C’è una lapide nascosta tra le foglie di faggio.

La mia.

Tra oppositori politici, zingari, omosessuali, senzatetto e disabili.

Noi non rientravamo in nessuna delle categorie, non eravamo nemmeno ebrei.

“C’è uno sbaglio!” Abbiamo dichiarato, urlato e poi solo sussurrato, mentre il treno partiva da Milano, attraversava le Alpi e ci vomitava qui.

A Buchenwald, il bosco dei faggi.

All’inizio eravamo fiduciosi che ci avrebbero liberati, riconoscendo l’errore. Poi mio fratello è morto e io sono diventato una larva che cercava di restare viva.

Un giorno d’autunno sono scivolato e non sono riuscito più a rialzarmi.

I latrati dei cani nelle orecchie, i colpi dei bastoni nella schiena, il rumore delle mie ossa negli occhi di chi guardava ormai indifferente all’orrore.

Poi se ne sono andati tutti.

E io sono rimasto a morire in silenzio, accarezzato dalle foglie che cadevano lente nel bosco di faggi.

 

Susanna Albertini

 

Immagine di apertura: “Il bosco di faggi I” di Gustav Klimt (1902), olio su tela, Galerie Neue Meister, Dresda