Dopo l’interessantissimo articolo sulla pellegrina Egeria, che ha riscosso molto successo e ha avuto un buon numero di visualizzazioni, ritorno con un articolo cui tengo molto. Il corso di Storia dell’Arte Medievale, di cui vi ho parlato qui, oltre ad alimentare la mia passione già molto viva per il periodo, mi ha fatto conoscere moltissimi splendidi manufatti. In considerazione del poco spazio di un post sul web, sarebbe inutile, però, che io vi parli degli affreschi della cappella degli Scrovegni di Giotto, o della Corona Ferrea della regina longobarda Teodolinda, perché vengono spiegati in altre pubblicazioni e siti in maniera molto più approfondita e professionale di quanto potrei fare io.

Invece ho selezionato quattro manufatti che ho visto per la prima volta, e che vorrei presentarvi: sono davvero particolari tanto da avermi fatto rimanere a bocca aperta… e, naturalmente, ho pensato di unire l’utile al dilettevole, inserendone un paio nei miei romanzi. Prima di presentarveli, però, non posso prescindere da una breve spiegazione di che cosa sia l’arte medievale, tratta dai miei appunti, affinché possiate apprezzare ancora meglio gli oggetti, già splendidi e insoliti anche a un rapido sguardo.

 


Che cos’è l’arte medievale

A livello cronologico essa non coincide strettamente con le date canoniche in cui è suddivisa la storia, tanto è vero che l’arte medievale inizia con lo studio dell’arco di Costantino a Roma, quando l’impero romano era ancora in auge (mentre la data di inizio del medioevo si fa coincidere con la fine dell’impero romano d’occidente e la deposizione dell’ultimo imperatore Romolo Augustolo, cioè il 476 d.C.).

L’arte medievale è dunque l’insieme dei manufatti prodotti nel millennio che intercorre tra i secoli VI e XIV, cui si attribuisce un carattere artistico e artigianale. Per manufatti si intendono opere monumentali (architettura, scultura, pittura, mosaico, vetrate, teli ricamati, arazzi…), come la cappella palatina di Aquisgrana voluta da Carlo Magno, che potete vedere nell’immagine in alto a sinistra, oppure manufatti suntuari (miniatura, oreficeria, bronzistica di piccolo formato, pittura per devozione privata, tessuti ecc.), come la statuetta equestre di Carlo Magno, o forse Carlo il Calvo, al Louvre, e non sono considerate “arti minori”.

Una differenza importante rispetto all’arte di cui fruiamo oggi è che l’oggetto è contraddistinto da uno stretto rapporto con un contesto e una funzione, nello spazio e nel tempo, e in quanto tale è coinvolto con efficacia emblematica e simbolica negli atti sociali, soprattutto inerenti alla sfera del culto cristiano. Per esempio i polittici erano concepiti per essere fruiti dai fedeli riuniti durante la liturgia, ma anche dai presbiteri nella parte retrostante, e per questo motivo le raffigurazioni erano sul lato anteriore e sul lato posteriore, come potete vedere direttamente qui nel polittico la Maestà del Duomo di Siena dipinto tra il 1308 e il 1311 da Duccio di Buoninsegna.

 

Un altro bell’esempio di manufatto che può essere “letto” sia davanti che dietro è l’Altare d’Oro della chiesa di Sant’Ambrogio realizzato dal maestro Volvinio tra l’829 e l’859 e riccamente lavorato sia nel lato anteriore e in quello posteriore con la cosiddetta fenestella confessionis. Su questo vi rimando al link wikipedia dove potrete ammirare diverse fotografie, cliccate qui.

Solo su questo altare il docente aveva svolto un’intera lezione di due ore, peccato che poi all’esame mi abbia chiesto di commentare tre formelle del gigantesco dossale di Klosterneuburg – che non dovevo portare – ma non fa niente. Acqua passata.

