Il giorno 29 settembre si festeggiano i tre principali arcangeli, cioè Michele, Gabriele e Raffaele. Ognuno di loro ha dei compiti particolari, ma personalmente nutro un particolare affetto e un’intensa venerazione per san Michele, l’arcangelo guerriero. Questa immagine di apertura è un’icona russa che fa da sfondo al mio smartphone da anni. Ne ho fatto addirittura uno dei protagonisti dei miei romanzi, anche se sotto mentite spoglie dato che interviene in molte delle vicende dei personaggi, quindi spero che non me ne vorrà.

Provenendo dall’oriente, il culto dell’arcangelo Michele è trasversale a molte religioni, e anche l’Islam lo venera; gli stessi Longobardi furono conquistati da questa figura guerriera fino a tributarle un’immensa venerazione. Molti santi si rivolsero a lui nella preghiera, come Francesco di Assisi e Padre Pio, ma non solo. Il filosofo, esoterista e fondatore dell’antroposofia Rudolf Steiner ne parla in un libro dedicato dal titolo La missione di Michele, e lo relaziona in modo particolare all’epoca contemporanea.

Anche Clementina è particolarmente appassionata dell’argomento, e quindi abbiamo deciso di riproporvi un articolo sulla sacra di san Michele in val di Chiusa: un luogo affascinante e più simile a una fortezza che a un’abbazia, che troneggia sulla sommità di un monte e osserva dall’alto lo snodarsi della via Francigena. Ecco che cosa ci racconta la nostra amica:

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Bentornati!

Se anche voi, come me, avete amato il magnifico romanzo di Umberto Eco, Il nome della Rosa, siete invitati in questo viaggio lungo i secoli per conoscere da vicino la straordinaria storia del luogo che lo ispirò: l’abbazia di San Michele alla Chiusa, più nota come Sacra di San Michele.

 

Veduta panoramica della Sacra di San Michele – fonte Wikipedia
Siamo in pieno Medioevo, esattamente nel 983 nel cuore della Val di Susa con i suoi valichi, tra il massiccio dell’Orsiera-Rocciavrè, il Moncenisio, il Rocciamelone, che rendono comodo e agevole il passaggio tra Italia e Francia.

 

Veduta della Val di Susa dalla terrazza della Sacra di San Michele
(tra il massiccio dell’Orsiera-Rocciavrè, il monte Rocciamelone e le Alpi francesi sullo sfondo)

 

Verso la pianura torinese la strada, proveniente dal valico del Moncenisio, si insinua tra due monti, una sorta di chiusa naturale: il Porcariano, che si inerpica di scatto fino a 962 metri, e il Caprasio, alto circa 1500 metri, ma dal declivio più dolce.

Il monte Caprasio dà i natali a un eremita, in seguito canonizzato santo, un certo Giovanni, detto Vincenzo. I valligiani sono, chiaramente, orgogliosi della presenza di un santo locale, soprattutto perché si tratta di un virtuoso il cui voto di povertà lo rende emotivamente vicino al popolo.

Quell’anno, però, un certo Ugo de Montboissier, ricco aristocratico di origini francesi e dai trascorsi piuttosto opachi, dopo aver ottenuto da Papa Silvestro II il perdono per alcuni peccati, decide di fare ammenda e acquista dal marchese di Torino l’intero monte Porcariano lungo le cui pendici si trova una piccola cappella longobarda dedicata al culto micaelico. Quello di San Michele è un culto che nasce in Terra Santa, si diffonde velocemente in oriente e più tardi conquista il popolo longobardo, il quale riconosce nell’arcangelo, armato di spada a difendere la fede combattendo le forze del Male, Odino dio della guerra, protettore degli eroi. In seguito, il culto dilaga rapidamente, diffuso soprattutto dalla popolarità che gode fra i soldati e conquista l’Europa. Ecco che, dopo aver acquistato il monte, Montboissier affida a un monaco, già abate della diocesi di Tolosa, un certo Adverto di Lezat, il compito di fondare un monastero benedettino che obbedisce all’abbazia di Cluny. Nel giro di quattro anni il nuovo monastero dedicato all’arcangelo prende vita.

Il luogo scelto da Montboissier è indubbiamente straordinario, sia dal punto di vista strategico, che da quello simbolico. La chiesa appena nata, infatti, sovrasta e domina la strada che collega la Francia nella quale confluiscono due importanti correnti di commercio e pellegrinaggio: una conduce a Roma e l’altra, che coincide per un tratto con la prima, collega l’abbazia normanna di Mont Saint Michel con il Santuario di San Michele del Gargano, in provincia di Foggia. San Michele alla Chiusa si colloca, quindi esattamente a metà tra gli altri due santuari occidentali dedicati allo stesso santo. Anzi, la sua posizione è ancora più ingegnosa, poiché allineandosi perfettamente ad essi, a distanza di mille chilometri dal primo e dal secondo, definisce con chiarezza il tracciato che conduce i pellegrini fino a Gerusalemme.

