Bentornati sul blog in compagnia di Clementina, dopo le ultime travolgenti novità della mia laurea in Storia con 110/110 e Lode!!! 😍😍😍

 

Abbiamo deciso di rimandare il prosieguo della serie sui Tarocchi a settembre. Infatti, visto che siamo in periodo di spostamenti e vacanze, vorremmo riproporvi un suo articolo molto bello sulla letteratura di viaggio e su un mezzo di locomozione che tutti noi, bene o male, abbiamo amato sin da bambini.

 

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Questo è un invito al viaggio che vi porgo attraverso una piccola rassegna di romanzi e racconti di autori famosi dedicata a quello che potemmo definire, per antonomasia, il luogo dell’incontro e dell’imprevisto.

Parliamo del treno, sfondo ideale nel quale sono state ambientate storie di incontri, di scambi, di mistero e di viaggio.

 

Murnau – Veduta con ferrovia e castello di Vasilij Kandinsky (1909),
Stadtische Galerie im Lenbachhaus. 

Agli inizi dell’Ottocento, in Inghilterra, compare la prima locomotiva a vapore e da allora il treno, con il suo fischio lanciato in prossimità delle stazioni, il suo sferragliare sulle rotaie, i suoi scompartimenti nei quali perfetti sconosciuti intrecciano conversazioni, seduti gli uni accanto agli altri, ha iniziato, senza più fermarsi, a rappresentare nell’immaginario collettivo l’ambiente più stimolante per ogni genere di avventura.

 

Il ponte ferroviario a Chatou di Renoir (1881), Musée d’Orsay, Parigi.

Volete salire in carrozza con me?
Bene!

Iniziamo, dunque, il nostro viaggio in treno con un elenco di romanzi e racconti ambientati tra i convogli, perché, come diceva Oscar Wilde, “Bisognerebbe sempre avere qualcosa di sensazionale da leggere in treno“.

 

Treno sotto la neve di Claude Monet (1875),
Musée Marmottan Monet, Parigi.

 

Il primo della lista è uno dei più famosi gialli di Agatha Christie, ambientato sul mitico treno che collega Parigi ad Istanbul: Assassinio sull’Orient Express.

Il romanzo ha come protagonista il detective belga Hercule Poirot che si troverà a dover risolvere il caso dell’assassinio di un ricco americano, il signor Ratchett, avvenuto mentre il convoglio si trova bloccato a causa della neve.

Ecco l’incipit:

«Erano circa le 5 di una mattina d’inverno, in Siria. Lungo il marciapiede della stazione d’Aleppo era già formato il treno che gli orari ferroviari internazionali indicavano pomposamente col nome di Taurus Express, e che consisteva in due vetture ordinarie, un vagone-letto e un vagone-ristorante con annesso cucinino.
Vicino alla scaletta di uno degli sportelli del vagone-letto, un giovane tenente francese, splendido nella sua uniforme, conversava con un omino imbacuccato fino alle orecchie e del quale erano visibili solo il naso arrossato e le punte di un paio di baffi arricciati all’insù.»

E conservando l’immagine di un treno nella neve, ci spostiamo verso un altro romanzo, che invece narra

l’amore, l’idealismo e il dolore fino ai temi della rivoluzione di ottobre. Qui, il protagonismo del treno ci arriva attraverso la descrizione di un lungo viaggio, un vero e proprio esodo, che si svolge in mezzo alla neve siberiana.

Vi sto parlando de Il Dottor Zivago, celebre e controverso romanzo scritto da Boris Pasternak.

Eccone un breve stralcio:

«Come se un gallo avesse appena cantato con la sua voce familiare, da giù, la locomotiva che conoscevo bene mi fece sentire il suo fischio. Lo conoscevo bene quel fischio, perché la locomotiva stava sempre sotto pressione a Nagòrnaja. Si chiamava locomotiva di spinta, per spingere i treni sulla salita e ora era in manovra, perché ogni notte a quell’ora passava quel treno misto.»

 

Restando in Russia ritroviamo il treno nell’incipit de L’idiota di Dostojevski:

 

«Verso le nove di una giornata di fine novembre il treno della ferrovia Pietroburgo-Varsavia si avvicinava a Pietroburgo. La giornata era talmente umida e nebbiosa che i passeggeri con grande difficoltà riuscivano a distinguere qualche cosa dai finestrini»

 

Continuiamo la nostra carrellata letteraria passando dal gelo dei Balcani e della Siberia, a temperature decisamente più miti, ma nelle quali la valenza simbolica del viaggio in treno rimane altissima.

