Rieccomi con la seconda e ultima parte della vita e delle opere della scrittrice, poetessa e giornalista Sibilla Aleramo, che ho riordinato e corretto in quanto frutto di appunti di una serie di conferenze tenute dalla dottoressa Vittoria Palazzo, e integrato con alcune parti mancanti. Se avete perso la prima parte, potete comunque rintracciarla qui.

Ci eravamo lasciati con la pubblicazione del suo libro autobiografico più famoso, “Una donna” uscito nel 1906: uno spaccato drammatico della condizione femminile tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, che ha molto da dirci anche ai giorni nostri. L’autrice ci narra la scelta disperata di lasciare il figlio nell’impossibilità di proseguire con una vita di abusi, percosse e umiliazioni che la porterebbe inevitabilmente ad acuire la sua depressione e, forse, a portare a buon fine un suicidio già tentato.

Per quasi dieci anni dopo la pubblicazione del libro, però, Sibilla non scrive più perché impegnata in attività sociali per lei ancora più importanti della scrittura. Ricordo che l’autrice si trova a Roma all’epoca. La sua giovinezza e la sua forza la portano nell’azione diretta; più tardi si dedicherà ancora allo scrivere. Si occupa anche dei poveri che vivono al Testaccio.

 

Nuove città e molteplici amori

Sono anni molto intensi per Sibilla, fatti anche di trasferimenti in nuove città. Si sposta infatti a Firenze, dove è ospite di una famiglia francese, i Louchères; poi va a Parigi, dove entra in contatto con tutto il mondo letterario che orbita intorno alla famosa rivista “Mercure de France” (dove scrive il poeta Apollinaire). Incontra, prima di andare a Parigi, Cardarelli, e nasce una breve storia d’amore molto difficile. Qualcuno disse che Sibilla Aleramo lo aveva rovinato. Collabora alla “Voce”, rivista fiorentina dove scrivono Prezzolini, Papini, Slataper, Soffici, Amendola.

L’Italia ha uno slancio letterario notevolissimo, che purtroppo la prima guerra mondiale interrompe. Il periodo è caratterizzato anche dal movimento futurista, a cui Sibilla aderisce dal punto di vista artistico, ma che non segue più quando diventa interventista. Fra i pittori futuristi c’è il famosissimo Boccioni, il quale si innamora di Sibilla, che lo ricambia. Dopo poco però lui la respinge e Sibilla soffre in modo straziante. Lo scultore Rodin la consola spiegandole come sia assurdo non apprezzare più la propria vita quando un altro essere non ti corrisponde.
L’episodio di Boccioni segna profondamente Sibilla (che ha avuto molti, brevissimi amori, che le hanno immeritatamente aggiudicato la fama di novella Messalina). Queste angosce sentimentali sono causate dalla ricerca di un compagno che sia per tutta la vita, non l’amore occasionale, la passione travolgente fine a se stessa che non incide sull’anima. Lei sa vivere apertamente con sincerità d’animo i suoi sentimenti; nonostante i suoi studi, le meditazioni e i contatti con altre scrittrici, vivrà per affermare “l’arte suprema, la magia vera è l’amore”.
 
 
L’amore totale

Vuole l’amore totale, compreso come intelligenza, sentimento e rapporto emotivo-carnale: la completezza. Ogni volta dunque si illude di aver trovato la persona giusta (Giovanni Papini, Dino Campana, Salvatore Quasimodo, Giulio Parise). L’ultimo dei suoi legami sentimentali dura dieci anni ed è Franco Mattagotta, un poeta di venti anni, mentre Sibilla ne ha sessanta.

Questo desiderio di dedizione totale deriva anche dallo strazio maggiore della sua vita: la mancanza del figlio. Anche nelle sue opere molti critici illuminati hanno ritrovato un eccesso d’amore che è amore materno, il bisogno di circondare di protezione l’essere amato. Contemporaneamente vi è la volontà che porta la sua intelligenza a confrontarsi con un’intelligenza altrettanto alta, e l’impossibilità di accettare un rapporto non completo. Questo suo desiderio fortissimo di trovare l’alter ego, questa speranza di poter raggiungere l’armonia raddoppiata con la persona che ama, non la lascerà mai. L’amore, per Sibilla, non è qualcosa che astrae dal mondo e rende egoisti. Se un incontro simile potesse accadere, si è pronti in due, si esprime raddoppiata la propria luce. Nel libro “Io amo, dunque sono” esprime questa speranza, come pure nelle poesie tratte da “Selva d’amore” del 1912-1914.

 

 

A letto: il bacio di Henri de Toulouse-Lautrec (1892-93)
Collezione privata

 

Le poesie

Nelle poesie di Sibilla Aleramo, composte durante tutta la vita, occorre notare la semplicità del linguaggio, lo stile limpido. Il linguaggio è diretto, privo di qualsiasi arzigogolo letterario, perché non ha fatto degli studi che l’avevano influenzata e perché questo sarebbe stato del tutto contrario al suo carattere. Non sono le persone che devono arrivare al poeta, ma è colui che, ricevuto un dono, lo deve portare a tutti, senza usare una forma presuntuosa oppure ostile. Eccovi qualche esempio.

