Ingegnere, architetto, creatore di macchine per la guerra, così si era descritto nella missiva che gli aveva aperto le porte di Milano, 20 anni prima. E ora la città era disseminata del suo genio.

Si riscosse.

La luce era scesa e cominciava a fare freddo.

Diede un ultimo sguardo al muro bianco del refettorio dei frati

e vide le ombre prendere vita.

“Uno di voi mi tradirà.”

Una frase di pietra, buttata sul banchetto di Pasqua, a voce bassa, senza accusa.

Quasi curiosa, solo un po’ delusa.

Sconcerto, accuse, sospetto, proclami di innocenza.

Osservando quella scena immaginaria, iniziò a tracciare le linee di fuga dalla testa di Gesù, al centro della composizione.

Il Moro voleva un’opera grandiosa che celebrasse la sua famiglia, il suo potere, il rinascimento.

E lui seppe in quell’istante che le contraddizioni tra l’umano e il divino avrebbero reso eterna la sua ultima cena.

 

Susanna Albertini