L’emblema e il simbolo, così diffusi nell’arte medievale, lavorano sullo sguardo dello spettatore e connotano l’identità di un individuo o di un gruppo, nel caso dell’emblema, oppure esprimono un’idea, un concetto, nel caso del simbolo. In realtà spesso si sovrappongono e generano significati stratificati, multidirezionali, sfuggenti e ambigui. Alimentano l’immaginazione dell’osservatore, diventano potenti proprio perché difficili da comprendere fino in fondo: che cosa c’è di meglio per quanto riguarda un’opera d’arte… e, oserei dire, anche in un romanzo? Un esempio sono i gigli dorati, che sono l’emblema della casata di Francia, ma anche della purezza della Vergine.

Dunque i manufatti dell’arte medievale non sono stati concepiti per l’esclusivo godimento estetico – come accade oggi nell’ambito di un odierno vernissage – bensì quali oggetti destinati a un luogo ben preciso per svolgere una o più funzioni, agendo nello spazio liturgico e nel tempo lineare (= la storia della Salvezza dalla Creazione al Giudizio Finale) e ciclico (= il ciclo agricolo, ma anche il tempo liturgico) fra tradizione e innovazione.

Una seconda importante differenza rispetto alla sensibilità odierna è che arte versus artigianato indica un giudizio di valore, questione che l’uomo medievale non si poneva affatto. Non dobbiamo però pensare a degli emeriti sprovveduti, poiché di certo i committenti o gli acquirenti sapevano distinguere il grado di qualità di un prodotto.

—–

E ora andiamo a presentare i miei magnifici quattro, in ordine cronologico!

1. Il Flabello di Tournus del IX secolo (ca 868)

Questo oggetto straordinario è conservato nel Museo del Bargello di Firenze, e si tratta di un ventaglio del IX secolo, sì, avete letto benissimo, prodigiosamente conservatosi vista la fragilità del materiale. Infatti è composto da un foglio di pergamena piegato e suddiviso in tre registri miniati pieghettati, che contengono dei tralci abitati, la Vergine col Bambino, santi e sante (tra cui Philibert).

C’è un manico cilindrico fatto di osso, e dipinto, mentre l’astuccio è in avorio intagliato, e mostra le Egloghe di Virgilio, un autore classico che era stato molto recuperato in ambito cristiano come anticipatore della venuta di Cristo. In poco spazio l’oggetto racchiude una grandissima complessità di scene e moltissimi elementi, per le quali vi rimando a questo bell’articolo di “Finestre sull’Arte”, qui il link.

Nella mia ignoranza io già pensavo al flabello come un ventaglio adatto per una regina, e già lo vedevo in mano alla mia Arda di Gerusalemme; in questo caso, invece, si tratta di un oggetto liturgico, derivato dal ventaglio di uso profano, impiegato nelle antiche culture dell’Oriente per offrire ombra, refrigerio e allontanare gli insetti.

Quindi si usava il flabello soprattutto per allontanare gli insetti dall’altare, e ciò non toglie che potrei inserirlo in una scena del mio romanzo in lavorazione “Il Tempio di Salomone”.

 

2. Gli avori di Magdeburgo (ca. 962–68)

Dopo la disgregazione dell’impero carolingio, con il trattato di Verdun del 843 il Sacro Romano Impero viene suddiviso in tre parti: il Regno Franco (Carlo il Calvo), la Lotaringia che deteneva le insegne imperiali (Lotario) e il regno di Germania (Ludovico il Germanico). Con il tempo nel regno di Germania prende il sopravvento la dinastia di Sassonia degli Ottoni (Ottone I, II, III ecc.), di cui l’ultimo sarà Enrico II nel 1204.

La cattedrale di Magdeburgo è prima monastero, poi cattedrale, poi residenza arcivescovile. Ottone I la sceglie come suo mausoleo, e mausoleo della dinastia. Legati alla sede sono gli avori di Magdeburgo, cioè delle placchette liturgiche di 10×12 cm. Sono scolpiti con maestria eccezionale: l’intaglio è perfetto e di grande capacità compositiva con molti personaggi ben definiti.

