Bacco di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio (1596-1598),
Galleria degli Uffizi a Firenze
“Il Manoscritto del Cavaliere” è lieto di poter ospitare un nuovo articolo di Antonella Scorta, autrice di precedenti guest post dal titolo  “Christine de Pizan” appartenente alla galleria delle grandi donne (qui il link), “Alla ricerca degli antenati” imperniato sulla ricerca dei propri avi e quindi la costruzione di un albero genealogico corretto (qui il link) e il recente “Eteria: una viaggiatrice del IV secolo”, che sfata molti luoghi comuni sulle donne della tarda antichità (qui il link). Questa volta Antonella ci condurrà alla scoperta del vino nell’antichità, e l’articolo ci riserverà non poche sorprese! Tra l’altro l’autrice parla con cognizione di causa, essendo diventata una sommelier professionista, come potrete leggere anche nella sua biografia in fondo all’articolo.
***

 

Polifemo è uno dei personaggi più conosciuti dell’epica greca e, anche se attualmente questa è una materia che non si studia più a scuola, sicuramente il Ciclope, il gigante con un solo grande occhio al centro della fronte, è noto anche ai giovani di oggi. Ma chi sospetterebbe che potrebbe essere preso a esempio per spiegare la percezione del vino nell’antichità? Cominciamo il nostro racconto: la prima regola di cortesia tra i Greci, sia per le persone altolocate che per il popolo (per esempio, l’umilissimo porcaro Eumeo si comporta così quando accoglie Ulisse al ritorno ad Itaca), è di offrire subito da bere e da mangiare all’ospite e soltanto dopo chiedergli chi è e che cosa vuole. Polifemo invece affronta in modo arrogante Ulisse e i suoi compagni chiedendo loro l’identità senza offrire nulla – il che come ben sappiamo sarà la sua rovina, perché quando invocherà aiuto gridando “Nessuno (quello che credeva essere il nome del suo assalitore) mi uccide” gli altri Ciclopi ovviamente non andranno a soccorrerlo. Potete vedere molto ben raffigurata la scena di Polifemo accecato da Ulisse in quest’anfora del 650 a.C da Eleusi.

Quindi, cominciamo a capire che per i Greci, come successivamente per i Romani, il vino è regolato da norme ben precise che gli uomini civili devono rispettare. Altra norma imprescindibile è quella del bere con moderazione. E anche qui il nostro Polifemo sbaglia tutto: infatti, abituato ad alimentarsi esclusivamente con il latte delle sue capre, quando Ulisse gli offre il vino, il Ciclope lo apprezza subito, ma lo beve smodatamente e naturalmente si ubriaca. Un detto attribuito allo stesso Dioniso recitava: “Il primo cratere è per la salute, il secondo per il piacere e il terzo per il sonno”, sottintendendo che dal quarto in poi si generano soltanto violenza, baccano e follia. Ce lo mostra il sottostante mosaico ellenistico a Pafhos, sull’isola di Cipro, raffigurante Dioniso e Arianna.

 

Sia i Greci che i Romani, infatti, nei loro simposi non eccedevano mai e cercavano di mantenersi sobri. Sappiamo dalle liriche dei poeti classici che ogni tanto una sbronza era consentita, però l’importante era essere sempre lucidi durante lo svolgimento delle proprie attività professionali, soprattutto se si trattava di politica e affari pubblici. Curiosamente, anche nei tempi attuali è dimostrato che i problemi di alcolismo (e gli eventuali fenomeni di violenza che ne derivano) si riscontrano proprio nei Paesi dove normalmente non si beve vino, o addirittura dove l’alcol è proibito: sembrerebbe proprio la dimostrazione che conoscere bene questo tipo di bevanda e regolamentarne il consumo significa bloccarne gli effetti deleteri e godere soltanto di quelli benefici.

 

Una festa romana (Saturnalia), seconda metà del XIX sec. di Roberto Bompiani.

Ma come riuscivano gli antichi a mantenersi sobri nonostante le enormi quantità di vino, insieme al cibo, ingurgitate durante i loro pantagruelici banchetti, come quello celebre di Trimalchione nel “Satyricon” di Petronio? (Tra parentesi questo Trimalchione era il classico arricchito che non rispettava le regole del buon vivere e i suoi festini non erano un esempio di perfetto buon gusto!)

Ebbene, il trucco per non ubriacarsi (troppo) era allungare il vino: sì, proprio quello che oggi i sommelier e i wine lover ritengono un gesto sacrilego! Il vino puro al tempo dell’antichità classica in effetti sarebbe stato imbevibile perché la gradazione alcolica era altissima e lo stato di conservazione mai ottimale, a causa ovviamente della mancanza delle conoscenze e delle tecniche in uso oggi: bisognava necessariamente aggiungervi acqua. Ed ecco che torna in scena il povero Polifemo: la sua ubriachezza è dovuta non soltanto all’eccessiva quantità di alcol ingerito in un colpo solo, ma anche all’irrimediabile errore di avere bevuto il vino puro. Si trattava tra l’altro di una pregiata varietà a bacca nera che era stata donata a Ulisse da un sacerdote di Apollo ed era così densa che necessitava di venti parti di acqua per una di vino. Solitamente la miscela giusta era tre/quattro parti di acqua e una di vino. Ma il vino spesso veniva addizionato anche di altre sostanze per renderlo più gradevole, soprattutto il miele, con il quale si produceva il mulsum, bevanda che ai banchetti fungeva da aperitivo, oppure addirittura resine, gessi e altri additivi che oggi farebbero considerare l’alimento decisamente adulterato.

