Come ho già spiegato, la mia strategia per arrivare a una futura laurea magistrale in Scienze Storiche è affrontare la serie di 11 esami sotto forma di corsi singoli, pagando ogni esame anziché iscriversi alla Facoltà di Scienze Storiche. Si possono affrontare fino a un massimo di quattro corsi singoli per ogni anno accademico, e avevo deciso di iscrivermi a tre corsi all’anno. Per me è molto meno stressante fare così, in fondo non mi corre dietro nessuno! Poco prima della fine, mi iscriverò ufficialmente facendomi accreditare gli esami già fatti.
Per l’anno accademico 2023/2024, avevo scelto “Storia d’Europa in età moderna” per 9 crediti (ho sostenuto l’esame, e ve ne ho parlato qui), “Intellectual and Cultural History” per 9 crediti e “Storia della Chiesa e dei movimenti ereticali” per 6 crediti.
Al momento di optare tra “Intellectual and Cultural History” e “Storia del mezzogiorno” – è un binomio di esami, uno dei quali è obbligatorio – un qualche demone si è impossessato di me, e ho avuto la malaugurata idea di scegliere il primo. E, come diceva qualcuno, “mal gliene incolse”.
I libri e lo studio
Questi sono i libri che avrei dovuto portare come non frequentante, e un commento a caldo davanti a una prima lettura della sottoscritta:
Commento: Il libro è un compendio densissimo di tutti i movimenti della storia culturale da fine Ottocento sino ai nostri giorni. Le pagine pullulano di storici, antropologici, filosofi, intellettuali accompagnati dalle relative opere con due-tre righe di contenuto, proprio un cenno. Ora, riesco a memorizzare l’opera di un pensatore – che ne so, Niccolò Machiavelli – a patto che mi si spieghi in maniera ampia, in un capitolo o due, il suo pensiero. Affrontata in questo modo, la storia culturale diventa invece una specie di “bigino” dal peso di un mattone in calcestruzzo: passi dall’uno all’altro senza riuscire a memorizzare quasi niente.
Inoltre, ti sembra che questi storici passino il loro tempo a ingoiare il cammello e a colare il moscerino, e a contraddire il lavoro dei predecessori e anche quello dei loro colleghi.
La cosa incredibile è che, dopo un secolo e oltre di dibattiti, discussioni e litigi, l’ultimo sbocco qual è? Si torna a rivalutare i lavori degli storici classici da cui erano partiti per criticarli, vedasi Jacob Burckhardt e Johan Huizinga, cioè, si asserisce che non bisogna buttare via il bambino con l’acqua sporca. Ho trovato la faccenda estremamente irritante, ma ormai ero in ballo e dovevo ballare (ergo: mi ero iscritta e dovevo studiare). Ma il peggio è stato il pdf successivo, cioè…
Commento: questo non ha copertina, perché è un capitolo estrapolato da un altro testo, che la docente aveva caricato sul portale universitario. Beh, a una prima lettura non ci avevo capito assolutamente nulla. Niente di niente. Il problema non era l’inglese che, al di là di qualche termine di cui ho cercato la traduzione, è lineare, ma per i concetti che il capitolo esprimeva. Ecco qualche esempio tratto dal file dove ho cercato faticosamente di riassumere i punti principali:
Esempio 1: Quentin Skinner took advantage of the work done in linguistic theory done by John Austin and John Searle: Austin (“How to do Things with Words”): Words can, in specific contexts, be used to do things = the speaking is or can be a doing, an action in itself. There is:
- a) an illocutionary dimension = what a speaker is doing in using certain words
- b) the perlocutionary dimension = what a speaker is doing through or by using specific words (= it goes beyond the text)
Esempio 2: Intellectual historians do not mean the natural language (French, English, Latin and so on…) BUT the different ways of talking or modes of discourses = idioms or rhetoric WITHIN natural languages. Pocock and Skinner worked mainly with modes of discourses in politics, natural science, theology.
Esempio 3: Methodology still wishes to see the language as a resource of the speaker, BUT formulations of the constitutive power of language say that language is NOT a tool. According to Gadamer, language is behind us, operating beyond our control and controlling us è We become spoken by language.