Gli abati si rivelano fin dall’inizio esperti comandanti e, come tali, iniziano una concorrenza spietata al culto dell’eremita. Se già l’acquisto dell’intera montagna aveva sancito l’autonomia di questi benedettini nei confronti dell’aristocrazia locale, un nuovo espediente consente loro di garantirsi l’indipendenza anche dal vescovato, mantenendo così un rapporto diretto solo con il papa. Al momento della fondazione i monaci sostengono che la consacrazione di quel luogo sia avvenuta per mano divina. Come fanno? Subito spiegato: sostengono che un fuoco celeste avrebbe avvolto la cima del monte indicando il luogo da scegliere per il nuovo edificio. Per avvalorare questa leggenda modificano e nobilitano il toponimo del monte Porcariano, derivato dalla rilevante frequentazione di maiali su quelle pendici, in Pirchiariano, la cui pretesa radice greca pyr (fuoco) fa diretto riferimento al loro racconto. Inoltre, cercano di inglobare nella narrazione ufficiale della fondazione dell’abbazia lo stesso culto dell’eremita.

Per riuscirvi imbastiscono inizialmente una seconda leggenda, secondo la quale il santo Giovanni Vincenzo, meditando sul pendio del monte Caprasio di costruire una nuova chiesa, la sera prepara il materiale occorrente, che deposita fuori dal suo rifugio e la mattina successiva non lo ritrova più perché gli angeli e gli uccelli lo hanno trasportato nottetempo sulla cima del Pirchiariano. Siccome non si ritengono ancora soddisfatti, verso la fine del XII secolo, confezioneranno una terza leggenda, secondo la quale i benedettini, per seguire la volontà di Giovanni Vincenzo, avevano iniziato a trasportarne le spoglie mortali a San Michele a dorso di un mulo, quando, all’altezza di Sant’Ambrogio, località alla base delle fondamenta del monastero, l’animale rifiuta di continuare il cammino. Pertanto, i monaci si vedono costretti ad accogliere la reliquia nella chiesa del paese, anziché trasportarla a quasi mille metri, nell’abbazia.

 

Tutte queste ingegnose manovre fanno sì che sin dall’insediamento si disegni un equilibrio assai precario tra il culto di San Michele e la semplice religiosità cresciuta tra i villaggi di Chiusa, Sant’Ambrogio, Condove, Caprie e Celle, situati ai piedi di quelle montagne. Questi rapporti profondamente instabili arriveranno all’acme intorno al 1300, ma affronteremo il tema del declino nella prossima puntata.

Per adesso vi anticipo solo che, circa tre decadi dopo la fondazione dell’abbazia pirchiariana, nel 1027, a fondovalle, più precisamente a Susa, nasce un’altra abbazia benedettina, quella di San Giusto. San Giusto, però, viene fondata con il contributo dei marchesi di Torino, quelli da cui i monaci di San Michele rivendicavano la propria autonomia. Presso questa nuova abbazia, che è molto meno nota dell’altra a livello europeo, ma estremamente potente sul piano locale, confluiscono i rampolli delle famiglie valsusine.

Tornando ad occuparci della situazione dell’abbazia di San Michele tra il X e il XII secolo, direi che è interessante seguire alcuni passaggi che spiegano in che modo essa diventerà, in breve tempo, ombelico del culto micaelico e importantissimo centro europeo di spiritualità ed eccellenza intellettuale. Anzitutto, vale la pena di soffermarci sulle caratteristiche che rendono la Sacra di San Michele unica e inconfondibile nel suo genere e per far questo è necessario individuare gli aspetti che definiscono l’identità di questa sede ecclesiastica. Essi sono principalmente tre. Il primo si riferisce al tratto aristocratico, in quanto l’abbazia, che è in rapporto diretto con quella di Cluny, verrà guidata da una successione regolare e ordinata di abati colti, oltreché capaci, provenienti da famiglie aristocratiche. Il secondo, è consequenziale al primo e riguarda il tratto intellettuale, in quanto il monastero nasce e proseguirà il suo percorso con la vocazione allo studio e alla ricerca. Il terzo è il tratto internazionale, non solo in quanto fin dalla fondazione il reclutamento degli abati e dei monaci avverrà sempre all’interno dei territori di Provenza, Linguadoca, Aquitania e Catalogna, ma anche perché il ciborio manterrà costantemente forti legami con le realtà monastiche posizionate in quei territori. La sinergia di questi tre aspetti determinerà la qualità dei rapporti che S. Michele alla Chiusa, sin dalla nascita, andrà via via intessendo con i vari centri di potere.


