Bentornati sul blog in questa rovente estate 2022!

Il mio impegnativo mese di luglio si avvia alla conclusione e, come promesso, vi propongo qui la terza e ultima parte della vita di Katherine Mansfield. Se avete perso le prime due parti sulla sua breve, e pure intensa, esistenza, potete recuperarle qui e qui. Tutti gli articoli sono frutto di appunti nell’ambito di una serie di conferenze, per cui avrete notato che gli argomenti sono affrontati e poi ripresi, proprio come avviene nell’ambito di una libera conversazione. Ho cercato di riordinarli e sistematizzarli, anche inserendo dei titoli.

Avevamo lasciato Katherine nell’istituto di Gurdjieff a Fontainebleau, dove era entrata nella speranza di curare anima e corpo.

 

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Ricordi d’infanzia

Come scrive Pietro Citati – morto pochi giorni fa, il 28 luglio – in “Vita breve di Katherine Mansfield”, questa creatura che si dilegua in fondo alla tazzina del tè cinese, che aveva mani splendide, quasi trasparenti, che emanavano luce, nell’istituto di Gurdjieff scriveva di aver trovato una certa pace e che non valeva più la pena di scrivere, perché in realtà non c’era niente da scrivere.

Ogni tanto ancora rincorreva le fantasticherie sublimi che erano così frequenti nella prima giovinezza, quando amava essere un uccello. Nella poesia “The candle“, per esempio, aveva rievocato la figura della nonna, che aveva rivestito un’importanza fondamentale fin da quando si è occupata di lei. Poi, con la nascita della sorellina, la nonna l’aveva trascurata. Katherine provava quindi un bisogno di protezione nello stesso momento in cui vuole disobbedire. Vi propongo la poesia nella versione originale inglese e nella traduzione italiana, in modo da leggere soltanto la versione che si preferisce.

 

Foto: Pixabay

The candle (1916)

By my bed, on a little round table
The Grandmother placed a candle.
She gave me three kisses telling me they were three dreams
And tucked me in just where I loved being tucked.
Then she went out of the room and the door was shut.
I lay still, waiting for my three dreams to talk
But they were silent.
Suddenly I remember giving her three kisses back.
Perhaps, by mistake, I had given my three little dreams
I sat up in bed.
The room grew – big, O bigger far than a church.
The wardrobe, quite by itself, as big as a house
And the jug on the washstand smiled at me . . .
It was not a friendly smile.
I looked at the basket-chair where my clothes lay folded
The chair gave a creak as though it were listening for something.
Perhaps it was coming alive and going to dress in my clothes.
But the awful thing was the window
I could not think what was outside –
No tree to be seen, I was sure,
No nice little plant or friendly pebbly path.
Why did she pull the blind down every night?
It was better to know.
I crunched my teeth and crept out of bed
I peeped through a slit of the blind
There was nothing at all to be seen
But hundreds of friendly candles all over the sky
In remembrance of frightened children.
I went back to bed . . .
The three dreams started singing a little song.

Fonte: Katherine Mansfield Society https://katherinemansfieldsociety.org/

 

La candela (1916)

Accanto al letto, su un tavolino rotondo
la nonna posò una candela.
Mi dette tre baci dicendomi che erano tre sogni
e mi rimboccò proprio dove mi piaceva farmi rimboccare.
Poi uscì dalla stanza e la porta fu chiusa.
Io stavo distesa, aspettando le voci dei tre sogni;
ma quelli non parlavano.
D’improvviso ricordai che avevo restituito tre baci alla nonna.
Forse per sbaglio avevo ceduto i miei tre sogni.
Mi drizzai a sedere sul letto.
La stanza diventava grande, oh, molto più grande d’una chiesa.
L’armadio, da solo, era grande quanto una casa.
E la brocca sul lavandino mi sorrideva:
non era un sorriso amichevole.
Guardai la sedia di vimini con sopra i miei vestiti piegati:
mandò uno scricchiolio, come fosse in ascolto per qualcosa;
forse stava diventando viva e si sarebbe messa i miei vestiti.
Ma la vera paura era la finestra:
non riuscivo a immaginare cosa ci fosse là fuori.
Non c’erano alberi da vedere, ne ero sicura,
né piante carine, né benevoli sentieri di ghiaia.
Perché la nonna abbassava la persiana ogni sera?
Era il caso di saperlo.
Strinsi i denti sgusciando dal letto
e sbirciai da una fessura della persiana.
Non si vedeva assolutamente nulla,
solo centinaia di candele amiche per tutto il cielo
memori dei bambini impauriti.
Tornai a letto…
I tre sogni presero a cantare una canzoncina.

