Il sole colora di rosso le montagne che hanno accolto la prima, precoce nevicata. Ne sento l’odore, prima ancora del freddo. Sollevo leggermente le labbra e lascio che la sensazione entri tra i denti e solletichi la lingua. Tra poco la neve arriverà anche a Santo Stefano di Sessanio, ricoprendo il paese di pensieri sospesi e rimpianti.

Sono salito sul merlo più alto della torre, quello da cui posso controllare ogni movimento nella piana sottostante. Socchiudo gli occhi nella luce che si spegne, colgo i bagliori dei fuochi che via via vengono accesi dai pastori per tenere lontani i lupi e le altre bestie che potrebbero attaccare le pecore durante la notte. Decine di migliaia di ovini, raccolti nella conca davanti a Rocca Calascio, pronti al viaggio lungo il Tratturo Magno, che li porterà, in poco più di due settimane, sul Tavoliere delle Puglie, dove trascorreranno i mesi più rigidi.

Domani è San Michele, protettore dei pastori, e la transumanza avrà inizio. Le donne guarderanno partire i mariti e i figli più grandi, restando con pochi viveri e molto coraggio a fronteggiare il graffiante inverno della Baronia di Carapelle. Il luogo dove sono nato nel 1577, quando i Piccolomini erano i signori e padroni di queste terre.

Sul torrione attenderò come ogni primavera il ritorno degli armenti, l’orecchio teso alle prime campanelle. Apparterranno alle pecore più inquiete e incoscienti, desiderose di ritornare sui monti su cui sono nate. Ancora una volta, i mantelli neri e cappelli flosci dei pastori emergeranno nella nebbia del mattino, alla guida di un mare bianco in lento movimento nel verde dei pascoli flagellati dal vento.

La lastra sotto la mia pancia è fredda, ma non mi disturba. Voglio imprimere nella memoria ogni dettaglio dell’antica costruzione. Sfioro le pietre scabrose, cerco le orme dei miei antenati che hanno trascorso la vita come guardiani della torre, come lo sono io e come lo saranno i miei figli. Noi proteggiamo le derrate alimentari che, in caso di carestia o assedio, significano la differenza tra la vita e la morte degli abitanti del paese.

Quando la notte scivola dentro al giorno, scendo la scala a chiocciola per raggiungere il luogo dove, come di consueto, cercherò le tracce del mio nemico: è rimasto solo lui a sfidarmi. Scorgo la sua ombra che si allunga alla luce delle fiaccole, dietro un orcio. In un balzo lo raggiungo e lo inchiodo a terra. Il suo pelo sa di polvere e sconfitta. Ucciderlo non mi darebbe gioia, è stato un avversario degno e io sono stanco di questa vita. Forse lo so da tempo o forse lo capisco solo adesso che ho catturato l’ultimo topo della torre. Lo tengo sospeso per la collottola, come un cucciolo. Attraverso il paese in pochi balzi; nessuno assiste al mio dilemma, nessuno mi biasima per la mia scelta. Lo conduco fuori dalle mura e poi in mezzo alle brughiere. Il ghiaccio scricchiola sotto la mia corsa, il fiato gelato che inumidisce la sua schiena. Mi fermo stremato ma leggero e depongo il prigioniero sull’erba: «Ti lascio vivere se resterai lontano dalla torre per sempre.»

«Perché?» Mi osserva senza comprendere.

«Desidero vedere il mondo e non voglio farlo con il peso della tua morte sul mio nuovo inizio.»

«Hai sterminato la mia famiglia.»

«Lo ricordo. Era il mio dovere, il mio lavoro di guardiano della torre»

«E cosa è cambiato, adesso?»

«Io.»

Mi allontano senza voltarmi e raggiungo il gregge che guiderà la transumanza.

Scorgo Giovanni, seduto nell’oscurità. È il giovane pastore che, armato solo di un bastone, ha messo in fuga un orso lo scorso inverno. Guarda verso est, in direzione del chiarore che cerca di farsi spazio tra la pioggia e il buio. Si gira piano verso di me e il suo sorriso rischiara le tenebre. Una cicatrice gli attraversa il volto, ricordando a tutti la sua impresa.

«Benvenuto, Rosso, ti stavo aspettando.»

Mi siedo al suo fianco e osservo la luce che si stira pigra nel nuovo giorno.

«Hai fame?» mi offre un pezzo di formaggio, ho fame davvero.

La sua mano sulla testa segnata dalle battaglie con gli altri gatti. Chiudo gli occhi e sento che il nodo nel mio petto si scioglie.

Ho fatto la scelta giusta, sono pronto a intraprendere il viaggio lungo il tratturo, oltre duecentoquaranta chilometri con le pecore e i pastori che per anni ho guardato da lontano. Invidiavo i loro passi cadenzati, uguali e liberi. Liberi. Come lo sono io, finalmente.

L’alba esplode colorando di rosa gli animali che mi circondano, ancora addormentati. Il vecchio cane da pastore alza la testa, la piega di lato, chiedendomi spiegazioni. Poi si arrende al mio silenzio e riabbassa la testa sulle zampe anteriori. Ne ha viste tante, nulla lo sorprende più.

Giovanni si alza, batte le mani sul mantello consunto, per liberarlo dall’erba che è rimasta impigliata nella stoffa grezza. Le sue pecore producono una lana pregiata, destinata ai signori di Firenze, i nuovi padroni della baronia, i Medici. Lana che non carezzerà mai la pelle di miserabili come lui.

«Andiamo, Rosso, oggi comincia l’avventura» gira la testa di lato, come il vecchio cane, e il suo fischio allegro irrompe nella piana, inaugurando la mia nuova vita.

Mi incammino accanto al mio nuovo amico.

«È così facile essere felici?»

 

 

Susanna Albertini

 

Nota: L’autrice del racconto è Susanna Albertini (La Compagnia delle Parole), editor Lucia Codato e Marcella Garau (Rete Codraux). Questo racconto fa parte della raccolta “La casa di Bingo” che è stata realizzata per supportare l’omonimo rifugio per animali. I guadagni della raccolta verranno interamente devoluti al rifugio. Il libro si trova su amazon.

Credit per l’immagine di apertura: fotografia di Filippo Palluzzi – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=138713227