Gli assassini tornano sempre sul luogo del delitto… potrebbe essere il titolo alternativo di questo post 😉 ed ecco che a dicembre sono tornata all’Università degli Studi di Milano dove mi sono laureata, per partecipare a una visita con una storica dell’arte di Milanoguida… e proprio ieri ero nei paraggi per aiutare un compagno alle prese con la tesi di laurea. In occasione della visita guidata, marito e figlio erano al seguito, pienamente coinvolti, il primo più partecipe, il secondo più riottoso. Per me non era la prima volta, dato che avevo visitato l’edificio con la bravissima Eleonora Poli, ma volevo trascinare meco gli uomini di famiglia.
Facciata dell’Università degli Studi di Milano in via Festa del Perdono.
Il clima era gelido, e dal cortile centrale la torre Velasca sembrava un miraggio tra refoli di nebbie che sembravano fumo. Tuttavia la competenza della guida ci ha fatto resistere al clima avverso e proseguire imperterriti, passando da un ambiente all’altro per comprendere meglio l’eccezionalità architettonica di un edificio un tempo sede dell’Ospedale Maggiore di Milano, ora una vera cittadella universitaria affollata di studenti, professori, personale universitario, visitatori, addetti, curiosi, ospiti del fuori salone…
Da una parte mi faceva impressione vedere l’università così deserta, a parte qualche operaio che stava sistemando alcuni ambienti, il che mi ha ricordato i tempi delle restrizioni causa covid, quando percorrevo i cortili deserti munita di mascherina e in direzione della biblioteca, dall’altra abbiamo apprezzato ancora meglio la visita, condotta in tutta tranquillità.
E ora ecco un po’ di storia, non storcete il naso! Vedrete che ne varrà la pena.
Un ospedale all’avanguardia
L’edificio, soprannominato Ca’ Granda dai milanesi, prese avvio nella seconda metà del Quattrocento per volere del Duca Francesco Sforza, allo scopo di farsi perdonare la presa di potere ai danni della Repubblica Ambrosiana e anche per dotare la città di un unico grande ospedale per il ricovero e la cura dei malati, che prima venivano ospitati in vari luoghi della città, prevalentemente in conventi.
La prima pietra venne posata il 12 aprile 1456, e il progetto iniziale fu ideato da Antonio Averulino detto Filarete, architetto toscano raccomandato da Cosimo de’ Medici. Il progetto del Filarete prevedeva un grande quadrilatero con cortili interni; esso viene ampiamente descritto nel suo trattato Trattato di Architettura, composto dal 1460 al 1464.
La parte più antica è quella sulla destra con il Cortile dell’Infermeria dove venivano ricevuti i malati, e di cui potete vedere un’immagine.
In questa medesima zona, c’era un custode che accoglieva i richiedenti e che verificava se effettivamente avessero necessità di essere ammessi alle cure dell’ospedale. Insomma, procedeva a qualcosa di simile all’odierno “triage”!
Nella parte sottostante si aprivano le botteghe che vendevano prodotti quali spezie e unguenti, utili per essere acquistati dai passanti e soprattutto per il buon funzionamento dell’ospedale.
La crociera
La cosiddetta “crociera”, detta così perché frutto dell’intersezione di due grandi corridoi a creare una croce, era lo spazio riservato ai degenti, suddivisi tra uomini e donne. Al centro dell’intersezione vi era un altare, in modo che i malati potessero seguire le funzioni religiose, alle pareti statue della Madonna e dei santi, i soffitti sono tuttora a cassettoni. Dopo essere stati accettati, ai malati veniva fatto un bagno, venivano spidocchiati e venivano tagliati i capelli corti. Ognuno riceveva un camicione di lana e una cuffietta, e nella nicchia del muro c’era lo spazio per gli oggetti personali.