È interessante notare che per i Greci chi non sa bere è solitamente una creatura inferiore: oltre ai Ciclopi altri esempi di ubriaconi molesti sono i Centauri. E per i Romani? Potremmo dire che per i Romani le creature inferiori fossero i Barbari. Per i raffinati senatori in toga, lavati e profumati ogni giorno alle terme, sicuramente questi figuri dai lunghi capelli incolti che indossavano braghe di cuoio e certamente non erano particolarmente dediti all’igiene personale non potevano rientrare a pieno titolo nel novero degli esseri umani. E avevano un altro orribile difetto: bevevano birra! Per molti secoli scegliere il vino piuttosto che la birra è stata una discriminante tra civiltà e inciviltà, cultura e non-cultura. E non soltanto per la bevanda in sé, ma per l’assoluta mancanza di regole che caratterizzava l’assunzione della cervogia: non doveva essere miscelata, non le erano destinati contenitori ben codificati e addirittura (orrore!) poteva essere sorbita con la cannuccia. Osservateli in azione in questo dettaglio del quadro di Piero di Cosimo dal titolo Battaglia tra Lapiti e Centairi del 1490 ca. posto alla National Gallery di Londra.

Lasciamo l’amico Polifemo alla sua ebbrezza e ai suoi innumerevoli errori e affrontiamo un altro argomento: le donne nell’antichità bevevano vino? La risposta è molteplice. Le etere del mondo greco potevano partecipare ai simposi e quindi erano anche autorizzate a bere vino, mentre a tutte le altre categorie dell’universo muliebre era severamente proibito. Molto diverso l’atteggiamento degli Etruschi, che pure avevano accolto dalla Grecia la pratica del simposio: le mogli potevano partecipare ai banchetti e sdraiarsi sui triclini accanto ai consorti, con lo stesso diritto di mangiare, bere e divertirsi riservato agli uomini.

 

Affresco sulla parete centrale della Tomba dei Leopardi, nella
necropoli etrusca di Monterozzi a Tarquinia. Epoca: ca. 470 a.C.

 

Il mondo romano, invece, era particolarmente rigido nei confronti dei comportamenti femminili: si pensi che lo stesso Romolo (così almeno si diceva a quei tempi) aveva introdotto la pena di morte per le donne sorprese a bere. La legislazione, in effetti, equiparava l’atto di consumare vino, da parte di una donna, all’adulterio e quindi soggetto a pene molto severe, fino a quella capitale. Forse avrete sentito parlare del “diritto di bacio”: il marito, ma anche la famigerata suocera, aveva il diritto di baciare la moglie per capire se il suo alito emanava sentori sospetti.

Soltanto in alcune occasioni era consentito il consumo di alcol: per esempio, durante le feste della Bona Dea, che erano riservate soltanto alle donne, si poteva bere vino, ma, con una certa dose di ipocrisia, questi veniva chiamato latte e il calice definito vaso di miele. Qui viene evocato nel Baccanale degli Andrii, un dipinto a olio su tela di Tiziano Vecellio databile al 1523-26 e conservato nel Museo del Prado di Madrid.

Con il passaggio dall’austera età repubblicana alla più godereccia era imperiale anche le donne ebbero maggiore libertà e poterono incominciare a gustare il prezioso nettare. E infatti proprio la moglie di Augusto, Livia (qui raffigurata nella testa scolpita conservata al museo Saint-Raymond di Tolosa) , sosteneva di essere arrivata alla tarda età (morì a 86 anni) grazie al Pucino, una specie di Prosecco dell’epoca, che beveva regolarmente. Probabilmente i Romani si erano resi conto anche dell’importanza commerciale del vino, che spesso era utilizzato come moneta di scambio e aveva un altissimo valore. Plinio il Vecchio, che nella sua “Naturalis Historia” ci ha lasciato tantissime notizie sul mondo enologico, afferma che almeno due terzi delle varietà di vino esistenti nel mondo vengano dall’Italia. E del resto parte della nostra penisola era chiamata Enotria, ovvero terra del vino, e anche oggi in Italia sono registrati ufficialmente almeno 700 vitigni autoctoni.

Un’ultima curiosità: avrete certamente nell’orecchio il motto “Nunc est bibendum”, che spesso è utilizzato in enoteche, ristoranti, siti, blog, libri dedicati al vino. Forse però non si sa a che cosa si riferisca e magari si pensa a un’esortazione simile a quella di Lorenzo il Magnifico “chi vuol esser lieto sia”. Invece è legato a una vicenda politica complessa e a un evento storico drammatico: la morte di Cleopatra, che Orazio considerava la peggior nemica di Roma. La conclusione che possiamo trarre è che, oggi come ieri, ogni occasione, allegra o triste, è buona per un bicchiere di vino!

Antonella Scorta

***

Ebbene, che cosa ne pensate e qual è il vostro rapporto con il nettare degli dei? In attesa dei vostri commenti, vi invitiamo a leggere la biografia di Antonella, e soprattutto a visitare il suo sito… interessantissimo sia per gli appassionati di vino sia per coloro che sono quasi astemi (come la titolare di questo blog)!  

***

Biografia dell’autrice

Nata a Milano nel 1963, è laureata in Lettere Moderne con indirizzo Storico e in Conservazione dei Beni Culturali con indirizzo Archivistico Librario. Dopo una breve parentesi come archivista, ha intrapreso la professione giornalistica nel mondo della moda. Recentemente si è diplomata Sommelier e ha incominciato quindi a scrivere in merito a tematiche legate al mondo del vino sul suo sito www.inthebottles.com.

Bibliografia: Laura Pepe, “Gli eroi bevono vino”, Laterza
Fonti immagini: Wikipedia