Qui vi presento la formella raffigurante Cristo che riceve la cattedrale di Magdeburgo dall’imperatore Ottone I. Cristo è al centro e siede su un globo con una mezzaluna (= arcobaleno) e riceve da Ottone I il modellino di una chiesa, forse proprio S. Maurizio. L’imperatore è di proporzioni più piccole rispetto agli altri personaggi, e ha una corona a forma di arco, e forse è proprio la cosiddetta corona del Sacro Romano Impero che si trova a Vienna. Viene presentato al cospetto di Cristo da un angelo e da San Maurizio, e ha le braccia velate mentre porge il modellino. Dall’altra parte c’è Pietro con le chiavi (= richiamo a Roma per legittimare l’elevazione di Magdeburgo a sede arcivescovile).

Ora, a parte che questo avorio è bellissimo, ma Ottone I mi fa un po’ sorridere, perché ha l’aria imbronciata e timorosa, come un bambino che deve porgere un dono a un parente di cui ha molta soggezione, infatti non rivolge nemmeno lo sguardo verso l’alto! Le figure sono perfette e lineari, non c’è un fronzolo inutile o un dettaglio fuori posto.

 

3. La stauroteca di Basilio il Proedro (X secolo)

Ci spostiamo dalla Francia per arrivare a Costantinopoli o Bisanzio secondo l’antica denominazione della città, e nello specifico del periodo medio bizantino (843-1205). Si tratta di un’epoca molto florida con rapida espansione commerciale, economica e culturale per l’impero d’oriente, che si conclude con il 1204 con la quarta crociata e con il sacco di Costantinopoli.

Lo strepitoso oggetto che vi presento è un reliquiario con frammenti della croce di Cristo (“stauroteca” = dal greco “staurós” ovvero croce), conservato oggi a Limburg an-der-Lohn in Germania. È un oggetto molto prezioso e di grandi dimensioni (48x36x6 cm.): anche se esistono molti reliquiari con parti della croce, è il pezzo più importante della categoria. Il committente dell’opera è Basilio il Proedro (“proedro” = sempre dal greco, una sorta di primo ministro), indirettamente legato alla corte imperiale.

Ma come mai un oggetto fabbricato a Costantinopoli si trova in Germania? Grazie a una serie di inventari, si è potuto appurare che nel 1206 un cavaliere tedesco aveva ricevuto questo oggetto a Tessalonica, proprio come ricompensa per i propri servigi militari.

Esaminiamo l’oggetto da vicino. In realtà sono due reliquiari: il più antico è quello con la croce, dove i frammenti sono inseriti al centro, e sono state aggiunte pietre preziose a protezione e decoro. È stata poi incastonato in un contenitore. Le iscrizioni si situano dietro il reliquario cruciforme, sul bordo e sul coperchio. Come potete vedere dalla seconda immagine, il coperchio si apre a scorrimento, dopo avere aperto un fermaglio. Le iscrizioni sono in greco, e nominano Basilio in quanto Proedro, che nel corso di vari anni egli ebbe varie cariche.

 

Il reliquiario interno

La data del 945-959 è dedotta dalle iscrizioni sul retro della croce interna; infatti sono nominati due imperatori, cioè Costantino VII detto il Porfirogenito e il figlio Romano II. Costantino VII era più un teorico e un amante delle arti che un guerriero, che inviava messi alla ricerca di manoscritti antichi, e ne era committente lui stesso. I frammenti sono contenuti al centro, il resto della croce è in legno di sicomoro (nominato nel Vangelo di Luca). L’oggetto è montato su argento dorato, con pietre preziose, l’iscrizione cita “ricchezza e splendore” e l’uso di “belle gemme e perle” per glorificare la divinità. Più l’oggetto era ornato e prezioso, maggiore era il tributo alla divinità.

La stauroteca con coperchio a scorrimento

Come potete vedere sempre nella seconda immagine, i sono degli sportellini laterali dove Basilio fece inserire ulteriori reliquie. Gli sportelli aprono tutte le dieci placchette, che hanno ognuna un’iscrizione in greco, e che contengono: reliquie della Passione, della Vergine, di Giovanni Battista.

