Riprendiamo la nostra narrazione su san Michele arcangelo e soprattutto su un luogo speciale a lui dedicato: la Sacra di San Michele in val di Chiusa. Se avete perso la prima parte, potete trovarla qua.

Come immagine di apertura, stavolta vi propongo una scultura che a me piace moltissimo, e che è più vicina a noi nel tempo, almeno a giudicare dallo stile. Ho scoperto essere posta sulla collina Tepeyac vicino alla Basilica della Vergine di Guadalupe a Città del Messico, ma non sono riuscita a individuare l’autore. Del resto, secondo la tradizione, l’arcangelo e la Vergine formano un binomio molto saldo, e vengono invocati insieme nelle formule degli esorcisti. Ascoltiamo che cosa ci racconta Clementina.

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Cari amici,

il nostro viaggio nella storia dell’abbazia di San Michele alla Chiusa prosegue esattamente da dove ci siamo lasciati qualche giorno fa.

 

Veduta della Sacra dal lato absidale.

Siamo nel XII secolo e i monaci benedettini dell’abbazia mettono a punto un grandioso progetto di allargamento della struttura di San Michele che prevede, poco prima dell’accesso all’edificio, la costruzione del cosiddetto Sepolcro dei Monaci, un edificio ottagonale dedicato alla memoria del Santo Sepolcro di Gerusalemme, ma soprattutto la realizzazione di una basilica a tre navate poggiante sulle cappelle primitive e le creste del monte Pirchiariano.

Vengono, così, concepite due vertiginose rampe di scale che hanno una duplice funzione: ospitare un monumentale percorso coperto di pellegrinaggio e fornire una costruzione in muratura di accesso per la nuova chiesa superiore.

Il primo scalone, che funge da accesso alla Sacra, ha inizio a poca distanza dal Sepolcro dei Monaci, e si inerpica sul gigantesco basamento di roccia superando un dislivello di oltre quaranta metri. Lo potete vedere nella foto sotto a sinistra. Basta un piccolo sforzo di immaginazione per indovinare l’effetto provocato sui pellegrini, già provati dal lungo viaggio e dal faticoso tragitto lungo la mulattiera, dalla visione di una rapidissima salita alla fine della quale si staglia l’immenso edificio, di ben cinque piani, abbarbicato in cima alla montagna. Come minimo, avranno sperimentato stupore, meraviglia, mista ad angoscia, desiderio di riscattarsi dai peccati, e un senso di forte fede.

Del resto, quella struttura suggerisce l’idea che sia possibile raggiungere l’impossibile: se ci si pensa, è un’opera architettonica quasi incredibile per l’epoca! Per realizzarla è stato necessario escogitare soluzioni ingegneristiche a dir poco audaci: tutto l’edificio si regge su colossali piloni innestati nella roccia.

 

Ad aggirare il pilone centrale, che conduce al fianco della chiesa, vi è la seconda rampa che prenderà il nome di Scalone dei Morti. Si tratta di un luogo estremamente suggestivo, sia per la successione di gradini, che sembra non finire mai (non per niente permette di superare un dislivello di circa trenta metri), che per la presenza di sepolture e mummie di alcuni abati esposte qua e là. I pellegrini vengono così “invitati” a riflettere sui propri defunti e a loro stessi come futuri defunti. La presenza di quella morte ha lo scopo di ricordare ai vivi l’importanza di comportarsi bene, senza eccedere in vizi ed esaltando le virtù.

In cima allo scalone viene collocato (anche se non è chiara quale fosse la sua sistemazione originaria) un fastoso portale, realizzato dalla squadra internazionale di scultori guidata da Nicolò, uno tra i più innovativi maestri italiani dell’epoca, attivo in Val di Susa, a Piacenza, Ferrara, Verona. Le opere di Nicolò presentano anche un curioso tratto comune: vengono sempre corredate da iscrizioni moralizzanti o retoriche in versi.

Il Portale dello Zodiaco, questo è il suo nome, presenta una miscellanea di temi molto diffusi nella scultura romanica e altri molto più rari. Gli stipiti all’esterno ospitano un interessante tralcio abitato, mentre all’interno presentano uno schema nel quale vengono rappresentati i simboli dei dodici segni zodiacali e delle costellazioni. Secondo gli esperti, la presenza del segno zodiacale del Capricorno alato, da una parte, e quella della Bilancia inclusa tra le pinze dello Scorpione, lasciano supporre che Nicolò si sia ispirato ad un antico codice miniato custodito all’interno della biblioteca del monastero (codice di Arato, 315–245 a.C.).