Se notate, nella foto sottostante a sinistra c’è una rientranza dove veniva inserito una mensola di legno. Il letto era posto a una certa altezza in modo da evitare che le pulci vi saltassero sopra, e assicurare quindi una certa igiene. Accanto al letto si apriva una porta che portava a un’intercapedine dove c’era un bagno ogni due malati. Ai malati veniva assicurata l’assistenza di un medico e un chirurgo, e una dieta personalizzata a seconda della patologia. Ovviamente molti milanesi tentavano di farsi ricoverare alla Ca’ Granda!
Dei grandi camini scaldavano l’ambiente, ma non è tutto: molto intelligentemente le finestre erano poste a grandi altezze, in modo che d’estate si potesse aerare l’ambiente senza che i malati fossero però sottoposti a pericolose correnti d’aria.
Nonostante l’arretratezza della medicina, già allora si capiva come fosse necessario isolare i malati di peste che difatti non erano ospitati alla Ca’ Granda bensì alla Rotonda della Besana, il cosiddetto lazzaretto.
Oggi la crociera ospita la Biblioteca di Giurisprudenza, e gli uffici dei bibliotecari. Là mi sono recata dalla gentilissima signora che mi ha dato consigli durante la stesura della tesi di laurea, e portarle in dono la bomboniera-segnalibro.
Il cortile della ghiacciaia
Al centro di questo cortile si apre una sorta di pozzo che un tempo serviva per mettere della neve pressata e ghiacciata e tenere gli alimenti deperibili. Purtroppo il cortile della ghiacciaia fu il più colpito dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, tra cui il tetto della ghiacciaia, oggi visibile in una fotografia precedente alle distruzioni.
Il cortile della legnaia
Un altro cortile a me particolarmente caro, perché là si trova la biblioteca umanistica e il dipartimento di studi storici, è il cortile della legnaia, che è una sorta di gemello di quello della ghiacciaia. Di questa biblioteca avevo sentito parlare in occasione della presentazione del corso di laurea, ah, che bei ricordi.
Le archistar dell’epoca
Continuando con la storia della costruzione, la realizzazione del progetto del Filarete fu tuttavia solo parziale in quanto Filarete nel 1465 abbandonò Milano, e l’esecuzione venne portata avanti da Guiniforte Solari e a partire dal 1495 dal suo allievo e genero Giovanni Antonio Amadeo. Morto il Solari nel 1481, i lavori proseguirono sotto l’Amadeo fino alla caduta della dinastia sforzesca nel 1499. A lui spetta la decisione di adottare la pietra d’Angera quale materiale di costruzione in sostituzione del cotto, in quello che sarebbe poi diventato il Cortile del Richini. A seguito della caduta della dinastia sforzesca, i lavori si arrestarono completamente per mancanza di fondi.
Il corpo centrale dell’edificio prende invece il nome dal mercante e banchiere Giovanni Pietro Carcano che, alla sua morte avvenuta nel 1624, lasciò all’ospedale parte delle sue ricchezze; con questo si poté proseguire nell’opera di ingrandimento.
Si devono a questa fase costruttiva l’erezione del cortile centrale quadrato, detto “del Richini”, la chiesa dell’Annunciata sul lato di fondo del cortile medesimo, ed il portale di accesso principale. Per volontà del capitolo dell’ospedale, sia la decorazione del Fronte su Via Festa del Perdono che quella del cortile maggiore riprendono i decori rinascimentali eseguiti oltre un secolo prima dall’Amadeo e dal Solari.
La chiesa di Santa Maria Annunciata
La chiesa, priva di facciata, fu invece costruita all’interno del lato di fondo, distinguibile dal tiburio anch’esso quadrato, che si eleva sopra le arcate della loggia. Essa prese il nome di Santa Maria Annunciata all’Ospedale Maggiore. Pensate che ho scoperto, da alcuni documenti familiari rinvenuti qualche anno fa, che i miei nonni paterni si sposarono proprio in quella chiesa!