E lo facciamo con Conversazione in Sicilia, di Elio Vittorini, romanzo nel quale il protagonista, Silvestro Ferrauto, un tipografo intellettuale di Siracusa trasferito a Milano da una quindicina d’anni, affronterà un inatteso viaggio in treno, denso di incontri e di emozioni, per tornare nella sua terra.

Si tratta di un romanzo che narra del ritorno alle origini ed è il romanzo-manifesto dell’impegno etico e civile dell’autore.

«E mi parve ch’essere là non mi fosse indifferente, e fui contento d’esserci venuto, non esser rimasto a Siracusa, non aver ripreso il treno per l’Alta Italia, non aver ancora finito il mio viaggio. Questo era il più importante nell’esser là; non aver finito il mio viaggio; anzi, forse, averlo appena cominciato»

 


Il nostro viaggio prosegue con un romanzo nel quale assistiamo alla gente che va ad ammassarsi su un convoglio che corre verso Parigi: Notte in treno, di Irène Némirovsky.

È la notte in cui la Francia dichiara guerra alla Germania e nelle fitte pagine di quest’autrice troviamo chi va ad abbracciare il proprio uomo in partenza per il fronte, chi va a dare una mano, chi, invece, continua la solita routine. Il treno, l’attesa, la speranza fanno da scenario ad apparizioni fugaci, a battute tra sconosciuti, a miseri bocconi di cibo racimolati qua e là e divisi con gli altri passeggeri, raccontandoci della dignità di un popolo nel presentimento di una incombente disgrazia.

« Era la prima notte di guerra. Nelle guerre e nelle rivoluzioni niente di più singolare di quei primi istanti in cui si viene proiettati da una vita all’altra, senza fiato, come se si cadesse dall’alto di un ponte, tutti vestiti, in un fiume profondo, senza capire cosa sta succedendo, serbando nel cuore un’insensata speranza.»

 

Lasciamo la Francia per raggiungere un piccolo villaggio del Punjab. Siamo nell’estate del 1947 e la regione indiana si ritrova all’improvviso divisa tra due nazioni sorte dalla fine dell’impero coloniale britannico nel subcontinente: l’India e il Pakistan. A Mano Majra, un piccolo villaggio lungo la linea ferroviaria che unisce Delhi a Lahore, dove fino al giorno prima avevano convissuto musulmani, sikh e hindù, succede qualcosa di terribile: muore un milione di persone e i treni affollati di profughi arrivavano a destinazione carichi di cadaveri.

Questa è la trama di Quel treno per il Pakistan, di Khushwant Singh e questo è il suo incipit:

«L’estate del 1947 non fu come le altre estati indiane. Quell’anno persino il tempo, in India, sembrava diverso. Faceva più caldo del solito e tutto era più secco e polveroso. E l’estate durò più a lungo. Nessuno ricordava un epoca in cui i monsoni erano giunti con tanto ritardo. Per settimane, le rare nubi produssero solo ombre. Niente pioggia. La gente continuò a dire che Dio li stava punendo per i loro peccati.»

Magicamente il nostro treno ci conduce in Italia, questa volta con Qualcosa era successo, racconto di

Dino Buzzati, ambientato in una stazione ferroviaria.

Il racconto può essere letto come metafora della corsa della vita verso la morte inesorabile, oppure come un simbolo dell’assurdità del progresso umano, che ci conduce all’autodistruzione. Infatti, l’autore lascia al lettore il compito di interpretare il testo, lasciandosi avvolgere da un angosciante mistero.

Leggiamo insieme l’incipit:

«Il treno aveva percorso solo pochi chilometri (e la strada era lunga, ci saremmo fermati soltanto alla lontanissima stazione d’arrivo, così correndo per dieci ore filate) quando a un passaggio a livello vidi dal finestrino una giovane donna. Fu un caso, potevo guardare tante altre cose invece lo sguardo cadde su di lei che non era bella né di sagoma piacente, non aveva proprio niente di straordinario, chissà perché mi capitava di guardarla. Si era evidentemente appoggiata alla sbarra per godersi la vista del nostro treno, superdirettissimo, espresso del nord, simbolo per quelle popolazioni incolte, di miliardi, vita facile, avventurieri, splendide valige di cuoio, celebrità, dive cinematografiche, una volta al giorno questo meraviglioso spettacolo, e assolutamente gratuito per giunta.
Ma come il treno le passò davanti lei non guardò dalla nostra parte (eppure era là ad aspettare forse da un’ora) bensì teneva la testa voltata indietro badando a un uomo che arrivava di corsa dal fondo della via e urlava qualcosa che noi naturalmente non potemmo udire.»

