Rieccoci con la seconda e ultima parte dell’articolo scritto dall’estrosa penna di Clementina Daniela Sanguanini, e dedicato alla Villa del Balbianello. Potete qui ammirare uno scorcio dei suoi giardini che digradano verso Como. Se avete perso la prima parte, ecco qui il link per recuperarla agevolmente.
A proposito di ville, approfitto per segnalarvi che, nell’ambito dell’edizione autunnale di “Ville Aperte”, ho avuto occasione di visitare due ville davvero spettacolari e con visita guidata:
– Villa Cusani Tittoni Traversi a Desio (qui la scheda wikipedia)
– Villa Ferrari Casnedi Casati Stampa di Soncino a Cinisello Balsamo (qui la scheda wikipedia, con poche foto che non le rendono onore). Il nome chilometrico di quest’ultima deriva dal passaggio di mano a innumerevoli proprietari.
In entrambi i casi si tratta di “ville di delizie” dove le famiglie nobili di Milano si recavano a villeggiare. Sembra incredibile pensarlo, ma l’hinterland milanese, oggi molto edificato, nel Seicento-Settecento era zona di aperta campagna e rigogliosi frutteti dove si andava per respirare aria buona! Mi piacerebbe scrivere dei post sull’argomento, ma ahimè il tempo è tiranno e la salute traballante, e questo mi ricorda che occorre lasciare la parola a Clementina per la conclusione del suo articolo.
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E ora, ancor prima di raccontarvi le imprese di Guido Monzino, ultimo proprietario della villa, vorrei parlarvi delle sue origini. Sì, perché Monzino è il nome di una di una famiglia che ha conferito prestigio, non solo alla città di Milano, ma all’intero Paese.
Il grande leccio potato a ombrello che accoglie la scena di “Casinò Royale” (2006), di Martin Campbell. |
Francesco Monzino, detto Franco, padre di Guido, nel 1919 iniziò a lavorare per La Rinascente di Milano, diventando, nel 1920, condirettore generale. In questo passaggio venne sicuramente favorito dai rapporti di parentela con i proprietari: era infatti cognato di Ferdinando Borletti, marito di sua sorella Virginia. Borletti era colui il quale guidava il gruppo di imprenditori che, nel 1917, aveva rilevato l’impresa dei fratelli Bocconi, per poi ricostruirla e rilanciarla.
Una decina di anni più tardi a Franco Monzino venne affidato il compito di studiare a fondo l’organizzazione dei nuovi negozi che il gruppo La Rinascente stava creando sull’esempio della catena di vendita statunitense F.W. Woolworth & Co. Si trattava dei negozi della società Upi, poi divenuta Upim (Unico Prezzo Italiano Milano), nata nel 1928 e della quale Monzino assunse inizialmente la responsabilità per la parte tecnica.
Grazie a questa positiva esperienza Monzino maturò la decisione di staccarsi dal gruppo La Rinascente e di fondare una sua impresa di magazzini a prezzo unico.
Il 9 maggio 1931, infatti, sempre a Milano, egli creò la Standard Sams (Società Anonima Magazzini Standard). Soci ed azionisti, oltre a Francesco, erano il fratello Italo, la sorella Virginia e, con una quota minore, Tullio Astesani, industriale serico comasco, nonché suocero di Italo.
Il fratello Italo, oltre ad essere un imprenditore, era il filantropo che, nel 1981, decise di finanziare il progetto del Professore Cesare Bartorelli per la realizzazione di un centro di cura per le patologie cardiovascolari, conosciuto a tutti come Centro Cardiologico Monzino, un fiore all’occhiello nella ricerca, nella cura e nella prevenzione di una delle prime cause di malattia e mortalità in Italia e, senza dubbio, un grande orgoglio per i milanesi.
Particolare del platano a candelabro e la loggia sullo sfondo |
Nella seconda metà degli anni Trenta il regime fascista obbligò Franco Monzino a mutare il nome «Standard» della società, a causa del suo suono troppo inglese. Dopo molte discussioni,
l’imprenditore decise a favore di un’italianizzazione della sigla originale, trasformandola in «Standa» (Società Anonima Tutti Articoli Nazionali dell’Arredamento e Abbigliamento), un nome che sicuramente tutti conosciamo.
