Cari amici,

in questo post Clementina prosegue con l’appassionante narrazione della donna nel XIX secolo. Se avete perso la parte immediatamente precedente, la potete trovare qui. Buona lettura!

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A questo punto, però, proseguendo la nostra narrazione intorno ai filosofi, troviamo un contemporaneo di Marx, oltre che un suo oppositore, che tratterà il tema della famiglia e del matrimonio come un luogo specifico di una immutabilità di rapporti tra uomo e donna.

Stiamo parlando del filosofo francese Pierre-Joseph Proudhon (Besançon, 15 gennaio 1809 – Passy, 19 gennaio 1865), che qui potete vedere in una foto di Nadar, conservata presso la Bibliothèque National de France.

Per Proudhon la famiglia è il luogo in cui regna una pace basata sull’ineguaglianza e il filosofo fa di tutto, intreccia persino i legami tra economia e metafisica, per avvalorare la propria tesi sull’inferiorità femminile.

Per Proudhon il ruolo delle donne è legato all’importanza del loro ruolo nella famiglia e la loro emancipazione è possibile solo quando l’uomo sarà in grado di “emanciparsi” nei lavori domestici. Cioè mai.

 

Per costui la donna è il complemento dell’uomo che contribuisce alla vita di coppia con la propria bellezza, ma la sua bellezza è anche un deterrente per il suo sviluppo e, pertanto, ella rimane costantemente in condizioni di inferiorità, un essere intermedio tra l’uomo e l’animale.

Leggiamo insieme cosa scrive a riguardo nel suo breve trattato “Systéme des contradictions économiques ou Philosophie de la misère”, ovvero “Sistema delle contraddizioni economiche o Filosofia della miseria”, più comunemente conosciuto come “Filosofia della miseria” (pp. 21-22):

Tra l’uomo e la donna può esistere amore, passione, un legame di abitudine, tutto quello che si vuole, ma non vi è autentica parità. L’uomo e la donna non procedono all’unisono, la differenza dei sessi innalza tra loro una barriera non diversa da quella che la differenza delle razze pone tra gli animali. […] Così, lungi dall’applaudire a quella che oggi viene definita emancipazione delle donne, io inclinerei piuttosto, se si dovesse giungere a questi estremi, a chiudere le donne in prigione.

Un gran simpaticone, no?

Ebbene, in Francia il movimento operaio fa proprie le posizioni di Proudhon – no, non sto scherzando, è tutto vero – e lo slogan diventa: “Donna di casa o cortigiana, non serva”.

Sembra una presa in giro, ma è esattamente ciò che è successo e questo motto va inteso nei seguenti termini: nella vita domestica la donna di casa effettua un lavoro non salariato, ma non servile. Nello spazio pubblico la donna è presa in un ingranaggio commerciale che la trasforma in merce. Invece, il dualismo sessuale nella coppia marito-moglie, malgrado l’ineguaglianza, si basa sul reciproco rispetto.

Dove sarebbe poi questo rispetto tanto sventagliato è davvero un mistero, visto che le donne, non solo svolgevano gratuitamente i lavori domestici, ma non potevano nemmeno tenere per sé il salario ottenuto andando a lavorare in fabbrica, perché erano obbligate a porlo nelle mani del consorte, che lo amministrava a sua discrezione. Le foto qui sotto mostrano due lattaie londinesi; tratte da “Victorian Working Women”, risalgono al 1864. Ancora più sotto, foto di donne che lavorano presso la miniera di Wigan tratte dalla collezione Munby (1867-78 circa).

Dai, passiamo ad altro, che è meglio!

Ora vi parlo di un paio di persone che, senza alcun dubbio, possiamo porre agli antipodi rispetto a Proudhon: Harriet Taylor e suo marito Stuart Mill.

Stuart Mill (Londra, 20 maggio 1806 – Avignone, 8 maggio 1873), filosofo ed economista inglese, si è sempre impegnato in una continua lotta in difesa dei diritti civili. La fotografia che vedete qui lo ritrae nel 1870 circa.

Alla formazione del suo pensiero ideologico e politico sulla questione contribuiscono tre fattori: il disagio familiare in cui cresce, dovuto alla durezza con cui suo padre agisce nei confronti di sua madre; l’essere stato trattenuto in carcere per una notte, ancora adolescente, per aver distribuito alle operaie che uscivano da una fabbrica dei volantini attraverso cui si parlava di controllo responsabile delle nascite; il rapporto anticonformista con Harriet Taylor, qui in un bel ritratto conservato alla National Portrait Gallery di Londra.

