Virginia Woolf fotografata da George Charles Beresford (1902).

Mi accingo con questo primo articolo ad affrontare uno dei mostri sacri della letteratura internazionale, inglese in particolare. Sto parlando di Virginia Woolf, e per farlo riprendo il filone delle conferenze seguite nel lontano 1982 dal titolo “Dramma e speranza nella letteratura femminile del ventesimo secolo” tenute dalla dottoressa Vittoria Palazzo. Nell’ultima tornata di post avevamo parlato di Katherine Mansfield, che a Virginia fu legata da un sentimento di amicizia e di rivalità insieme (qui, qui e qui i tre articoli su di lei).

Fu proprio grazie a queste conferenze che mi accostai, e poi letteralmente mi innamorai, di Virginia Woolf, e della sua prosa prodigiosa, e cominciai a leggere uno dopo l’altro tutti i suoi romanzi e lavori, e il suo Diario. Proprio con queste conferenze scopersi il suo essere un’antesignana del femminismo e attivamente impegnata nella lotta per la parità dei sessi.

Ecco a voi il frutto dei miei appunti su di lei, che recano l’impronta del “parlato” della relatrice.

 

Una scrittrice privilegiata

Virginia Woolf è un personaggio chiave nella letteratura. La si può definire come una “scrittrice privilegiata”, cioè l’essere nata e l’aver vissuto in una condizione economica e culturale di alto livello. Virginia Woolf sosteneva come non sia possibile, senza un minimo di tranquillità e d’indipendenza, riuscire a realizzare il progetto di una vita basata sulla letteratura e sull’arte. Era molto difficile, specialmente in tempi passati, anche se nel XIX secolo si concepiva l’artista, specialmente se uomo, ammantato di un’aura un po’ romantica.

 

Nascita e ambiente famigliare

Virginia Woolf nasce nel 1882 a Londra, in una famiglia dove sia il padre sia la madre erano alle seconde nozze. Il padre, sir Leslie Stephen, è uno studioso di fama, un uomo molto aperto a tutte le problematiche, ma anche molto autoritario sul piano intellettuale. Aveva già avuto tre figli di primo letto, e dalle nuove nozze nascono Virginia, Vanessa e Toby. La prima crisi nervosa di Virginia viene fatta risalire dagli storici al 1897 (quando aveva quattordici anni) perché, morta la madre, il fratellastro Gerald le riserva attenzioni insistenti, per poi abusare di lei e della sorella. Questo Gerald, infatti, prenderà nel cammino letterario di Woolf un posto di rilievo.

Virginia Woolf con il padre, Sir Leslie Stephen (1902).

 

Un’intelligenza eccezionale, una sensibilità epidermica

Nell’ambito di una eccezionale intelligenza ci sono quelle che oggi vengono definite delle turbe psichiche, che aumenteranno col tempo fino a condurla al suicidio. È un crescendo che si riscontra anche nel suo modo di scrivere. Virginia è nata col marchio della scrittrice, mentre per Simone de Beauvoir, per esempio, conta molto anche il vivere. Virginia è diversa dalle altre scrittrici, poiché anche lei ama le cose della vita, ma le traduce sempre in letteratura. Giocoforza vi era la necessità di risolvere il rapporto della realtà esterna con quella della sua anima: “Così munita, così fiduciosa e inquisitiva, uscii in cerca della verità”.

 

Virginia Woolf e la psicanalisi

Era munita cioè della sensibilità epidermica dell’anima, quel tipo di sensibilità che porta poi agli studi della psicanalisi. In Virginia Woolf la psicanalisi e la psicologia hanno una parte preponderante. È chiaro che chi vive in ambienti dove ogni novità viene perennemente discussa, e che sono ricchi di libri, dove si riuniscono scrittori e artisti, anche la psicanalisi rientra nella sua formazione mentale, e per questi suoi collassi nervosi era stata in cura a psicanalisti.

 

Tra realtà e interiorità

Virginia Woolf ritratta da Vanessa Bell (c. 1912).

Virginia Woolf comincia a scrivere articoli di giornalismo e per quarant’anni è un’attiva giornalista, finché abbandonerà il giornalismo per dedicarsi esclusivamente alla letteratura. Il fratello Toby e la sorella Vanessa sono per lei due affetti profondi, in particolare ha un forte legame con Vanessa – detta Nessa – pittrice. Con lei avrà un carteggio che spiega bene i loro due caratteri. In una lettera, Vanessa scrive a Virginia: “Il tuo cuore è di pietra.”

