Quando si fanno passi indietro sui diritti delle donne e sulle loro libertà, si sente spesso menzionare argomenti quali il corpo femminile e la maniera di vestirsi, che si vorrebbero controllare. L’articolo che sto per proporvi, a firma Clementina, si inserisce ottimamente nel filone della storia delle donne ed è anche un pezzo squisitamente estivo… proprio come il “pezzo” di cui ci parlerà la nostra amica! 

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Il 5 luglio del 1946 il sarto Louis Réard presenta a Parigi la sua collezione di costumi da bagno tra cui compare, per la prima volta in pubblico, un modello arditissimo per quei tempi, composto da due minuscoli pezzi. Per la difficoltà a trovare una mannequin disposta a indossare con disinvoltura quel capo dinanzi a tanti osservatori, il sarto si rivolge alla diciannovenne Micheline Bernardini, danzatrice e spogliarellista del Casino de Paris, che potete vedere nelle due foto sotto.

Nasce così, sullo sfondo della pesantissima ricostruzione di un’Europa appena uscita dalla Seconda Guerra Mondiale, la pietra dello scandalo che interpreta il desiderio collettivo femminile di scardinare un pesante insieme di regole che dettava alle donne come comportarsi, mostrarsi, vestirsi, comunicare la propria immagine.

Per il suo carattere licenzioso e provocatorio, l’indumento in questione viene “battezzato” con il nome dell’atollo appartenente alle Isole Marshall, sul quale in quegli stessi anni gli Stati Uniti conducevano i test nucleari: Bikini.

Nonostante l’apprezzamento del pubblico femminile, il perbenismo della società occidentale di quegli anni, in Italia, Spagna, Portogallo, Belgio, Australia e in diversi stati americani, avvia una serie di interrogazioni parlamentari per discutere della liceità di quell’indumento e decide di metterlo al bando. Chi lo indossa in spiaggia si vede conferire una multa e passano alla cronaca anche alcuni casi di “arresto per offesa al pubblico pudore”. Anche il Vaticano si pronuncia contro il bikini definendolo quale capo “peccaminoso” e, nel 1951, alle partecipanti del concorso di Miss Mondo viene proibito di indossarlo.

Ma il desiderio delle donne di voltare pagina è più forte di tutti i divieti e sono moltissime quelle che cominciano coraggiosamente ad indossarlo sfidando i benpensanti.

Un grande aiuto arriva dall’industria cinematografica, tanto che sono sempre più le dive che sfilano davanti la telecamera in bikini: Marylin MonroeRita HayworthAva Gardner, fino ad arrivare, nel 1956, a Brigitte Bardot che interpretando il ruolo di una sfrontata e bellissima ragazza in “due pezzi”, nel film “Et Dieu créa la femme”, sdogana definitivamente questo costume.

Nell’Italia di “Don Camillo e Peppone”, di “Pane amore e fantasia”, di “Poveri ma belli”, di Carosello e del Festival di Sanremo, però, il capo stenta a “decollare” e nel 1956 la prima locandina di “Poveri ma belli”, disegnata da Arnaldo Putzu, viene immediatamente sequestrata e censurata perché considerata indecente e intollerabile. 

La versione successiva vedrà la figura di Marisa Alassio accuratamente rivestita.

Arriviamo nel 1961 e le curve di Stefania Sandrelli generosamente offerte da quei due pezzetti di stoffa nel film “Divorzio all’italiana”, di Pietro Germi, creano quasi più turbamento della trama, nella quale si racconta di un Paese che non ammette ancora il divorzio, ma tollera il delitto d’onore.

Ma ormai, in tutto il resto del mondo, la moda del “due pezzi” imperversa, tanto che, nel 1962, Ursula Andress che esce dall’acqua in bikini bianco diventa l’icona sexy dei film dell’Agente 007.

E in questo clima di grande fermento, solo tre anni dopo, nel 1965, la stilista londinese Mary Quant – recentemente scomparsa il 13 aprile 2023 – sull’onda dell’accorciamento delle gonne proposto da Courrège a Parigi, fa indossare a una diciassettenne magrissima, certa Leslie Hornby detta Twiggy (grissino), la minigonna creando così un nuovo sommovimento generazionale.

Ebbene, sì, l’emancipazione femminile passa anche attraverso la moda.

Buona giornata e auguri a tutte! 🙂 

Clementina Daniela Sanguanini

 

 

Approfitto dell’articolo per una breve chiosa inerente il topless, cioè la pratica invalsa di scoprire il seno o più comunemente il costume da bagno femminile privo della parte superiore. Ricordo ancora l’accesissimo dibattito negli anni Settanta e Ottanta, dove le femministe rivendicavano fortemente la liceità della pratica. Peraltro tale tabù è assente in molte popolazioni non occidentali.

In Italia la questione del topless è stata conclusa dalla III sezione penale Corte di Cassazione che, con sentenza numero 3557 del 2000, ha sancito la liceità del topless in spiaggia, in quanto «ormai da vari lustri è comunemente accettato ed entrato nel costume sociale».

E voi che cosa ne pensate di bikini e topless, care amiche e cari amici?

Cristina M. Cavaliere