 

Anche le figure riprodotte sui capitelli sono ricche di significati allegorici. La maggior parte di esse si riferisce alle condotte che inducono l’uomo alla rovina: da una parte, la lussuria, tema piuttosto comune nella scultura romantica e, dall’altra, la superbia e la violenza. Troviamo, quindi, un capitello nel quale sono rappresentate delle donne avvinghiate da lunghi serpenti che mordono i loro seni, e altri nei quali appaiono uomini che litigano tirandosi per i capelli, Caino e Abele, sirene bifide che impugnano le code divaricate, grifoni che addentano una testa umana. A rimarcare l’importanza di pacificare lo spirito vi è anche una scritta, posta sull’abaco, con la quale si invita il pellegrino ad abbandonare i contrasti entrando in un luogo di culto: Hic locus est pacis causas deponite litis.
Oltre quei capitelli ve ne sono altri due nei quali viene raffigurato Sansone (uno mostra Dalila che sfida Sansone, l’altro descrive la morte di Sansone) un personaggio, poco frequente nella scultura dell’epoca, la cui interpretazione, secondo alcuni specialisti, rimanderebbe al sacrificio dell’eroe per esprimere la morte dei peccati e l’inizio di una nuova vita.
Portale dello Zodiaco – particolare capitelli
Morte di Sansone e 
litiganti

 

Di sicuro con la nuova edificazione il flusso del pellegrinaggio al monastero aumenta e con esso si diffonde sempre più la celebrità di questo luogo. Nella foto qui accanto, vedete il tratto finale della scala di accesso alla chiesa.

In questo periodo la Chiesa, preoccupata del diffondersi di movimenti eretici, soprattutto nel mezzogiorno della Francia, inizia a prendere pesanti misure per fronteggiarli, che porteranno alla nascita dell’Inquisizione. Prendono, così, vita una serie di decreti mirati a ricercare gli eretici per condannarli (il primo decreto risale al 1163, Concilio di Tours)

Nel frattempo, anche nei territori d’Oltralpe non si fa che magnificare l’eccellente lavoro svolto presso la Sacra, tanto che nel 1172 viene siglato un accordo per una Specialis Societats con l’abbazia di Cluny e Mont-St. Michel di Normandia, che ne suggella l’unione.

I recenti interventi scultorei e architettonici hanno rafforzato la sua vocazione salvifica, e la gente affluisce copiosa sul monte Pirchiriano desiderosa di purificarsi dai propri peccati e riscattare la propria anima. In questo contesto i monaci dell’abbazia non perdono l’occasione di mettere a segno una quarta leggenda mirata a mettere in guardia i pellegrini dalla tentazione di cadere nei vizi di lussuria e superbia.

 

Nasce così il mito della Bell’Alda, una bella fanciulla insidiata, non si sa bene se dalle truppe di Federico Barbarossa o da altre che in quel periodo non mancavano di transitare nella zona, a causa delle ricorsive guerre, che per sfuggire al tentativo di violenza si butta nel vuoto dall’alto di una torre dell’edificio. Alda, dimostrandosi moralmente integra, viene salvata dall’arcangelo Michele e da altri angeli e pur compiendo un volo di centinaia e centinaia di metri, non riporta nemmeno un graffio. Presa, però da un moto di orgoglio, volendo dimostrare ai suoi compaesani di aver ricevuto la grazia, torna sulla torre e si ributta. Questo secondo tentativo, però le sarà fatale. Nella foto qua accanto potete vedere le rovine della torre stessa.

Per un altro centinaio di anni la vita di S. Michele della Chiusa scorre all’insegna della grandezza. Contestualmente la Chiesa inizia a prendere posizioni inedite rispetto al passato. In questo senso si segnalano almeno tre importanti eventi che si ripercuoteranno sul destino di S. Michele della Chiusa. In primo luogo, la Santa Sede prosegue nell’emanazione di ulteriori decreti che ordinano la ricerca sistematica degli eretici in giro per l’Italia e l’Europa. Il decreto del Concilio lateranense del 1216, ad esempio, escogita speciali commissioni di “Visitatori” che hanno lo scopo di recarsi all’interno delle sedi ecclesiastiche per verificare l’eventuale presenza di eresia. In secondo luogo, nel 1229, papa Gregorio IX inizia una guerra contro l’imperatore Federico II di Svevia. In terzo luogo, la lotta della Chiesa all’imperatore si riverbera sui monasteri, che si vedono chiedere il pagamento di tasse supplementari mirate a sostenere le spese militari.