Potrei farvi altri esempi, ma penso che vi sia già venuto il mal di testa e siete corsi a cercare una scatola di analgesici.
Commento: avevo scelto questo testo per il Modulo 3 da un elenco di libri, ed è stato davvero molto molto interessante, e piacevole da leggere. Lo storico critica, a sua volta, come è cambiata una certa concezione delle invasioni barbariche da un’idea cruenta a un’idea più edulcorata. Uno dei primi capitoli s’intitola “Accommodating the barbarians”, in pratica la “sistemazione” dei barbari, come se avessero prenotato per pernottare in un albergo, ed era molto ironico. Io sono convinta che questo cambio di passo, del tutto immotivato, sia anche un frutto della letale “cancel culture” in cui bisogna edulcorare a tutti i costi la realtà, e quindi anche la Storia. Offre inoltre una serie di teorie sul perché l’impero occidentale sia crollato e quello orientale no, o perlomeno non subito.
Commento: Essendo appassionata di cinema, ho gradito moltissimo anche questo testo, da portare sempre nell’ambito del Modulo 3. Il libro si concentra sui film di epoca fascista ambientati nelle colonie; quindi, sono film di propaganda per incoraggiare gli italiani emigrati all’estero a tornare in una nuova patria, cioè le colonie di recente conquista, e gli italiani stessi a migrare là.
Si tratta di film assai ben fatti dal punto di vista delle riprese e della regia, con un misto di trama di pura finzione e inserti da documentari e cinegiornali (il famoso Istituto Luce!) prodotti con la tecnologia più innovativa. Molti di questi registi avevano lavorato all’estero, e quindi avevano appreso come girare determinate scene.
La sessione del 20 giugno
Una volta sbarazzatami dell’esame di Storia dell’Europa in età moderna, ho pensato di andare ad assistere alla sessione d’esame del 20 giugno, per vedere come funzionava, quante e quali domande faceva la professoressa. È stato davvero molto istruttivo, ho esplorato la sede di via s. Sofia e trovato l’aula giusta (questione non da poco) e ho constatato con sollievo che la docente inglese era molto simpatica, e metteva a proprio agio i candidati. Parlava con un inglese di tipo britannico, molto chiaro. Addirittura, annuiva quando essi esprimevano giusti concetti, mentre ci sono dei docenti che ti fissano con una faccia che sembra pietrificata da Medusa; quindi, non sai se stai esprimendo pensieri eccelsi oppure stai dicendo le stupidaggini del secolo. Poi ce ne sono altri che continuano a interromperti perché non stai usando un lessico preciso, a loro dire, a me era capitato con l’esame di Storia Moderna, così perdi il filo del discorso e fatichi a riprenderlo.
Ho scoperto anche l’arcano della scelta tra l’esame in inglese e quello in italiano: qualche anno fa c’era un solo esame in inglese obbligatorio e se uno lo avesse dato in italiano sarebbe partito con dei punti in meno. Poi avevano dato la scelta tra due materie, da qui era spuntata “Storia del mezzogiorno” che avevo disdegnato.
La preparazione dell’esame
Ho fatto la mia solita monumentale ricerca di immagini per memorizzare le facce di questi storici, e ho cercato anche le copertine dei libri che avevano scritto. Inoltre, ho preparato anche un file in Excel per costruire una sorta di linea del tempo. Per ciascun libro ho scritto delle glosse a matita a margine, come faccio di consueto.
Siccome sono arrugginita con l’inglese orale, ho fatto delle esposizioni a voce alta. Ogni tanto m’incartavo, specialmente quando pensavo all’italiano. La lingua inglese ha una pronuncia illogica, e sul web ho verificato come si dicevano parecchi termini. Anche qui, se “diaspora” si pronuncia “dai·a·spuh·ruh”, perché automobile si pronuncia “aw·tuh·muh·beel” e non “aw·tuh·muh·bail”? Non ha nessun senso. E comunque non mi sentivo per niente “confident”, anzi, ero proprio disperata come in questo “Autoritratto o Uomo disperato” di Gustave Courbet, del 1843.
