Buongiorno a tutti!

Oggi vi propongo l’incipit del romanzo Il Fuoco di Prometeo, ovvero il prosieguo de I Serpenti e la Fenice di cui vi ho parlato qui. Apro il post con il quadro “Signed with Love” di Gianni Strino.
Leggendo, potete anche ascoltare il brano menzionato nel passaggio a questo link. Il brano è “Le Nozze di Figaro” di Wolfgang Amadeus Mozart K. 492, opera buffa in quattro atti rappresentata nel 1786 e nello specifico il coro finale “Contessa, perdono.”

L’uccello sul davanzale

Te ne eri andato in silenzio, come arretrando, e per molti anni non avevamo più parlato. Avevo nostalgia della tua presenza in casa… così, un giorno apersi il cassetto della scrivania e ne trassi un foglio di carta. Inforcai gli occhiali, dispiegai la pagina, e sorrisi nel riconoscere la tua scrittura, infantile e nervosa. Era l’espressione del tuo carattere, uno zolfanello pronto a incendiarsi per un nonnulla. Alto e magro, vestivi perennemente di nero, con i capelli corvini sciolti sulle spalle, gli occhi scintillanti. Possedevi una bellezza bizzarra ed efebica, seducente per uomini e donne. Solo che eri morto. Morto da molti anni.

Tutto era cominciato con un disegno. Il disegno di un fiore tracciato con mano esitante. Dapprima mi avevi ricordato di essere stato più abile nell’uso della tua penna acuminata, quella con cui scrivevi il tuo giornale. Avevi proseguito con brevi messaggi, e quindi lunghe lettere, che mi facevi trovare nei luoghi più inaspettati della casa. Mi scrivevi di quanto mi avevi amata e, pure, quanti piccoli e grandi tradimenti tu avessi perpetrato quando ero stata tua moglie. La rivoluzione, dopo averci macinato come grano, ci aveva riavvicinati nell’estrema sofferenza.

Leggevo con avidità mista a malinconia e, in quel mentre, sul davanzale della finestra aperta si posò un uccello. Alzai gli occhi: era un grosso uccello marrone dal ciuffo spettinato. Risi: era il più brutto volatile che avessi mai visto. Mi fissò con un occhio solo, rotondo come uva passa, e si mise a cinguettare. E, dall’impianto stereo si levò, soavemente, una musica: era la scena conclusiva de Le Nozze di Figaro di Mozart con la richiesta del perdono, e il coro finale.

Ah! Tutti contenti
Saremo così.
Questo giorno di tormenti,
Di capricci e di follia,
In contenti e in allegria
Solo amor può terminar.
Sposi, amici, al ballo! al gioco!
Alle mine date fuoco,
Ed al suon di lieta marcia
Corriam tutti a festeggiar.

L’uccello cantò fino alla fine, e io mi sentii parte di un momento di pura bellezza. Sopravvenne il silenzio. Dissi: “Ti perdono. Amore mio, ti perdono… ma ritorna da me. Torna a parlarmi.” Come se non avesse atteso altro, l’uccello inclinò la testa e mi inviò uno sguardo lucido di gratitudine. Però scomparve nel cielo azzurro, in una goccia di sole e con un frullo d’ali.

Mi alzai e andai alla finestra nel tentativo di vedere dove fosse finito, invano. Oltre il vetro si stendeva il panorama di un’anonima cittadina del nord Italia, con tetti alti e bassi, antenne televisive, comignoli, cartelloni pubblicitari. In strada, sfilavano automobili e, ogni tanto, delle biciclette. Pochi passanti camminavano in fretta alle loro destinazioni, o uscivano dai negozi.

Poi mi accorsi che la visione stava cambiando, come nei frammenti colorati di un caleidoscopio che la mano di un bambino scuote e rimescola. Il cielo si andava incupendo nel buio dell’inverno, e l’architettura degli edifici era mutata. Sconcertata, guardai meglio e scorsi una carrozza che stava sferragliando lungo la strada di Parigi. Al suo interno, vi era una giovane che stava andando a un incontro a lungo rimandato, e molto temuto – il 13 dicembre 1790.

Allora mi sedetti al mio tavolo, presi la penna e ricominciai a scrivere. Soltanto in quel modo lui sarebbe tornato.
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Cristina M. Cavaliere