Così, con l’arrivo del Trecento inizia anche il declino della Sacra. Il dialogo con le realtà monacali europee, come i privilegi conferiti da Roma, si stemperano sempre più, mentre l’isolamento dalle realtà ecclesiastiche locali si accentua vorticosamente. Tanto si arricchisce San Giusto, l’abbazia benedettina di Susa, tanto più la Sacra comincia ad impoverirsi e non è più gradita a coloro i quali avrebbero potuto renderla di nuovo ricca. Nel 1339 scoppia anche un incendio che distrugge buona parte dell’edificio. Nella seconda metà del Trecento si realizza la fase apicale del suo crepuscolo. Accade, infatti, che l’abate reggente in quegli anni, un certo Pietro de Fongeret, sbaglia a schierarsi nei conflitti del tempo e rifiuta di dare un contributo straordinario alla sede papale. Inevitabilmente attira su di sé l’inimicizia di Amedeo VI di Savoia, quelle del vescovo di Torino e quelle di papa Gregorio XI. In seguito a questo rifiuto, nel 1375, le autorità ecclesiastiche inviano alla Sacra dei “Visitatori” i quali attivano un’inchiesta che porterà a galla le scorrettezze di una vita monastica diventata, ai loro occhi, troppo spregiudicata. Con effetto immediato alcuni monaci e l’abate vengono scomunicati. A quei tempi la scomunica veniva tolta solo con l’abiura e gli imputati che non abiuravano cadevano in sospetto di eresia. Di lì a poco viene soppressa la vita monastica a San Michele e la sua vita ecclesiale viene commissariata e affidata a un gruppo di canonici della valle. Per oltre due secoli la vita religiosa della Sacra sarà pressoché inesistente.

La vetta del Pirchiariano sostiene una delle colonne della
navata della chiesa.

Nel corso del Seicento l’abbazia diventa obiettivo militare delle varie truppe francesi e viene più volte bombardata e ridotta in rovina. Anche il contenuto della sua prestigiosissima biblioteca scompare, probabilmente saccheggiato per essere disseminato in tutto il mondo.

Quando ormai risulta sparito persino il ricordo della grandezza della Sacra, nel 1820, inizia un’epoca di restauri. A pochi anni di distanza vengono chiamati dei monaci certosini, provenienti dalla Certosa di Collegno, a prendere in mano le sue sorti, che però rimangono per un periodo molto breve.

Nel 1835, Carlo Alberto di Savoia prende a cuore il destino di questo luogo e ne affida ad Antonio Rosmini e ai rosminiani la custodia. All’interno della Sacra verranno così tumulati i sarcofagi di 24 antenati del re di Casa Savoia. I lavori di restauro stilistico e di integrazione riprendono e nel 1865 viene chiamato a guidarli l’architetto portoghese, naturalizzato italiano, Alfredo d’Andrade, cui si devono gli archi portanti e la foresteria. I suoi interventi vengono eseguiti nel rispetto dell’immagine originale dell’edificio.

 

Rovine del monastero e Torre della Bell’Alda.

All’interno della basilica spiccano ancora oggi il Grande affresco dell’Assunzione, di Secondo Delbosco di Poirino, del 1505, che occupa tutta la parete in fondo alle navate e che potete vedere nella foto sottostante, la Madonna della Pera, sempre dello stesso autore e, situati nel Coro Vecchio, sono visibili il Trittico e la Pala della Vergine, di Defendente Ferrari, del 1520 circa.

Da un portale laterale, in corrispondenza della navata di sinistra, si accede alla terrazza con veduta delle rovine del monastero nuovo e, leggermente più isolata, della Torre della Bell’Alda, posta di fronte al campanile incompiuto.

Nel 2017 è stata presentata al pubblico la candidatura dell’abbazia a Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco.

 

Voi, quali luoghi candidereste a Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco?

Il nostro viaggio si conclude qui. Mi auguro che vi sia piaciuto e vi invito calorosamente a visitare l’abbazia, vedrete che ne rimarrete incantati!

Un caro saluto e ci rileggiamo con il prossimo post!

Clementina Daniela Sanguanini

Bibliografia:

  • La Sacra di San Michele, Giuseppe Sergi e Claudio Bertolotto – edizione del Graffio di Borgone
  • Nuove ricerche sul Portale dello Zodiaco alla Sacra di San Michele, di Carlo Tosco – all’interno de La trama nascosta della cattedrale di Piacenza, a cura di Tiziano Fermi
  • Inquisizione, di Mario Niccoli, Enciclopedia italiana Treccani

Iconografia:

Tutte le immagini sono frutto dei miei scatti fotografici:

  • Veduta di San Michele dal lato absidale
  • Sepolcro dei Monaci
  • Visuale sull’accesso al primo scalone
  • Scalone dei Morti
  • Portale dello Zodiaco, esterno e dettagli dei capitelli
  • Panoramica sulla valle attraverso uno degli archi portanti
  • Torre della Bell’Alda e rovine
  • Grande affresco dell’Assunzione, Secondo Delbosco di Poirino