Care lettrici e cari lettori,
non potete perdere l’articolo di oggi sul blog, “La medicina dei Celti e le donne medico” a cura di Giancarla Erba, che appartiene all’associazione Letterariementi. Di recente io stessa ho scoperto il mondo della medicina omeopatica da cui ho tratto molto beneficio, contrapposta alla cosiddetta medicina “ufficiale”, e quindi ho letto con particolare attenzione questo articolo. Non voglio perciò rubare spazio a Giancarla, assai più esperta di me nell’argomento, e altro tempo a voi per questa lettura ricca e interessante.
***
La cultura celtica è un patrimonio che negli anni continua ad appassionarci e ad interessarci, grazie alla sua particolarità nonostante il suo effettivo inserimento nelle culture coeve e ugualmente indo-europee come la romana e la greca. In particolare per quanto riguarda l’ambito femminile i reperti archeologici non ci aiutano moltissimo, senza dimenticare che troppo spesso per gli archeologi il genere neutro diventa genere maschile tout court.
Tra i celti però sappiamo che la figura femminile era leggermente diversa da quella romana o greca; infatti la donna celta aveva uno spazio di manovra discretamente più ampio rispetto alle sue “cugine” e pur rimanendo in un contesto di società prettamente patriarcale, la donna gallica aveva sicuramente una maggiore autonomia e una capacità di decisione un pochino più incisiva. Poteva ereditare ed essere un punto di riferimento importante per la tribù.
Dato che la figura del medico è parte della casta dei druidi, per capire quale fosse il ruolo della donna nella comunità medica è necessario sapere come erano differenziate le categorie all’interno dell’ordine dei druidi.
La casta druidica
Essa era suddivisa in tre categorie fondamentali:
- Druidi che erano coloro che officiavano i grandi riti pubblici, che facevano da guide spirituali e consiglieri politici dei Re; avevano insomma un ruolo molto legato all’aspetto pubblico e ai grandi eventi e di norma era un uomo.
- Bardi che si occupavano della trasmissione delle tradizioni e della storia attraverso canti e racconti, erano coloro che avevano il compito di assicurarsi che il patrimonio storico della tribù non andasse perduto; che gli avvenimenti dai più antichi a quelli più recenti fossero ricordati anche dalle generazioni future e il loro ruolo era particolarmente significativo se consideriamo che i Celti non usavano la scrittura per questo genere di cose.
- I Vati che erano coloro che praticavano la divinazione e la medicina e di donne vate in realtà ce ne sono diverse. Il termine che veniva utilizzato per definirle pare fosse Iaccèta [P. Y. Lambert, La langue gauloise, 1994 ed. Errance]
Druidessa e Vate
La domanda che sempre ci si pone è più o meno sempre la stessa: “Le Druidesse, in quanto figure di rilievo all’interno della classe sacerdotale celtica, sono mai esistite?”, “Quanto c’è di vero nelle opere che ne parlano?” Dato che come ben ormai si sa, i Celti di scritto non hanno lasciato nulla è sempre agli storici e osservatori romani che è lasciato il compito di descrivere la società celtica: la prima descrizione di sacerdotesse celtiche ce la fa Tacito che nei suoi Annales racconta della battaglia combattuta nel 61 d.C. sull’Isola di Mona cioè l’odierna Anglesey e descrive questo schieramento nemico fatto da uomini armati e donne vestite di nero e armate di fiaccole che insieme ai Druidi alzavano le mani al cielo e lanciavano maledizioni terribili. Questo però sempre riferito alla parte celtica insulare.
In Gallia invece è un altro storico, Pomponio Mela che nella sua opera chiamata descrive un’organizzazione religiosa femminile in Gallia: quella delle nove vergini dell’Isola di Sena chiamate Samnites o Gallisenae. Erano suddivise in caste e solo le Sacerdotesse della classe più alta, che accedevano al loro ruolo solo dopo molti anni di studio e un rito di passaggio, potevano circolare liberamente e sposarsi; esse avevano il compito di mantenere vive le tradizioni religiose, praticavano l’astrologia e leggevano il futuro osservando le interiore delle vittime dei sacrifici umani; Pomponio Mela racconta infine che le più potenti di queste Samnites avevano il potere di comandare i venti e le tempeste, di trasformarsi in uccelli e di curare le malattie più terribili. Queste donne erano riverite come divinità dal popolo, potevano dominare la magia delle pietre e delle erbe curative, preparavano i moribondi a una dolce morte e si occupavano delle nascite e degli incantesimi d’amore. Quindi erano guaritrici e profetesse nel contempo.
