Mosaico romano del I secolo a.C.
raffigurante le maschere tragica e comica
(Musei Capitolini, Roma).

 

Per il mio corso di studi universitari ho scelto l’indirizzo di Storia Moderna anziché Storia Medievale a causa della mia nulla conoscenza del latino, studiato alla scuola media nella notte dei tempi. Mi avrebbe imbarazzato il fatto di dedicarmi al Medioevo senza sapere il latino, e fino a qualche tempo fa l’università non aveva inserito il corso di istituzioni latine come obbligatorio per gli studenti di Storia (cosa che ha fatto di recente).

Lo studio della lingua latina sopravvive nel liceo classico, anche se è stata azzoppata come molte altre materie dalle ultime riforme scolastiche. Da anni queste sono diventate campi di battaglia per i governi di qualsivoglia colore che si avvicendano nel nostro tribolato agone politico.

Confessata la mia ignoranza del latino e messo il dito nella piaga sui curriculum scolastici, mi sono imbattuta spesso nei miei studi storici in termini latini che mi hanno fatto sgranare gli occhi per lo stupore come un bambino davanti a un barattolone di caramelle. Della serie: “Ooooh, ecco perché…”

Già, perché il latino non soltanto non è morto, ma vive e lotta insieme a noi, come diceva qualcuno. Si tratta di una lingua meravigliosa, logica e precisa, e con pochissime parole ti può schiudere un mondo. Ho pensato quindi di scrivere questo post anche sulla scorta di un commento di Marco Lazzara sull’attualità e sulla modernità della lingua latina, e dal suo successivo articolo che potete trovare qui.

Siete pronti per la nostra rassegna delle meraviglie? Incominciamo suddividendo il tutto per argomenti!

 

La religione

EPULONE: mi ha sempre fatto impressione la parabola del ricco epulone (Vangelo secondo Luca, 16,19-31) che organizza dei gran banchetti, e non condivide mai il cibo con il povero mendicante Lazzaro che è costretto a cibarsi delle briciole che cadono dalla sua tavola. Ebbene, ho scoperto che gli epuloni non erano dei ricchi goderecci, ma erano proprio un collegio religioso, formato nel 196 a.C. e quindi abbastanza tardi rispetto agli altri, specializzati nella gestione dei banchetti sacri (epulum). Qui accanto nel quadro del pittore Antonio Bresciani, destinato a un altare della Chiesa di San Lazzaro a Piacenza, si vedono ben raffigurati i due personaggi della parabola.
FASTO/NEFASTO: [dal latino fastus, der. di fas (v.)]. Per gli antichi Romani, nei giorni fasti dell’anno nessun impedimento religioso esisteva per la trattazione degli affari. Nelle espressioni fas est, fas non est ha il senso di liceità di fronte alla religione, alla morale, al diritto = ciò che gli dei permettono avvenga. Per estensione, il termine passò a indicare lo stesso calendario ufficiale romano (nel quale erano distinti i giorni «fasti» e quelli «nefasti»), e, poiché il calendario era di solito accompagnato dalla lista dei magistrati eponimi, si dissero fasti consolari le liste dei consoli (poi anche, per analogia, fasti trionfali le liste dei trionfi dei generali). Noi usiamo il termine fasto nel significato di lusso, pompa, ostentazione superba di ricchezza. Il contrario è nefasto, tutto ciò che non era permesso dalla legge divina. Lo usiamo spesso accostato a “presagio”, “annuncio”; o che porti a risultati dannosi: il suo intervento è stato nefasto.
PONTEFICE: la parola pontefice deriva da pons facio, ovvero “colui che costruisce il ponte” o, secondo altre ipotesi, “colui che costruisce la strada”. Il collegio dei pontefici era il più importante corpo sacerdotale di Roma, e a capo c’era il pontefice massimo custode e interprete del patrimonio religioso e sociale. L’imperatore Ottaviano Augusto era a capo del collegio pontificale. Quindi in questo caso si parla di un uomo che fungeva da ponte tra gli uomini e gli dei; di questi ultimi si devono ascoltare i pronunciamenti e obbedire ai comandi pena la rottura della pax deorum con guai conseguenti. Com’è ovvio il nostro papa (o pontefice) ha ereditato questo titolo direttamente dal mondo romano.
SACRO: in epoca romana per gravi violazioni si consacrava la persona del reo, e talvolta anche i suoi beni, alla divinità offesa. La persona sacra per noi equivale a “inviolabile”, per i Romani invece era tutto il contrario: il reo, senza più alcuna tutela perché divenuto sacer, poteva essere ucciso da chiunque senza incorrere nel reato di omicidio. Il termine è collegato con la sacrosanctitas, cioè l’inviolabilità personale accordata ai tribuni della plebe: chiunque avesse osato commettere violenza contro di loro, sarebbe divenuto sacer, cioè consacrato alla divinità, quindi messo a morte da chiunque senza conseguenze.

