C’è una lapide nascosta tra le foglie di faggio.
La mia.
Tra oppositori politici, zingari, omosessuali, senzatetto e disabili.
Noi non rientravamo in nessuna delle categorie, non eravamo nemmeno ebrei.
“C’è uno sbaglio!” Abbiamo dichiarato, urlato e poi solo sussurrato, mentre il treno partiva da Milano, attraversava le Alpi e ci vomitava qui.
A Buchenwald, il bosco dei faggi.
All’inizio eravamo fiduciosi che ci avrebbero liberati, riconoscendo l’errore. Poi mio fratello è morto e io sono diventato una larva che cercava di restare viva.
Un giorno d’autunno sono scivolato e non sono riuscito più a rialzarmi.
I latrati dei cani nelle orecchie, i colpi dei bastoni nella schiena, il rumore delle mie ossa negli occhi di chi guardava ormai indifferente all’orrore.
Poi se ne sono andati tutti.
E io sono rimasto a morire in silenzio, accarezzato dalle foglie che cadevano lente nel bosco di faggi.
Susanna Albertini
Immagine di apertura: “Il bosco di faggi I” di Gustav Klimt (1902), olio su tela, Galerie Neue Meister, Dresda
Brava Susa con poche parole descrivi l’orrore e lo strazio di una morte ingiustificata .La storia continua a riproporci simili avvenimenti ,purtroppo. Come i tutti i tuoi racconti la natura partecipa consolatoria agli eventi umani
Davvero bravissima Susanna a tratteggiare con poche frasi l’assurdità di una morte senza senso. Anche a me piace molto l’idea di natura come “presenza”. Al prossimo racconto!
Un breve racconto che esprime pienamente la disperazione e l’orrore di una morte ingiusta, attuale più che mai.
Purtroppo è vero che l’uomo è sempre uguale a se stesso, nel bene e nel male.