Nel tempo le descrizioni delle donne di questa particolare categoria è stata classificata in due modi: definite druidesse da alcuni storici come Tacito per esempio quando parla di Velleda, ma chiamata sacerdotessa dagli storici contemporanei i quali riconoscono loro il ruolo di profetessa vaticinante… nessuno finora ha mai legato il ruolo di “vate” a quello medico che però abbiamo visto essere una realtà, quindi ci sono sufficienti indizi per poter affermare che anche le donne potevano far parte della classe druidica almeno per quanto riguarda la categoria dei Vati [G. Erba, Il Segreto della Medicina dei Celti, Decima Musa Edizioni, 2019 Novara].
L’arte della medicina
La Vate quindi era certamente una vaticinante una profetessa ma anche una medica; tra di esse vi erano senz’altro le levatrici, ad esempio a Treviri in Germania è stata trovata una stele dedicata a un’ostetrica di nome Julia Pieris, e a Metz è conservata una lapide che raffigura una donna con in mano una cassettina e definita “medica” quindi un personaggio di rilievo tanto da meritare un monumento funerario; ci sono poi alcune citazioni dei differenti storici che raccontano per esempio di Emilia Hilaria che “come un uomo si dedicava all’arte medica” e che rinunciò al matrimonio proprio per poter esercitare la professione [G. Erba, op. cit.]; di molte altre viene descritto nel libro, ma possiamo certamente affermare che le donne di Gallia avevano un ruolo importante nella medicina
Quali strumenti avevano a disposizione le mediche per esercitare la loro professione? Certamente quelli tecnici come i ferri chirurgici, tra i quali troviamo bisturi, seghe, spatole, coltelli, cucchiai.
I colliri sono una particolarità gallica, i medici e le mediche di Gallia eccellevano nella cure per gli occhi e i colliri con relativo sigillo per il trasporto pare siano proprio una loro invenzione. Si trattava di preparati oftalmogici che loro impastavano con del grasso o della cera in modo da farne delle compresse solide e quindi facilmente trasportabili che poi inserivano in sigilli di argilla, scisto o pietra saponaria dove vi incidevano il nome del medico, del medicamento e a cosa serviva.
Un’altra cosa per cui i medici gallici erano conosciuti era la loro competenza nell’uso delle erbe. I più importanti storici ed esperti del tempo tra i quali Dioscoride, Apuleio e lo stesso Plinio citano spesso nei loro erbari i nomi gallici delle piante accanto a quelli greci e latini, ed è ovvio che se lo facevano era perché il termine tecnico originale era proprio quello gallico. Nel campo erboristico ciò che è stato ritrovato ci rivela l’abilità dei Celti nelle preparazioni medico-erboristiche a fini curativi e magici.
Le piante venivano raccolte con la mano sinistra da un ragazzino o una ragazzina vergini ovviamente seguendo particolari fasi lunari e accompagnandosi con rituali e invocazioni e vi era il divieto di toccare l’erba medicinale con il ferro. Accanto alla conoscenza delle piante vi era l’utilizzo di particolari formule che venivano pronunciate seguendo alcuni parametri per facilitare la guarigione. Marcellus di Bordeaux è colui che ci riporta il maggior numero di queste formule e spiega anche come preparare amuleti e talismani per mantenere la salute e la buona sorte.
Piante curative
Tra le molte piante che le mediche galliche utilizzavano ne citerò alcune particolari.
L’assenzio: sia Plinio che Dioscoride citano un Assenzio di particolare efficacia che proviene dalla Gallia e che chiamano Santonicon dal nome della città di origine Saintonge. Infuso nel vino fortifica lo stomaco, e preparato in decotto favorisce l’eliminazione della bile; preparato in aceto con il Nardo Celtico che è un tipo di valeriana, lo consigliano contro la nausea e la cattiva digestione. Viene consigliato anche da Marcellus di Bordeaux come antiparassitario e rimedio generale per lo stomaco ed il fegato. Successivamente nel tempo l’assenzio ha assunto anche il ruolo di pianta protettrice, si usava infatti metterla vicino al capezzale di un malato molto grave per proteggerlo dalla morte.
L’elleboro bianco era una pianta il cui potere era ben noto, infatti veniva utilizzato come veleno per le punte di freccia per catturare gli animali, per provocare il vomito in caso di necessità di disintossicazione ma anche come abortivo o per provocare il flusso mestruale in presenza di amenorrea. Nella cultura greca era rinomato per ridare il senno a chi lo aveva perso, pare addirittura che fosse servito ad Ercole reso pazzo da Era. Paracelso lo usava come ingrediente per un elisir di lunga vita e nel Medioevo pare che fosse uno degli ingredienti per l’unguento che serviva alle streghe per “volare” al sabba.
Lavanda. La lavanda di Marsiglia secondo gli antichi era particolarmente indicata per le malattie e i dolori al petto, ed era anche un eccellente contro veleno e un rimedio contro i problemi ai polmoni. Da sempre pianta di protezione dal malocchio veniva messa accanto alle culle dei bimbi per proteggerli.