 

Restiamo in Italia, però cambiando decisamente registro, con un racconto novecentesco il cui mood è ancora una proiezione dell’Ottocento, dominato dai vasti silenzi della vita campestre nel quale irrompono i rumori inauditi e carichi di meraviglia dell’incipiente civiltà industriale.

Il giardino incantato, di Italo Calvino, tratto dalla raccolta Ultimo viene il corvo, è la storia di Giovannino e Serenella, due adolescenti che decidono di seguire la strada ferrata in un pomeriggio assolato.

Ecco l’incipit:

«Giovannino e Serenella camminavano per la strada ferrata. Giù c’era un mare tutto squame azzurro cupo azzurro chiaro; su, un cielo appena venato di nuvole bianche. I binari erano lucenti e caldi che scottavano. Sulla strada ferrata si camminava bene e si potevano fare tanti giochi: stare in equilibrio lui su un binario e lei sull’altro e andare avanti tenendosi per mano, oppure saltare da una traversina all’altra senza posare mai il piede sulle pietre. Giovannino e Serenella erano stati a caccia di granchi e adesso avevano deciso di esplorare la strada ferrata fin dentro la galleria. Giocare con Serenella era bello perché non faceva come tutte le altre bambine che hanno sempre paura e si mettono a piangere a ogni dispetto: quando Giovannino diceva: – Andiamo là, – Serenella lo seguiva sempre senza discutere.»

 

E dall’Italia ripartiamo per terre lontane, con un romanzo cult: In Patagonia, di Bruce ChatwinIn Patagonia è la cronaca di un viaggio che comincia a Buenos Aires e procede verso Sud in maniera non sistematica, a piedi, con corriere, macchine, taxi, navi e, chiaramente, con i treni. Come nella poesia Itaca di Kavafis, ciò che conta è il viaggio, non il fine.

Eccone uno stralcio:

«Il treno partì con due fischi e uno scossone. Al nostro passaggio alcuni struzzi dalle piume fluttuanti balzarono via dai binari. Le montagne erano grigie e si intravvedevano appena nella foschia afosa. A volte un camion sporcava l’orizzonte con una nube di polvere»

E siccome abbiamo detto che il treno è mistero ed avventura, concludiamo il nostro viaggio scoprendo insieme come Raimond Gregorius, insegnante di greco e latino in un liceo di Berna, si ritrova immischiato in una vicenda apparentemente indecifrabile che lo porterà a salire su un treno diretto a Lisbona per risolvere il caso di un mistero irrisolto.

 

Questa è la trama di Treno di notte per Lisbona, di Pascal Mercier.

Ed ecco il suo incipit:

«La giornata a partire dalla quale la vita di Raymond Gregorius non sarebbe stata più la stessa cominciò come innumerevoli altre giornate. Alle otto meno un quarto arrivò da Bundesterrasse e imboccò il ponte di Kirchenfeld che dal centro della città conduce al liceo. Era quello che faceva ogni giorno dell’anno scolastico, immancabilmente alle otto meno un quarto. Una volta che trovò il ponte bloccato, commise uno sbaglio durante la lezione di greco. Cosa mai successa in precedenza e che non si sarebbe ripetuta più. Per giorni e giorni a scuola non si parlò d’altro. Tanto più la discussione andava avanti, tanto più aumentava il numero di coloro che attribuivano l’errore a una distorta percezione uditiva. Tale convincimento finì per prevalere anche tra gli allievi presenti al fatto. Non era concepibile che Mundus, come lo chiamavano tutti, facesse un errore in greco, latino o ebraico.»

Time Transfixed (La durata pugnalata) di René Magritte (1938–1938),
Art Institute of Chicago Building.

 

Last, but not least, permettetemi di salutare gli amici dell’antologia Attraverso, con i loro racconti dedicati al tema del viaggio, soprattutto coloro che hanno scelto di ambientare le proprie novelle sui treni: Andrea Nikolaevic Ruffolo, con Venessia, finalmente e con Ai confini della normalità; Enrico Costa e il suo treno per Liverpool, in Penny Lane; Stefano Lucarelli, con Allegro, andante, per niente umano; Giorgio Cavagnaro, con Il treno della Sera.

 

 

La mia rassegna letteraria a bordo del treno si chiude qui, sperando che vi sia piaciuta, ma solo per lasciare a voi la parola:

Quali sono i vostri abbinamenti preferiti nel binomio treni-libri?

 
 
Clementina Daniela Sanguanini
 
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Fonte immagini: web