K. Mansfield, trad. V. Gentili, in Il Parnaso europeo, Lucarini

 

Ribellione, ansia, quotidianità

Gli elementi nella produzione letteraria di Katherine Mansfield sono la ribellione, la scrittura d’ansia, ma gli argomenti sono quelli più comuni. Contrariamente alle altre scrittrici, che conducevano una ricerca a volte di tipo intellettuale, avevano un impegno sociale femminile e femminista, Katherine Mansfield, che vive la libertà di una donna a suo rischio e pericolo, parla di cose tipiche della donna: gli affetti familiari, le memorie dell’infanzia, l’amore, la gioia. Tutti i suoi racconti sono ambientati in situazioni quotidiane, con gente comune, e sono senza eroi.

L’altra nota da rilevare è un distacco sempre presente, che non è soltanto un fattore psicologico per trovare il rapporto di ripresa d’amore-entusiasmo. È anche la distanza dal proprio io interiore, che considera se stesso pirandellianamente, ma senza compiacimento, solo con la coscienza di ciò che si è perduto.

 

 

Una ricerca infinita

Ciò da cui Katherine non può assolutamente prescindere è l’essenzialità, la centralità dell’io. È inutile guardarsi attorno fino a quando il nostro io non ha una sua rotondità; se non la si raggiunge o si è superficiali o si muore impazzendo. Il cercare è probabilmente meglio del rinunciare, se si è disposti a pagare un prezzo molto alto. Chi non lo fa tradisce la propria vita.

Katherine Mansfield ci lascia questo tipo di insegnamento: non smettere la propria ricerca, a nessun costo, scegliere e tentare di essere se stesse, scegliere l’onestà e la verità, che non sono quelle fasulle imposte dagli altri, a cui non sempre aderisce la nostra entità spirituale. Non è il vivere civile vissuto con le regole sociali e senza convincimento: significa far sì che quello che noi sentiamo possa venir vissuto senza far troppo danno agli altri, come Katherine scrisse al marito Murry.

Per questo Katherine ha rinunciato ad avere moltissime cose, ha rinunciato alla casa, a una famiglia, ha vissuto l’esperienza di un aborto involontario, ha rinunciato anche ad avere un giro di amicizie, non ha avuto circoli intorno a sé, non ha avuto persone su cui contare, anche se lei scriveva a tutti che potevano contare su di lei. In una lettera a un giovane artista scrisse infatti: “Qualsiasi cosa tu abbia bisogno in qualsiasi momento, basta che chiami K. E io ti aiuterò.”

Un’ulteriore cosa che la contraddistingue è la fierezza. Essere fieri non significa essere né orgogliosi né presuntuosi né ambiziosi. È quel tipo di dignità per la quale non ci si piega mai a un compromesso.

Katherine Mansfield e il marito Murry

 

La morte

Katherine Mansfield muore il 9 gennaio 1923 nell’istituto Gurdjieff e dispiace pensare che sia morta così malamente. Quasi preferibile è la morte da suicida di Virginia Woolf, in modo cosciente, limpido, poiché Katherine muore in preda a una grandissima paura.