 

 

La politica

CENSORE: i censori avevano il compito, centrale in uno stato censitario come Roma, di “classificare” i cittadini romani, determinando la loro collocazione patrimoniale e, di conseguenza, il loro grado di partecipazione all’attività militare e politica. Due censori convocavano al Campo Marzio i cittadini e, aiutati da scribi, araldi, nomenclatores (incaricati a chiamare per nome i cittadini), iuratores (incaricati di ricevere il giuramento) e inquisitores (indagatori), registravano le loro dichiarazioni sotto giuramento. Potevano anche infliggere una nota censoria, cioè un biasimo, dopo un controllo dei costumi sia pubblici sia privati, da qui la doppia valenza della parola.

Un famoso censore era Marco Porcio Catone, quello che insisteva per distruggere Cartagine. Plutarco, autore delle “Vite parallele”, ci dà questo caustico ritratto di Catone: “[…] Quanto al suo aspetto, aveva capelli rossastri e occhi azzurri, come ci rivela l’autore di questo poco benevolo epigramma: “Rosso, mordace, occhiazzurro, Persefone / neanche morto accoglie Porcio in Ade”. Insomma, doveva essere un bel crostino.

COMIZIO: s. m. [dal lat. comitium, comp. di com– (= cum) e –itium dal tema di ire «andare»; cfr. coire «andare insieme, unirsi»]. – In Roma antica era: a. Luogo (alle pendici del Campidoglio, all’angolo nord del Foro) dove si adunavano i cittadini divisi per curie. b. Al plur. (in lat. comitia), assemblea del popolo intero, tenuta sotto la direzione di particolari magistrati; secondo che il popolo vi partecipasse diviso per curie, centurie, tribù, si avevano i comizi curiati, i comizi centuriati, i comizi tributi.

Oggi si intende per comizio una riunione pubblica, generalmente all’aperto, a carattere politico o sindacale, nel corso della quale uno o più oratori espongono il punto di vista di un partito o di una corrente politica su problemi o fatti di attualità; in particolare quelle tenute dai candidati alle elezioni politiche o amministrative. Nella foto qui sopra potete vedere l’ex-presidente Obama durante un comizio nel 2011 in Florida.

COMMENDATORE: siamo in età imperiale e parliamo di commendatio (ossia la raccomandazione imperiale), che veniva utilizzata per i pretori, non per i consoli, e che era garanzia di sicura elezione, perché non si poteva certo scontentare l’imperatore!

Poi col tempo arriviamo appunto a commendatore s. m. [dal lat. commendator -oris «raccomandatore, protettore»]. Negli antichi ordini religiosi militari  indicherà l’amministratore di un beneficio o di una commenda posti in luogo lontano dalla sede dell’ordine, per esempio le famose commende dei cavalieri templari o degli ospitalieri.

Nella foto potete vedere la commenda di San Giovanni di Pré a Genova. Il complesso consta di due chiese cattoliche in stile romanico, sovrapposte l’una all’altra, che costituiscono il grosso del corpo architettonico, e di un edificio a tre piani, la commenda, ovverosia il convento e l’ospitale (locali al piano terra), che assolveva alla duplice funzione di stazione marittima sulle rotte della Terrasanta e di ospedale (ospitaletto), inizialmente per i pellegrini ed in seguito per i malati e gli indigenti della città.
 

CONSOLE: dopo aver cacciato via Tarquinio il Superbo, ultimo re dell’età arcaica, inizia l’età repubblicana. Si istituisce il consolato, ovvero una magistratura elettiva con due consoli, in cui ognuno deteneva un potere uguale al collega e aveva diritto di veto rispetto all’altro, proprio per prevenire eventuali accentramenti di potere. Dall’età repubblicana in poi i Romani furono ossessionati dal pericolo di “un uomo solo al comando”. L’etimologia della parola è incerta, ma pare derivi da consulere (= prendere una deliberazione, provvedere). Oggi la parola console designa più che altro un agente per mezzo del quale uno stato esercita nel territorio di un altro stato funzioni pubbliche, di natura varia prevalentemente amministrativa e a volte anche giurisdizionale, come il console onorario o console eletto.