Verbena. La verbena nei secoli ha sempre rivestito un ruolo particolarmente importante nel legame con il magico. Plinio sostiene che i Celti usano la verbena per predire la sorte e annunciare le profezie, ma diceva anche che chi se la strofinava addosso poteva ottenere quello che voleva: dal guarire da qualsiasi malattia ad ottenere amicizie; prima di raccoglierla era necessario fare un’offerta alla terra. Usavano anche aspergere una sala da pranzo con dell’acqua dove era stata immersa la verbena, in modo da rallegrare i pasti.
Marcellus cita una formula magica per una malattia degli occhi e consiglia di cogliere della verbena che cresca vicino ad una fontana e farla cuocere fino a che non sia completamente rammollita, bevendola la guarigione sarebbe subentrata il terzo giorno.
Inoltre veniva usata per purificare gli altari e preparare le corone degli eroi: nella Norma di Bellini nel momento in cui Norma arriva nella selva per officiare viene presentata in questo modo: “Norma viene, le cinge la chioma, la verbena ai misteri sacrata”. Era bevuta come stimolo per la divinazione e si pensava fosse afrodisiaca. La magia della verbena si è protratta nei secoli e nel Medioevo le curatrici la bevevano giornalmente come infuso in quanto pensavano che avrebbero sopportato meglio il dolore se catturate e torturate.
Amuleti e talismani
Il confezionamento dell’amuleto di protezione è una pratica magica che risale alla preistoria, oggetti di vario genere erano ritenuti in grado di tenere lontano i demoni e le influenze pericolose. il talismano aveva il compito di attirare influenze benefiche, mentre l’amuleto serviva a proteggersi o a respingere la malasorte. In epoca gallica gli amuleti si preparavano con perle, e oggettini in vetro, in ambra, in corallo, conchiglie e rappresentazioni di ruotine.
Nel periodo La Tène finale (II°/I° sec. a.C.) è frequente trovare un tipo di amuleto particolare consistente in un piccolo sasso bianco montato su una gabbietta di metallo; essendo piuttosto ordinario come tipo di pendente ci si è chiesti perché gli venisse conferita così tanta importanza. La risposta più probabile è che venissero raccolti durante le visite ai luoghi sacri e che quindi fossero impregnati di potere magico e protettivo.
Formule
Le formule di incanto o di allontanamento della malattia fanno parte integrate della parte meramente magica legata alla guarigione ma sempre gestita da chi si occupa della guarigione quindi nel nostro caso della medica; nella formula dell’immagine si chiede la guarigione per problemi alla gola e si invoca una divinità femminile Asus tutt’ora sconosciuta.
Per prevenire il mal di denti quando si vede una rondine occorre trattenere la lingua, andare dove vi è dell’acqua limpida, immergervi il dito medio della mano destra e recitare: “Hirundo tibi dico Quomodo hoc in rostro iterum non erit Sic Mihi dentes non doleant toto anno” Ti dico, o rondine, come questo non sarà mai nel tuo becco così possano i miei denti non dolermi più per un anno” rinnovandolo ogni anno per mantenere i denti sani.
Divinità di guarigione
A quali divinità si affidano le Iaccèta galliche per aiutare il loro lavoro e la guarigione dei pazienti?
Vi erano sicuramente un gran numero di divinità legate alle acque tra cui sicuramente Borvo e Damona divinità molto importanti. Un discorso a parte spetta alle Matronae o Matres, chiamate oggi Dee Madri divinità molto conosciute anch’esse di norma rappresentavano le fonti e raramente si trovava una Matres isolata, di norma era rappresentata con due compagne, una a destra e una a sinistra; tutte e tre sedute indossando ampie tuniche con cappelli a larghi bordi e spesso tengono sulle ginocchia il corno dell’abbondanza e dei cesti di frutta. La Dea Sirona viene assimilata ad Igea divinità greco-romana della salute e dell’igiene figlia di Esculapio. Nella zona di Trento e Abano Terme sono state trovate dedicazioni ad un altro dio delle acque Aponus, e in Liguria abbiamo Segeta che ha dato il nome a Segesta Tigulliorum, la futura Sestri Levante. Ma quale divinità può essere più legata ai culti di guarigione di colei la cui radice del nome è la stessa di una pianta usatissima per cure di vario tipo? Belenos potente divinità guaritrice e oracolare il cui nome si associa a “Belenuntia” che è il nome gallico del giusquiamo molto usato come pianta curativa nell’antichità e legata anche a manifestazioni magiche, legame che possiamo trasferire ugualmente su Belisama divinità rappresentante la forza e la combattività ma anche probabilmente la cura, dimostrando una relazione significativa con la romana Minerva.