Sembra una contraddizione, in questa scrittrice che con la sua sensibilità sa vedere nelle cose tutto ciò che queste non dicono, che sa esprimere l’inesprimibile, partire da qualsiasi argomentazione, in modo che il nostro intimo, così soggettivo, passi attraverso la realtà delle cose, faccia di questa realtà esterna lo specchio della propria soggettività; il porsi perennemente la domanda: “Chi sono? Dove sto andando? Che senso ha? Che cosa devo dare, scrivendo? Devo dilettare, devo essere profonda, divertente?”. Lei ha una fine ironia inglese, uno humour che trapela sempre nei suoi libri, e che le serviva come misura nel binomio continuo in cui si trovava: la realtà, che non sapeva mai quale fosse, e tutto il suo mondo interiore che per lei era, ovviamente, vero.

 

Labirinti mentali

Sentire quindi tante voci dissonanti e farne un’armonia è quello che la fa impazzire. Nello scrivere a Virginia è riuscito molto spesso raggiungere questa armonia col suo senso di bellezza, nella poesia della sua prosa, ma il senso di fatica che si prova leggendo le sue pagine è dato dal suo labirinto mentale, dai suoni scritti; lei parte sempre da fatti precisi per creare un punto di riferimento e poi va ovunque, mettendo sempre insieme passato e presente, immagini fantastiche, memorie, visioni e descrizioni minute, accuratissime (aspetti della natura, volti di persone, studi, fatti…).

 

Il romanzo “La signora Dalloway”

La signora Dalloway che esce di casa al mattino, per andare a comprare dei fiori, si trasforma nell’incredibile storia di Clarissa che deve dare una festa, e dal momento in cui esce fino al momento della festa passa un libro intero. Ci sono poi questi incontri con persone che la protagonista ha conosciuto, incontrato, immaginato.

Non si deve avere l’impazienza della trama, perché la Woolf ha abolito l’intreccio: scrive per il piacere di scrivere, e scrive dove vuole andare la sua mente. La tradizione, la storia, il fatto non interessano, anche se il finale c’è: la festa mondana della signora Dalloway diventa simbolicamente una sua affermazione in un mondo che l’accoglie. Contemporaneamente, in questa festa dove tutti i personaggi si mescolano per ritrovarsi, si ha la notizia di un suicidio.

Virginia Woolf rimane sempre in un binomio, poiché c’è un altro personaggio-chiave nel romanzo, che è Septimus, il reduce di guerra il quale non accetta il mondo che lo circonda, ama invece disperatamente la natura e le sue bellezze; rifiuta la falsità della società e l’ipocrisia, e col suo suicidio dice no a questa menzogna.

 

Binomio e ambivalenza

In questi due personaggi Virginia Woolf ha conciliato entrambe le sue aspirazioni: quel tanto di frivolo che c’era in lei, la sua grandissima attrazione verso l’aristocrazia, la sua tendenza lesbico-platonica per una vita d’artista, per cui c’è la passione di Virginia per la bellezza estetica, i salotti, la mondanità, i vasi cinesi, i tappeti persiani: il lusso. Lei diceva chiaramente che era avida di denaro e di queste cose. Ma contemporaneamente c’è tutta la sofferenza esistenziale iniziata dalla sua adolescenza, ai tempi in cui dava scandalo con i fratelli. È in questa ambivalenza tra l’aristocratico e l’immediato qualunque del quotidiano, l’ambivalenza tra la figura femminile e quella maschile, che si muove Virginia Woolf.

Qui trovate lo screenshot e la locandina del film The Hours (2002) basato sul romanzo di Michael Cunningham, vincitore del premio Pulitzer. Per il difficile ruolo di Virginia Woolf, Nicole Kidman è stata premiata con l’Oscar alla miglior attrice.

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Eccoci arrivati in fondo a questa prima parte. Avete mai letto qualche opera di Virginia Woolf e vi ritrovate nelle parole della relatrice?

 

Cristina M. Cavaliere

Fonti immagini: Wikipedia