PLEBISCITO: il nome plebiscita indica le decisioni della plebe, che inizialmente non avevano valore vincolante per lo stato, ma soltanto per le assemblee della plebe che l’avevano votato. Nel diritto moderno, in senso lato, ogni diretta manifestazione di volontà del popolo riguardo a questioni relative alla struttura dello stato o alla sovranità territoriale, per esempio i Plebisciti d’annessione: nella storia del Risorgimento italiano, sono quelli con i quali, dal 1848 al 1870, fu votata l’unione (al regno di Sardegna prima e al regno d’Italia poi) delle nuove province.

 

PATRIZIO: l’etimologia non è sicura, ma sembra che derivasse da patres, cioè padre. Il termine plebei (ricordate le lotte tra patrizi e plebei?) deriva invece da plebs, cioè moltitudine. Il nome Patrizio o Patrizia quindi deriva dritto dritto dall’antica Roma. Quando ero giovane avevo un’amica di nome Patrizia, cui piaceva molto la canzone di Eugenio Finardi Patrizia” (che in effetti è molto bella), di cui vi propongo il video youtube.

 

REPUBBLICA: la repubblica non è come la intendiamo noi, cioè la forma costituzionale repubblicana, ma semplicemente la res publica, cioè la “cosa pubblica”. In altri termini è lo stato, la collettività: tutti noi.

 

SENATORE: Il termine senatore (dal latino senex, vecchio… senile, senilità, senescente) indicava nell’antica Roma i membri del Senato, che era appunto l’assemblea dei più anziani e saggi cittadini. In età repubblicana il consesso detenne un grande potere, che andò progressivamente sfumando in età imperiale.
Cicerone denuncia Catilina, noto anche come Cicerone accusa Catilina in Senato,
è un affresco del 1880 del pittore e scultore italiano Cesare Maccari.

Le tasse

 

Argomento doloroso ancora oggi… vabbeh, facciamoci forza e leggiamo.

FISCO: dal latino fiscus, indicava una «cesta», poi divenuta «cassa dello stato, tesoro». Nello specifico era la cassa dell’imperatore, e in questo senso era distinta dall’erario che erano le entrate dello stato.

ERARIO: dal latino aerarium, derivato di aes aeris «rame; denaro». In origine, era il tesoro e l’archivio del popolo romano (che fin dai primi tempi della repubblica ebbe sede nel tempio di Saturno nel Foro), in cui si conservavano i proventi delle imposte, dei tributi, delle vendite di cose pubbliche, delle indennità di guerra e delle prede, i contratti pubblici, i rendiconti finanziari dei magistrati, i testi delle leggi, ecc.

TRIBU: questa parola ha un’etimologia davvero curiosa perché ha a che fare con un raggruppamento, ma anche con le tasse. Nella Roma antica, e in special modo nell’età monarchica, la tribùcorrispondeva a ciascuna delle 3 frazioni etniche, o territoriali, in cui era suddivisa la popolazione; nell’età repubblicana, corrispondeva a ciascuna delle suddivisioni territoriali e amministrative dello stato. Quindi c’erano le tribù urbane, in numero di 4, e le tribù rustiche, che variavano da 16 a 31 a seconda delle varie epoche. Come avrete capito, i Romani avevano una vera passione per le suddivisioni. La collocazione in una tribù da parte di un cittadino era molto importante per determinare il “tributo”, ahiloro e ahinoi.

 

Le elezioni

 

I Romani erano perennemente chiamati a esprimersi su qualsiasi cosa nelle varie assemblee, con una media di circa sette votazioni l’anno. Il periodo pre-elettorale ed elettorale erano molto impegnativi. Vediamo un paio di parole interessanti.

CANDIDATO: Livio, autore di età repubblicana, ci racconta con una certa ironia: “I tribuni della plebe furono invitati a proporre una legge che vietasse a tutti l’uso di rendere più candidi gli indumenti quando si aspirava a una carica,” al che si scatenò una vera lotta tra patrizi e la plebe. L’ebbero vinta i tribuni e la legge passò, ma la pratica di indossare vesti candide rimase. Quindi colui che si proponeva per l’elezione indossava vesti candide, da cui appunto il termine “candidato” che ancora oggi usiamo…. (vi prego di non fare battute!).

PREROGATIVA: un’estrazione a sorte determinava l’unità (centuria) che avrebbe dovuto votare per prima. Era un atto di valenza religiosa (perché la sorte è guidata dagli dei) che attribuiva un valore di presagio a tale voto. Questa prima centuria era detta “prerogativa”, femminile sostantivato dell’aggettivo praerogativus «che vota prima degli altri» (der. di praerogare «interrogare per primo sul proprio parere»).