Il giorno dell’esame
All’alba del temibile 16 luglio, mi sono avviata con autobus e metropolitana al luogo fatale. Vi dirò: non avevo voglia di dare l’esame. Non che abbia mai voglia di andare davanti al plotone d’esecuzione, ma, oltre a sentirmi totalmente impreparata, non ero proprio motivata. E nei giorni precedenti tutti mi chiedevano: “Ma perché hai scelto un esame in inglese?!” al che rispondevo che non lo sapevo e ribadivo il concetto del demone che si era impossessato della mia mente. Comunque, a furia di sentirmi ripetere quella domanda, perfettamente lecita, mi ero convinta di essere un’emerita idiota.
Quando mi ha chiamato, ero talmente indaffarata con i metti-togli che quasi non ho sentito! Ho quindi afferrato i miei libri e il pdf stampato e mi sono precipitata alla cattedra. Lei mi ha guardato con simpatia, ha lasciato che mi accomodassi e poi ha constatato quali libri avessi portato. Paventavo che mi facesse una domanda sul famoso “pdf-non ho capito niente”, invece la prima domanda è stata: “Let’s begin with Peter Burke. So let’s talk about New Cultural History and Postmodernism”, al che mi sono rilassata perché è un argomento che sapevo abbastanza bene e mi sono lanciata a parlare di Mikhail Bakhtin, Norbert Elias, Michel Foucault e… Pierre Bourdieu. Ora, dovete sapere che i concetti di quest’ultimo sono a dir poco oscuri, nel libro si parla infatti di a) the concept of “field”, b) the theory of practice, c) the idea of cultural reproduction, d) the notion of distinction, sempre con qualche riga di spiegazione ma senza soffermarsi troppo e senza fornire esempi concreti. Bene, non ci crederete, ma mi ha bloccato subito dopo Michel Foucault, meno male!
Alla fine, mi ha bloccato e mi ha detto che poteva bastare, e sorridendo mi ha detto, in italiano, “30 e lode” al che ho esclamato: “Really?” e lei ha detto “Absolutely!” Ridevamo entrambe, come se avessimo compiuto insieme un’impresa memorabile. Ho firmato e sono ritornata al mio posto, ho messo i libri nello zaino, me lo sono messo in spalla e nell’uscire ho detto “Bye-bye”, lei stava già allungando il collo, sempre sorridendo, e ha ricambiato il saluto. Sono uscita in preda a uno stupore infinito.
Cristina M. Cavaliere
Ma perché tanto stupore? Sei mitica , mi fai soggezione 😊
Grazie, carissima amica! Quando ho visto il voto sul foglio mi sono stropicciata le pupille… 😁
Ma che bello! Sul voto non avevo dubbi, sei stata bravissima a sostenere l’esame in inglese (io avrei scelto l’esame in italiano, con l’inglese sono negata, anzi sono negata con le lingue straniere in generale).
Sei molto brava anche per il metodo che usi, con il file Excel, non é da tutti. Molto interessante l’iscrizione ai corsi singoli, mi piacerebbe iscrivermi a criminologia…è un pensiero fugace che ogni tanto mi viene, ma probabilmente resterà un pensiero.
Ora puoi goderti l’estate libera dallo studio, complimenti e buone vacanze
Grazie del commento, cara Giulia! Ancora non ci credo… però prima di ogni esame mi dico: “Ho fatto tutto il possibile, vada come vada”. L’iscrizione ai corsi singoli è l’ideale per me, così non mi carico di stress aggiuntivo. Sono molto contenta che ci sia questa possibilità! Il prossimo sabato pubblicherò un ultimo post prima della chiusura di agosto, con la consueta poesia.
Sì, confermo che mi è venuto un po’ di mal di testa dopo aver visto quali testi hai dovuto studiare per questo esame 😀
L’importante è che è andato bene, l’ennesimo massimo dei voti che ti meriti in pieno per l’impegno che ci stai mettendo.
Ahahahah, non avevo dubbi sul fatto del mal di testa. Per quanto riguarda l’ottimo esito degli esami, non pensavo proprio di prendere così tanto, ma ovviamente sono molto contenta. 😉