Harriet Taylor (Londra, 10 ottobre 1807 – Avignone, 3 novembre 1858) fu infatti una filosofa inglese ed esponente del primo femminismo liberale.

Dovete sapere che Harriet Taylor e Stuart Mill si conoscono e iniziano una relazione venti anni prima che la morte del primo marito della Taylor rendesse possibile il loro matrimonio. Insieme scriveranno tre saggi, uno sul matrimonio e il divorzio, uno sull’emancipazione delle donne, e uno sulla servitù delle donne.

Lo stesso Mill, nella propria autobiografia affermerà che il contributo filosofico della moglie in ciascuna di queste opere è stato fondamentale.

Ebbene, per spiegarvi chi fosse costui vi dico che per tutta la durata della sua carriera politica Mill si batte per estendere il suffragio alle donne. Egli considera la parità di genere, in cui regna la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali, una condizione imprescindibile al buon governo.

Si sofferma a lungo sul ruolo della donna all’interno della famiglia, e la famiglia viene concepita come alveo della vita quotidiana in grado di trasformare l’individuo in attore sociale.

Secondo Mill e la Taylor, l’educazione ricevuta dalle bambine e dalle ragazze della loro epoca e di quelle precedenti, gioca e ha giocato un ruolo fondamentale nel perpetuare la sottomissione delle donne.

Leggiamo insieme uno stralcio di Sull’uguaglianza e l’emancipazione femminile, Torino, Einaudi, 2001, pp. 85-91, scritto da S. Mill e H. Taylor:

[…] il dominio degli uomini sulle donne differisce da tutti questi perché non è un dominio basato sulla forza: è accettato volontariamente; le donne non se ne lamentano e ne sono parti consenzienti. Ora, in primo luogo, un gran numero di donne non lo accetta affatto. Dal momento in cui le donne sono state in grado di far conoscere i propri sentimenti con i propri scritti (unica forma di azione pubblica che la società consente loro), in numero sempre crescente hanno messo per iscritto la loro protesta contro la loro attuale condizione sociale: e recentemente molte migliaia di donne, guidate dalle più eminenti tra quelle note al pubblico, hanno presentato una petizione al Parlamento per essere ammesse al suffragio nelle elezioni parlamentari. La richiesta delle donne di ricevere un’istruzione altrettanto solida e negli stessi ambiti del sapere di quella degli uomini, viene avanzata con intensità crescente, e con grandi prospettive di successo; e la richiesta di essere ammesse alle professioni e occupazioni da cui finora sono state escluse diviene ogni anno più urgente.

[…] Nessuno potrebbe dire quante altre donne coltivino silenziosamente aspirazioni simili; ma vi sono abbondanti prove di quanto coltiverebbero tali aspirazioni se non si insegnasse loro così strenuamente a reprimerle perché non si addicono alle prerogative del loro sesso.

[…] I padroni di tutti gli altri schiavi si affidano, per mantenere l’obbedienza, alla paura; la paura che loro stessi incutono, oppure una paura di tipo religioso. I padroni delle donne vogliono più della semplice obbedienza e impiegano tutta la forza dell’educazione per perseguire il loro scopo. Tutte le donne vengono educate fin dai primissimi anni a credere che il loro carattere ideale sia opposto a quello degli uomini; non volontà autonoma o governo di sé attraverso l’autocontrollo, ma sottomissione e arrendevolezza al controllo di altri. Tutte le morali dicono loro che è dovere delle donne vivere per gli altri, fare atto di completa abnegazione di sé, e non avere altra vita se non negli affetti; e tutti gli odierni discorsi sentimentali concordano che in ciò consista la loro natura […], presentando loro la mansuetudine, la sottomissione e la rassegnazione di ogni volontà individuale nelle mani di un uomo come una parte essenziale dell’attrattiva sessuale. Si può dubitare che qualcuno degli altri gioghi che l’umanità è riuscita a spezzare sarebbero sopravvissuti fino ad oggi se fossero esistiti gli stessi mezzi per piegare le menti ad essi e fossero stati utilizzati altrettanto assiduamente?

 

Ecco!

Con queste premesse, nell’Inghilterra del 1869, Stuart Mill, Harriet Taylor e altre grandi personalità, si fanno portavoce del movimento che nel 1900 prenderà il nome di movimento delle Suffragette. Nella foto del 1908: le due suffragette inglesi Annie Kenney e Christabel Pankhurst.

Orbene, miei cari, il post si conclude qui.
Mi auguro che sia stato di vostro gradimento e come sempre vi invito a lasciare un commento.

Prossimamente, se vi va, continueremo la nostra analisi.

 

Clementina Daniela Sanguanini