Al di sotto della chiesa vi è una bassa cripta, le cui volte ad arco ribassato sono rette da poderosi pilastri quadrati. Conserva scarsi resti della decorazione ad affresco originaria, scomparsa a causa dell’umidità, oltre all’altare disadorno. Fu utilizzata nei secoli quale ossario per i morti dell’ospedale che vi furono tumulati a migliaia. Ospitò in particolare anche i corpi dei caduti delle cinque giornate di Milano, in seguito trasferiti al di sotto del monumento appositamente eretto da Grandi nella piazza omonima.
La parte settecentesca
A sinistra infine si ha l’ala più recente, costruita nella fine del XVIII secolo grazie al lascito testamentario del notaio Giuseppe Macchio, e distinguibile da un color rosa antico: in essa ci sono molte aule universitarie dove ho seguito dei corsi o sostenuto temibili esami! Sotto la direzione di Pietro Castelli i lavori vennero completati nel 1805. La costruzione così terminata continuò a svolgere pienamente la sua funzione di ospedale maggiore della città di Milano fino al 1939, quando i degenti furono trasferiti nella nuova sede edificata a Niguarda.
Le distruzioni della guerra
Durante la seconda guerra mondiale, tra il 15 e 16 agosto 1943 la struttura fu gravemente danneggiata dai bombardamenti, che distrussero intere ali del complesso. I danni furono riparati alla fine della guerra recuperando quanto più possibile il materiale originario.
Perché via Festa del Perdono?
Un’ultima curiosità: perché l’edificio sorge su questa via dal nome così singolare? Dopo l’avvio dei lavori da parte del duca Sforza, nel 1458 papa Pio II confermava la costituzione dell’Ospedale Maggiore di Milano. Su richiesta dello stesso duca, nel dicembre 1459 con la bolla Virgini gloriosae Pio II concesse un’indulgenza plenaria, da lucrarsi nel triennio consecutivo e, successivamente, negli anni dispari, presso la Ca’ Granda dei milanesi il 25 marzo, cioè durante la festa dell’Annunciazione. Tale indulgenza fu resa perpetua nel marzo 1560 da papa Pio IV. Da allora ad anni alterni Milano celebra le sue due feste più importanti: quella del duomo e quella dell’Ospedale Maggiore.
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Ci sarebbero tante altre cose da dire su questo magnifico edificio, oggi trasformato in una vera “città nella città” grazie alla presenza della comunità universitaria, dove si può entrare e uscire liberamente (com’è giusto che sia in un’università) e dove si possono seguire i corsi che interessano maggiormente anche senza essere iscritti. Spero comunque che questo excursus nella storia della Ca’ Granda vi sia piaciuto e vi abbia incuriosito, e vi invito a segnalarmi qualche edificio a voi particolarmente caro.
Cristina M. Cavaliere
È sempre interessante e sorprendente scoprire le origini storiche di certi edifici, certo che era un ospedale molto ben organizzato con modalità (come il triage) davvero “moderne”.
Anche a Bologna l”antica università era la sede dell’Archiginnasio ora una biblioteca comunale e sede di museo, l’odierna università è ubicata in altri edifici antichi tra cui spicca Palazzo Poggi in via Zamboni sede del Rettorato.
Ciao Giulia, grazie per il commento che mi hai lasciato e scusa il ritardo nel risponderti (lavorativamente parlando, questo periodo è un vero delirio!). In effetti la Ca’ Granda si è rivelato un modello anche per altri ospedali del periodo, ed è stata copiata anche a livello architettonico in Italia. Proprio l’altro giorno ci sono passata alle quattro del pomeriggio e c’era una luce bellissima che illuminava i tondi con i busti scolpiti e il colore rossiccio della facciata. Beh, che dire di Bologna, che ospita la più antica università d’Italia?
È sempre emozionante scoprire cosa si celi dietro gli edifici storici, il succedersi delle vicende che sono andate a caratterizzare l’architettura di una città!
Vale sempre e vale ancor di più quando si tratta della propria città, perché, al di là dell’estetica, ciascuno elemento collegato presenta anche una funzione, che magari è andata modificandosi nel tempo e che ci rivela sempre una parte sorprendente della nostra civiltà; quindi del nostro modo di percepire l’ambiente e i legami culturali, e non solo quelli, con il tessuto sociale.