La politica di regime causò anche in seguito serie difficoltà a questa famiglia che, alla fine della guerra, si ritrovò a stimare danni intorno ai 31 milioni di lire, oltre alla necessità di porre in chiusura molteplici filiali.
Nell’immediato dopoguerra, Monzino iniziò a lavorare per risanare la situazione e, nell’arco di pochi anni raggiunse dei risultati così positivi da destare ovunque ammirazione e stupore, avendo riportato in attivo ben 35 filiali operative e 2000 dipendenti. Quasi a suggello della sua attività, nel 1953 venne nominato cavaliere del lavoro. Pochi giorni dopo, il 21 giugno 1953, morì nella sua abitazione milanese. Fedele fino in fondo alla sua missione, fu sepolto, come richiesto nel testamento, nel cimitero di Musocco accanto agli operai e agli impiegati della sua impresa (un gesto completamente in controtendenza, data l’abitudine delle grandi famiglie, della cultura e dell’imprenditoria milanese, a designare il cimitero Monumentale quale ultima dimora.).
Una delle teche contenenti parte della collezione di artefatti di epoca Ming di Guido Monzino |
Arriviamo, quindi, a parlare di Guido Monzino.
Guido era figlio di Franco e di Matilde Alì d’Andrea-Peirce. Nacque il 2 marzo 1928 e trascorse l’infanzia sul lago di Como, a Moltrasio. Dopo aver concluso gli studi classici iniziò a lavorare alla Standa, diventandone presto direttore generale e restandovi fino al 1966, quando il gruppo venne ceduto alla Montedison.
Nei primi anni Cinquanta, però, avvenne qualcosa che cambiò radicalmente il corso della sua vita: si innamorò della montagna. Tutto avvenne in fretta e un po’ per gioco. Accettò la scommessa di scalare il Cervino, senza preparazione alcuna, accompagnato da Achille Compagnoni, che aveva appena conquistato il K2. Affascinato dal gusto per la sfida, da quel momento in poi, si spinse in ogni parte del mondo: dall’Himalaya all’Africa, dalla Groenlandia alle Ande. Nel corso delle sue 21 spedizioni Guido Monzino posò la bandiera italiana sulle cime più alte, dove non era mai giunta.
Nel 1971 raggiunse il Polo Nord, raccogliendo il testimone di un altro grande esploratore: il Duca degli Abruzzi, Luigi Amedeo di Savoia, che nel 1900 aveva toccato l’86° parallelo.
Quella guidata da Monzino fu la prima spedizione a essere giunta al 90° parallelo con le tradizionali slitte degli inuit guidate dai cani: una marcia faticosissima di 71 giorni, un cammino sul pack durante il quale Monzino sfidò e vinse temperature rigidissime e difficoltà di ogni tipo.
Nel 1973 puntò a un nuovo ambizioso traguardo, l’Everest: fu a capo della prima ascensione italiana sul Tetto del Mondo. Monzino organizzò una spedizione imponente che con successo raggiunse la vetta.
La loggia e gli elaborati giardini terrazzati di Villa del Balbianello |
Un anno dopo realizzò un altro grande sogno, ovvero acquistare la villa di cui si era innamorato sin da ragazzo: Villa del Balbianello.
Il grande esploratore la restaurò con cura e vi trasferì i cimeli dei suoi viaggi.
Guido Monzino morì l’11 ottobre 1988, a sessant’anni e venne sepolto a Villa del Balbianello, come aveva tanto desiderato, ossia nel luogo che tanto amava e che, dal 1974, era diventato il suo rifugio.
Invito tutti a visitare questa splendida dimora: sarà un’esperienza indimenticabile, è una promessa!