Parte anteriore del coperchio

È di argento dorato e decorato con smalto cloisonné (i “cloison” sono come degli alveoli risultanti dall’intersezione delle lamine), molto rappresentativo di Costantinopoli. La lavorazione richiede una perizia tecnica notevole: si prende la placchetta metallica, si traccia col punzone la sagoma voluta, che servirà all’esecutore come puntinatura-guida. Si prendono delle listerelle di metallo, le si applicano in verticale e poi si va a colare gli smalti a temperature elevate. Nel bordo ci sono santi militari e santi vescovi. Ecco qua un esempio di un personaggio in smalto cloisonné, che però non è della stauroteca, purtroppo non sono riuscita a trovare altre immagini più dettagliate.

Parte retrostante e bordo perimetrale

Qui si è usata una tecnica a sbalzo sull’argento dorato: si sbalza dall’interno verso l’esterno. Si tratta di una croce gemmata o fiorita, dai gradini della croce partono degli elementi vegetali che strizzano l’occhio alla produzione dell’Estremo Oriente e che ci confermano il rapporto tra Bisanzio e la Cina, ma molto stretto all’epoca.

Fantastico oggetto, vero? Naturalmente questi manufatti così preziosi erano gelosamente custoditi dai committenti, e venivano mostrati soltanto a personaggi di riguardo che erano in visita. Siccome uno dei miei personaggi si reca a Costantinopoli, sempre nel mio romanzo in lavorazione “Il Tempio di Salomone”, ho pensato che potrei inserire un oggetto simile, che viene mostrato in una delle scene.

Se volete leggere un articolo più dettagliato ancora sulla stauroteca di Limburg, vi rimando al sito “Reliquiosamente” a questo link.

 

4. Il soffitto ligneo della Cappella Palatina di Palermo (1130-1143 ca.)

Concludiamo la nostra breve carrellata in Italia, e nello specifico in Sicilia, con un luogo magnifico, che probabilmente già conoscerete per averlo visto in televisione, o magari per averlo visitato. Sto parlando dell’imperiale Cappella Palatina di Palermo, una basilica in stile siculo-normanno, fatta consacrare nel 1140 da re Ruggero II di Sicilia, e che si trova all’interno del complesso architettonico di Palazzo dei Normanni.

La storia della Sicilia normanna ha origine con la conquista normanna dell’isola iniziata nel 1061 con lo sbarco a Messina, quando essa era dominata da potentati e governatori musulmani, e si conclude con la morte dell’ultima esponente della famiglia degli Altavilla di Sicilia, Costanza, nel 1198. Da lungo tempo desidero visitare la Sicilia, e questo è un luogo da cui non si può prescindere, guardate che splendore di mosaici e raffigurazioni. Qui si rischia la sindrome di Stendhal all’ennesima potenza!

Di tutta questa pièce de résistance vorrei richiamare la vostra attenzione non tanto sui mosaici, per cui occorrerebbero cento articoli di blog, quanto sul soffitto ligneo. Tale soffitto è il prodotto di maestranze islamiche ed è composto da un numero elevatissimo di piccole cellule intagliate nel legno, a mo’ di alveare, che prendono il nome di muqarnas. Già di per sé il lavoro sarebbe eccezionale, ma se osservate da vicino queste cellule, vi accorgerete che esse ospitano figure, motivi vegetali e iscrizioni in caratteri cufici.

Questa è la testimonianza più eloquente dell’incontro tra due culture che continuarono a convivere nell’isola per moltissimo tempo, anche dopo la conquista normanna, e che produssero capolavori come questo. I Normanni infatti erano intelligenti e pragmatici, e si avvalsero dei musulmani e della loro perizia nel campo dell’agricoltura, dei sistemi di irrigazione e, naturalmente, dell’architettura e dell’arte come in questo caso.

Mi auguro che l’articolo vi sia piaciuto e vi abbia permesso di lucidare le pupille, e vi chiedo quale di questi oggetti preferite e se vi vengono in mente altri manufatti “del cuore” (non necessariamente medievali).

Cristina M. Cavaliere

Fonte immagini: Wikipedia e Pinterest