 

Città e campagne

CONCILIABOLO: nell’Italia d’età romana, era un piccolo villaggio dove avvenivano di tanto in tanto riunioni per feste religiose o mercati e per ascoltarvi la lettura delle leggi del popolo romano e gli ordini dei magistrati. Infatti il termine conciliabulum significa «luogo di adunanza, riunione», derivato di conciliare nel senso proprio di «riunire insieme.

Col tempo è diventato un’adunanza furtiva e appartata per fini illeciti o misteriosi, per esempio un conciliabolo di cospiratori… o forse potremmo dire oggi, “un conciliabolo di candidati”.

 

Nel 1604 Guy Fawkes tentò di far saltare per aria il Parlamento inglese
insieme con un gruppo di cospiratori. Nella stampa che mostra il loro conciliabolo,
si vedono otto dei tredici cospiratori: Fawkes è il terzo da destra.

 

PAGANO: che cosa ci fa un pagano in campagna? C’entra eccome, perché il termine deriva da pagus, cioè un piccolo insediamento territoriale e amministrativo che, a sua volta, si articolava su uno o più vici (villaggi). Quindi pagano equivale ad «abitante del villaggio», e più tardi «pagano». Dopo l’avvento del cristianesimo, il mutamento di significato potrebbe essere dovuto al fatto che l’antica religione resistette più a lungo nei villaggi che nelle città. Il paganus sarebbe stato colui che si manteneva fedele ai valori sacri tradizionali del pagus.

 

Di tutto un po’…

EDILE: l’equivalente è aediles, e deriva da aedes “tempio, casa”. Gli edili della plebe nella tarda età repubblicana si occupavano dell’organizzazione dei giochi, della sorveglianza sui mercati, del controllo sulle strade, i templi, gli edifici pubblici. Insomma, avevano parecchio da fare…

 

ELEGANZA: il termine deriva dal latino elegans, dal verbo eligo, “eleggere, scegliere”, da cui anche l’italiano “elezioni”: come dice Vito Mancuso nel suo splendido libro “La via della bellezza” (che non mi stancherei mai di consigliare), colui che è elegans è uno che sceglie e che elegge, e che nel far questo coglie il bello nell’accostare colori e forme. Petronio era detto arbiter elegantiarum. Nella foto potete vedere Leo Genn interpretare un intenso e ironico Petronio nel film “Quo vadis?” del 1951.

JUVENTUS: i tifosi della squadra di calcio bianconera forse non sanno che il nome della loro squadra del cuore è squisitamente latino ed è derivato dalla parola latina iuventūs, gioventù.

LUCULLIANO: c’era una volta Lucio Licinio Lucullo, uomo politico romano e generale dell’ultima età repubblicana, che dava banchetti talmente sontuosi e raffinati che il termine è rimasto fino a oggi.

 

PRINCIPE: dal latino princeps propriamente “che prende il primo posto”, composto di primus ‘primo’ e dal tema di càpere ‘prendere’. Nella legione schierata su tre linee, per esempio, i primi ad affrontare il nemico erano i principes. Logico, no? Ottaviano Augusto, che diede inizio all’età imperiale, era il princeps. Potete vederlo qui nella bellissima scultura oggi conservata ai Musei Vaticani, opera scultorea raffinatissima e perfetto esempio di propaganda politica.

RUSTICO: [dal lat. rustĭcus, der. di rus «campagna»] – 1. Aggettivo: di campagna, campagnolo: per esempio, la rustica chiesetta 2. Sostantivo: contadino, persona di campagna: “anche se vive in città, l’è rimasto un rustego” (ops, scusate il dialetto). Come detto sopra, infatti, i Romani definivano le tribù rustiche le classificazioni di coloro che abitavano nelle campagne.

STILE: deriva dal latino stilus, che in prima battuta designa un corpo acuminato conficcato nel terreno per usi agricoli o militari, quindi “palo, piolo, fusto”, e poi viene a indicare lo strumento mediante il quale si scriveva sulle tavolette di cera, lo stilo. Da qui il modo di scrivere ed esprimersi, ciò che noi intendiamo per “stile”.

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Direi che per il momento è tutto… la prossima volta mi piacerebbe scrivere un post sui detti latini che usiamo ancora oggi (come “Sursum corda” che significa “In alto i cuori” e si usa nella liturgia cattolica). 🙂 Vi sono piaciute le mie parole e ne conoscevate l’etimologia?

Cristina M. Cavaliere

 

Fonti testo:

  • Le istituzioni politiche del mondo romano di Gabriella Poma – Il Mulino
  • Storia romana – Editio maior di Giovanni Gerace e Arnaldo Marcone
  • La via della bellezza di Vito Mancuso
  • Treccanionline 

 

 
Fonti immagini: Wikipedia