Ogni edificio ci racconta una parte di noi: parla dello stile di vita, del gusto e dei rapporti di classe di una determinata società, inoltre ci parla delle sue aspirazioni, della sua fede e dei suoi ideali.
Insomma, è sempre una scoperta interessantissima.
Grazie di aver condiviso questo articolo, mi ha fatto veramente piacere e lo dico anche in virtù delle mie origini milanesi! 🙂
Grazie per il commento, cara Clem! Al di là dell’indubbia curiosità che suscitano in me determinati edifici, vuoi per il lato artistico vuoi per la storia, trovo incredibilmente interessante la loro “trasformazione”. In questo caso la cosa è tanto più eclatante in quanto nella destinazione d’uso si passa da un ospedale – perfettamente funzionante fino al primo Novecento – a un’università. Si potrebbe parlare di una vera stratificazione geologica! Tra l’altro è un edificio talmente labirintico che è ideale per ambientarvi una storia gialla o, in maniera più ludica, una caccia al tesoro. 😁
Che luogo incantevole. Io adoro questi edifici carichi di Storia, dove si respira a ogni angolo un passato vecchio di secoli.
Gli ospedali antichi in effetti hanno questa particolarità di sembrare luoghi molto diversi dalla loro destinazione (sarà che gli ospedali moderni ispirano soggezione già solo a guardarli, con quelle forme massicce, squadrate e prive di eleganza).
Se non ci sei già stata, ti consiglio di vedere l’Ospedale del Ceppo a Pistoia, meravigliosamente elegante nelle sue forme rinascimentali (inclusi dei fregi di terracotta invetriata in stile robbiano).
Hai ragione da vendere, Ariano! Infatti una delle caratteristiche della Ca’ Granda era che nell’architettura e nelle decorazioni tutto doveva essere ispirato alla bellezza. Insomma, si cercava di alleviare le sofferenze degli ammalati non soltanto con il conforto della religione ma anche con il fatto di essere in un ambiente pulito ed efficiente, e anche stupendamente decorato. Leggevo infatti che nei moderni ospedali una delle caratteristiche che più intristiscono i pazienti sia quello della loro asetticità. Perlomeno nei reparti pediatrici si cerca di rallegrare le corsie con disegni e colori alle pareti, ma credo che la stessa cosa possa essere applicata alle corsie degli adulti. Non sono mai stata a Pistoia, ma non mancherò di vedere il luogo che mi suggerisci!
Aver guardato questi luoghi con nuovi occhi deve essere stato esaltante. Sono luoghi bellissimi e mi piace tutta la loro storia. Il fatto che prestigiose università sorgano nei luoghi della Storia mi piace molto. Quelle mura rivivono ormai da tempo con una nuova identità che però non dimentica quella precedente.
Ti percepisco molto serena, ne sono contenta, Cristina. 🙂
Grazie di essere passata a lasciarmi un commento, carissima. L’Università degli Studi di Milano, familiarmente detta la Statale, è un luogo davvero affascinante: già l’architettura che si affaccia su via Festa del Perdono è una meraviglia, ma anche i cortili interni sono scrigni colmi di scoperte. Per esempio il cortile della ghiacciaia porta ancora le cicatrici dell’ultima guerra, e nella fase di restauro si sono volutamente lasciati dei pezzi di colonne e dei muri mezzi rovinati a testimonianza di quello che questo luogo ha passato. Pensa che io ero entrata nella Statale tantissimi anni fa, la prima volta, perché ero in contatto con un bibliotecario che mi aveva indicato alcuni testi sui nativi d’America per la scrittura del mio romanzo Gli Immortali. Il destino poi ha voluto che la conoscessi a fondo con l’iscrizione all’università, i corsi, i colloqui con i docenti e i vari esami affrontati. 😁
Sì, sono finalmente tranquilla, soprattutto mi sento bene dopo tantissimi mesi di tribolazione sulla mia salute. Proprio oggi ti ho inviato una mail con una… proposta indecente. 😉