È un fatto certo che con l’anno 1000 la fama del monastero raggiunge l’apice, e ciò grazie soprattutto alla protezione della Santa Sede, che in quel periodo sta realizzando la Riforma ecclesiastica. Inoltre, in questo momento storico il ciborio si dota di una magnifica biblioteca, due ampi locali colmi di preziosissimi volumi, e di uno scriptorium, all’interno del quale vengono tradotti numerosi codici. Come già accennato, la maggior parte dei suoi monaci è composta da intellettuali e questi eruditi si muovono per l’Europa raggiungendo altre abbazie affini allo scopo di tenere dibattiti teologici e attirare colleghi alla Sacra. Ma lo scambio intellettuale di S. Michele alla Chiusa, che avviene sia in uscita, che in entrata, si gioca anche ad altri livelli e, infatti, qui, oltre ai comuni pellegrini vengono ospitati grandi aristocratici, re, principi e papi. Del resto, la sosta nell’aristocratico monastero è molto ambita: il cibo è di altissima qualità, vi sono stalle attrezzate per ospitare e rifocillare i cavalli, servizi all’avanguardia e l’infermeria. Insomma, l’accoglienza della Sacra viene apprezzata così tanto che un po’ tutti quelli che transitano lì lasciano per gratitudine terre della loro origine di provenienza, spesso anche comprensive di altre chiese. È così che il patrimonio dell’abbazia si espande in tutta Europa e diventa ricchissimo.

Il papato, che già con Silvestro II e con Leone IX si era dimostrato di grande sostegno a questi benedettini, continua a offrir loro grandi privilegi. Il 23 aprile del 1114, Pasquale II accoglie il monastero sotto la tutela apostolica e concede all’abate Ermenegardo il diritto di indossare i sandali, la dalmatica e la mitra, segni liturgici della sua dignità ecclesiastica. Un decennio più tardi Callisto II, eletto papa nel 1119, dopo aver trascorso un anno in Francia per trovare un accordo con l’imperatore Enrico VI, senza successo, si reca a Cluny e sulla strada di ritorno a Roma si ferma per alcuni giorni presso il villaggio di Sant’Ambrogio, già divenuto possedimento degli abati clusini, dove viene accolto dallo stesso Ermenegardo. Qualche anno più tardi, Callisto II riconferma, con una nuova bolla, tutti i privilegi e la tutela apostolica alla Sacra. Il prestigio e l’influenza di questo monastero cresce sempre più e, addirittura, dieci anni dopo, nel 1133, il nuovo papa, Innocenzo II, emana direttamente dal monte Pirchiariano una bolla con la quale impone la pacificazione e la fine di una lite, durata anni, tra laici ed ecclesiastici.

Ecco che, nella fase di raggiungimento del massimo successo per San Michele della Chiusa, in cui il colloquio con il maggior monachesimo europeo si dimostra sempre più fervido e il flusso di pellegrinaggio è aumentato in modo esponenziale, vien dato avvio ai lavori di ampliamento che porteranno alla realizzazione di una struttura monumentale eretta direttamente sulla vetta del Pirchiariano.

Finisce qui la prima parte del nostro viaggio, che riprenderà tra pochi giorni a partire dalla descrizione dello Scalone dei Morti e del Portale dello Zodiaco.

Avete mai visitato l’abbazia di San Michele alla Chiusa?
Vi era già nota la sua storia?

Nell’augurarvi il meglio vi do appuntamento a brevissimo per la seconda e ultima parte! 🙂

Clementina Daniela Sanguanini

Bibliografia:

  • La Sacra di San Michele, Giuseppe Sergi e Claudio Bertolotto – edizione del Graffio di Borgone
  • Nuove ricerche sul Portale dello Zodiaco alla Sacra di San Michele, di Carlo Tosco – all’interno de La trama nascosta della cattedrale di Piacenza, a cura di Tiziano Fermi

Iconografia:

  • Veduta della Sacra di San Michele immersa nella val di Susa: Wikipedia, autore Andrea Bonelli
  • Veduta di Mont Saint Michel: Wikipedia, autore Luca Deboli
  • Facciata del Santuario di S. Michele del Gargano: Wikipedia, autore Nikater
  • Disegno del primo Tempio di Gerusalemme: Wikipedia, pubblico dominio
  • Cartina di Europa e Paesi del Mediterraneo: http://www.educa.madrid.org/web

Tutte le successive immagini sono frutto dei miei scatti fotografici:

  • Veduta della Sacra dal monte antistante
  • Monumentale accesso al monastero
  • Corpo centrale dell’abbazia con statua di San Michele Arcangelo dello scultore Paul Moroder
  • Corpo lato est dell’abbazia con spumone di montagna
  • Veduta della Val di Susa dalla terrazza della Sacra (tra il massiccio dell’Orsiera-Rocciavrè, il monte Rocciamelone e le Alpi francesi sullo sfondo)