Come raggiungere Villa del Balbianello:
Percorrere l’Autostrada Milano-Como e prendere l’Ultima uscita per l’Italia/Lago di Como. Proseguire dritto verso Como Centro e, alla rotonda, prendere la 3a uscita in direzione Menaggio, avanzando fino a Lenno. Qui, continuando lungo la strada che fiancheggia il lago, si arriva all’incrocio con Via degli Artigiani (è visibile la segnaletica per Villa Balbianello). Girare quindi a destra e raggiungere Via Comoedia. Proseguire fino all’altezza del civico 12 dove si trova un ampio parcheggio. Camminando per un centinaio di metri si giunge al bivio: la strada a sinistra conduce al porto, dove è possibile noleggiare un taxi boat che attracca al porticciolo di Villa Balbianello; la strada a destra, invece, accede al percorso pedonale che attraversa il parco della villa. Quest’ultimo è un tragitto semplice, solo leggermente in salita, che si protrae per circa un chilometro ed è percorribile in 20/30 minuti.
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Un abbraccio a tutti e a presto con altri luoghi bellissimi che non vi deluderanno e… naturalmente con la serie sui Tarocchi! ^__^
Clementina Daniela Sanguanini
ICONOGRAFIA:
PS: tutte le foto presenti in questo post sono frutto dei miei scatti personali e ve lo dico con la speranza di essere riuscita a catturare almeno un pochino della folgorante bellezza di questo luogo di delizie per mostrarvelo al meglio.
BIBLIOGRAFIA:
Villa Balbianello: https://www.fondoambiente.it/luoghi/villa-del-balbianello
Villa Balbianello: Le province di Como e Lecco, Il lago, le ville, i parchi, Bellagio, Menaggio, Varenna, Guide d’Italia, Touring Club Italia editore, 2003
Franco Monzino: http://www.treccani.it/enciclopedia/francesco-emanuele-monzino_%28Dizionario-Biografico%29/
Italo Monzino, Centro cardiologico Monzino: http://www.fondazioneieoccm.it/fondazione/ricerca/centro-cardiologico-monzino/
Guido Monzino: http://www.treccani.it/enciclopedia/guido-monzino_(Dizionario-Biografico)/
A parte la bellezza della villa, mi ha affascinato molto la storia di Franco Monzino, che tuffo nel passato mi hai fatto fare ripensando alla Standa!
A proseguire suo figlio Guido Monzino che vita straordinaria, peccato che sia morto a soli sessant'anni…complimenti per le bellissime foto
Ciao Giulia, grazie mille del passaggio!
Si, questa famiglia si è distinta decisamente tanto e mi sembrava giusto parlarne almeno un po'.
La Standa è stata un'istituzione per quelli della nostra generazione e mi sembrava bello ricordarne le origini.
Guido, poi, è stato un esploratore d'eccellenza e la sua è stata un'esistenza super avventurosa. Tuttavia, nel corso degli anni '80, un'epoca ancora segnata da osceni crimini già in gran voga nel precedente decennio, venne rapito un membro della sua famiglia, un giovane studente dell'Università Bocconi. Ebbene, quell'episodio segnò in modo pesante anche la quotidianità di Guido. Infatti, in seguito all'evento, egli fece realizzare due passaggi segreti dentro villa Barbianello, muniti di scale per raggiungere una piccola darsena nascosta alla vista e, all'occorrenza, tentare la fuga. Quei due passaggi, ancora oggi esistenti, furono la sua reazione al terrore che alcuni farabutti erano riusciti a instillare persino nel suo animo.
La Standa e l'Upim fanno proprio parte della nostra giovinezza, di noi che negli anni '60 eravamo piccoli. ^_^
Grazie in modo particolare a Clementina per questa nuova narrazione collegata al rapimento di un membro della famiglia Monzino. Purtroppo all'epoca i sequestri di persona erano molto frequenti, le pagine dei giornali erano costellate di questi episodi a scopo di estorsione, alcuni dei quali conclusi tragicamente.
Le indicazioni su come arrivarci le hai fornite, ora sta a me trovare l'occasione per andarci. 😉
Caro Ariano, grazie per essere passato a lasciare un commento!
Mi raccomando: mai dire mai! 🙂
Tutto sta nell'organizzarsi! 😉