare su You Tube per cercare questo sceneggiato che menzioni.