Per concludere possiamo dire che le mediche galliche svolgevano un ruolo importante nella loro società, si occupavano certamente della parte più legata al femminile, ma abbiamo visto che erano anche mediche a tutto tondo e ciò significava essere profetesse, esperte di erbe, in grado di preparare un amuleto o di fare un incanto sul mezzo di guarigione che dovevano usare; per svolgere il loro lavoro si affidavano a numerose divinità alle quali facevano offerte e consigliavano ai loro pazienti di dedicare degli ex-voto sia per ingraziarsi la divinità sia per ringraziare una volta ottenuta la guarigione, portando questa tradizione fino ai nostri giorni. Pur essendo comunque la gallica una società patriarcale, risulta evidente che il ruolo della donna, sebbene non paragonabile agli esagerati riferimenti mitici, seppur affascinanti, a quello delle leggende irlandesi peraltro di epoca medievale, era in ogni caso sufficientemente protagonista del proprio tempo.
Bibliografia:
- Erba, Il segreto della Medicina dei Celti, Decima Musa Edizioni, 2019 Novara
- Y. Lambert, La langue gauloise, 1994 Ed. Errance
Giancarla Erba
Chi è l’autrice
Giancarla Erba nasce a Monza in uno di quello che i Galli definivano “giorno infausto”; infatti il 22/11/1963 non sarà mai ricordato per la nascita della nostra autrice ma per la morte del ben più famoso ed amato John Fitzgerald Kennedy. Nel 1983 si diploma come Operatore Turistico.
Responsabile di un ufficio commerciale per diversi anni, lascia tutto dopo un corso di naturopatia per aprire un negozio di erboristeria. Nel 2003 fonda con il marito Andrea Zuin l’associazione culturale Nemeton Ruis, volta alla ricerca, ricostruzione e divulgazione didattica degli usi e costumi della tribù celtica degli Insubri.
Come autrice nasce grazie al portale CelticWorld, frequentato dagli amanti del genere e attivo dal 2000 al 2013. I suoi articoli sulla storia celtica e sulla fitoterapia nell’antichità vengono pubblicati su CelticPedia e poi ripresi a vario titolo (e spesso senza firma) da altri portali.
Pubblica alcuni articoli di erboristeria su “Vento tra le Fronde”, rivista trimestrale di Biella e gestisce la parte culturale del sito dell’associazione Nemeton Ruis. Ha pubblicato una dispensa di erbe dal titolo “Piccoli segreti di erboristeria”. A gennaio 2018 vede la luce il suo primo libro “La Medica e la Strega – il ruolo femminile nella storia della medicina” per Decima Musa Edizioni e nel 2020 la seconda pubblicazione “Il Segreto della medicina dei Celti”, saggio sulla storia dei Celti che ha l’obiettivo di chiarire meglio come si curassero i Celti di Gallia.
Attualmente svolge l’attività di editor e traduttrice presso la casa editrice Decima Musa. Trovate il sito della casa editrice al seguente link: http://www.decimamusaedizioni.it/wp/
Molto interessante questo post, mi é piaciuto soprattutto la parte sulle piante medicinali, argomento sempre attuale. Credo che la lavanda oltre all’odore curi già con la sola visione, un campo di lavanda è uno spettacolo che da solo mi dona serenità…
Pensa che proprio di recente sono stata a visitare l’Orto Botanico di Brera con una visita guidata imperniata sul mondo delle piante, il tempo in cui comparvero sulla terra, le loro strategie di adattamento, il modo con cui attirano gli impollinatori o si difendono da eventuali nemici. La loro è davvero un’intelligenza, e che intelligenza!
Molto interessante l’argomento, così come la cultura celtica in generale. Pensavo, leggendo l’articolo, a come la guaritrice – una donna che usa il suo potere anche a favore della comunità – nel tempo e con l’avvento del cristianesimo si sia trasformata nella strega malvagia. Il termine italiano “strega” ha tuttora una connotazione esclusivamente negativa, più di quanto non accada con il termine inglese “witch”, mi sembra.
Sì, è vero, queste donne venivano guardate con sospetto anche se curavano il prossimo, perché sostanzialmente – così avevo letto su uno dei miei testi universitari – toglievano potere ai medici e ai cerusici uomini, ne mettevano in discussione il ruolo. Questi ultimi sostenevano che le donne non avevano una reale preparazione e quindi non potevano arrogarsi il diritto di curare al posto loro, o peggio di danneggiare il paziente. L’unico campo in cui la donna ha avuto realmente un suo spazio è stato nell’assistenza al parto, un atto quasi misterioso da cui gli uomini erano esclusi. Confermo che il termine “strega” ha una connotazione del tutto negativa, non c’è alcun margine di positività. Su “witch” non saprei, bisognerebbe chiedere a una persona di nostra conoscenza… 😉