Ecco che cosa scrive Pietro Citati nella biografia: “Una leggenda circonda gli ultimi mesi gli ultimi mesi di Katherine Mansfield. Il suo volto, felice e radioso di ‘inesprimibile bellezza’, splendeva come ‘fosse stata sul Sinai’ – ripetono a gara Middleton Murry, Orage e Ida Baker. Aveva dunque raggiunto la ‘vita solare’ a cui aveva aspirato? La nube di angoscia, di terrore e di disperazione nella quale era stata avvolta negli ultimi mesi, si era completamente dissolta? […] Quella vita non durò a lungo. La sera del 9 gennaio 1923, quando il marito andò a trovarla all’Istituto, ebbe un accesso di tosse mentre rientrava nella propria stanza. Un gran fiotto di sangue le uscì dalla bocca e parve soffocarla. Il marito la distese sul letto, e corse a chiamare un dottore. In pochi minuti Katherine Mansfield era morta, ‘con gli occhi spalancati dal terrore’. […] Tutto era finito. Quella creatura così leggera e delicata, così dura e avida, appassionata e implacabile, quella farfalla maldestra, ch’aveva provato le sue ali nel vento, quella remota figurina cinese dipinta sul fondo della tazzina, era scomparsa.”

Congedo

Gli articoli sulla vita di Katherine Mansfield terminano qui, e possiamo congedarci da lei con una delle sue poesie più significative e struggenti, “Now I am a plant, a weed“, dove compie una sorta di autoritratto di se stessa e del mondo che la circonda.

Foto: Pixabay

Now I am a plant, a weed (1917)

Now I am a plant, a weed,
Bending and swinging
On a rocky ledge
And now I am a long brown grass
Fluttering like flame
I am a reed;
An old shell singing
For ever the same
A drift of sedge
A white, white stone
A bone
Until I pass
Into sand again,
And spin and blow
To and fro, to and fro,
On the edge of the sea
In the fading light . . .
For the light fades.

But if you were to come you would not say
She is not waiting here for me
She has forgotten. Have we not in play
Disguised ourselves as weed and stones and grass
While the strange ships did pass
Gently – gravely – leaving a curl of foam
That uncurled softly about our island home

Bubbles of foam that glittered on the stone
Like rainbows Look, darling!
No, they are gone.
And the white sails have melted into the sailing sky. . .

Fonte: Katherine Mansfield Society: https://katherinemansfieldsociety.org/

Un giunco, un’erba sono (1917)

Un giunco, un’erba sono
Che ora si piega e dondola
Su una sponda diruta.
Anche una lunga erba livida
Che ondeggia come fiamma,
sono una canna,
una frusta conchiglia che dirama
in eterno lo stesso canto,
un viluppo di sterpi,
una bianca pietra abbagliante,
un ossame.
Fin che nella sabbia
m’immergo di nuovo,
e mi giro, e qua e là mi protendo
a un angolo marino
nella luce calante
quando la luce scompare.

Ma se torni, non dire:
“Ella non è più qui in attesa,
ha dimenticato”. Con cespi, per gioco,
con erbe e pietre non ci siamo mascherati
mentre passavano le strane navi,
lente, gravi, dinanzi a una sciarpa di spuma
che l’isola nativa scioglieva dolcemente
e le bolle di schiuma ponevano sulla pietra
l’iride degli arcobaleni? Guarda, diletto . . .
No, esse sono andate,
e le vele e il cielo muovono insieme.

Fonte: appunti della conferenza

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Spero che quest’ultima parte vi abbia soddisfatta, e attendo i vostri commenti in proposito. Con questa poesia il blog chiude fino a settembre come di consuetudine. In autunno ci sarà una sorpresa di cui vi anticipo la copertina con un “cover reveal” che spero stuzzichi la vostra curiosità. Infatti, oltre alla tesi di laurea “Un poeta americano tra due rivoluzioni”, ho lavorato alacremente a questa mia nuova creatura… 😉

Cristina M. Cavaliere

 

AUGURO A TUTTI UNA BUONA ESTATE! 🤗
RIPOSATEVI E CERCATE DI RIMANERE IN SALUTE.