 

Son tanto brava

Son tanto brava lungo il giorno
comprendo, accetto, non piango,
quasi imparo ad avere orgoglio,
quasi fossi un uomo,
ma al primo brivido
di viola in cielo,
ogni sostegno dispare.
Tu mi sospiri lontano,
sera, sera dolce e mia.
Sembrami d’avere fra le mani
La stanchezza di tutta la terra.
Non sono più altro che sguardo,
sguardo perduto e vano.

Da Momenti (Bemporad R. & Figlio 1921)

Ritmo

Ritrovata adolescenza,
gioia del colore,
occhi verdi di sole sul greto,
scheggiato turchese immenso de l’onde,
biondezza di cirri e di rupi,
rosea gioia di tetti,
colore, ritmo,
come una bianconera rondine
l’anima ti solca.

Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 2004

L’azzurro

L’azzurro striato
di bianche farfalle e
di bianche vele
anche oggi si dilata
su terre d’oro e di verde.
L’amore dilata
il suo azzurro
attorno a dolci isole,
a vele arcaiche,
ride, incandescente,
senz’onda, come il vento,
come l’onda, come il canto
percorso di brividi, sorride.

Vita e arte coincidono

Per Sibilla Aleramo la vita deve coincidere con l’arte, e questa è anche una scelta di stile. Le varie tematiche letterarie per lei sono una sola cosa: la vita. Si può fare della propria vita la letteratura, come si può fare della propria letteratura la vita. Se l’autore dedica tutto se stesso a diventare famoso, trascurando tutto il resto, significa che ha fatto della letteratura la sua vita; oppure se l’autore si mette in posa, perché qualsiasi cosa dica o faccia deve sembrare “scrivibile”, significa che fa della sua vita una letteratura.

Fare arte e vita insieme significa essere sempre sinceri e avere il coraggio di raccontarsi, quindi mettersi perennemente a servizio degli altri, riuscendo da una parte a essere umili e dall’altra a essere orgogliosissimi, in modo quasi dannunziano. Per Sibilla questo è essenziale, data la sua situazione di donna sola e spesso mal giudicata per via di comportamenti giudicati scandalosi. Si tratta di uno stile (arte=vita) che viene seguito anche dalle altre scrittrici, un’innovazione che risale al momento storico e sociale del primo tentativo della donna di parlare. Solo con il Novecento le donne hanno avuto il diritto, contestato, alla parola, non sempre bene usata.

 

Una lunga vita, mia breve arte; in questa stanza d’albergo dove l’ininterrotto rumore dell’arteria cittadina sale a picchiarmi il cervello, che mi pare trasformato anch’esso in cosa di metallo e pietra, penso stamane ad altre stanze consimili, ad altre uguali, infernali baccani, in giorni pure d’estate, lontani; le stesse valigie, con qualche etichetta di meno, posavano su identici sgabelli. Mi tornano alla mente in specie le città settentrionali, forse per la medesima qualità della luce attraverso il merletto delle tende: Torino, Bologna, i giorni che aspettavo, sola, di poter andare a Londra a raggiungere Endimione, che amavo. I giorni, due anni dopo, che aspettavo, sola, se il dramma da me scritto in morte di Endimione sarebbe stato accettato da un grande attore.

L’autrice si riferisce qui alla sua relazione con l’atleta e spadista napoletano Tullio Giovanni Bozza di Napoli, che morirà nel 1922 di tisi a soli trentun anni. Sibilla Aleramo comporrà poi la tragedia “Endimione”, lo stesso nome attribuito al suo giovane amante. Endimione è un personaggio mitologico, un pastore amato dalla dea Selene che, innamoratasi del giovane addormentato, gli avrebbe dato un sonno eterno per poter scendere su di lui e baciarlo. La tragedia, dedicata a D’Annunzio, riscuote successo nella rappresentazione parigina, ma non in quella torinese, dove al teatro Carignano viene fischiata.

 

 

La relazione con Dino Campana

Durante la prima guerra mondiale, e prima della relazione con “Endimione”, però, Sibilla conosce Dino Campana. Il poeta non è al fronte, ufficialmente in cura a causa di una nefrite, ma in realtà perché già era stata diagnosticata la malattia mentale quando era stato in cura nell’ospedale di Marradi nell’estate del 1915. I due sono molto diversi: lei mondana e frequentatrice di salotti, lui schivo e appartato. Il rapporto è assai tormentato, brutale, appassionato e ambivalente. Sibilla Aleramo lo porta anche da un noto psichiatra dell’epoca, il professor Ernesto Tanzi. Anche se non sappiamo quale fu il responso dello psichiatra, quella visita segna la fine del rapporto.

La tribolata storia d’amore tra i due è magnificamente resa nel film “Un viaggio chiamato amore” di Michele Placido del 2002, soprattutto attraverso le loro lettere. Vi sono scene di grande intensità erotica, ma anche di brutalità estrema e violenza. La poetessa è interpretata da Laura Morante, mentre Dino Campana è interpretato da Stefano Accorsi. Se non lo avete visto, ve lo consiglio! Ho trovato qui un trailer che potete visionare per farvi un’idea.

Un’anima inquieta e ribelle

Sibilla è infatti un’errabonda e un’irrequieta, non solo per il suo temperamento e per angoscia personale, ma per un anelito alla ricerca. Ha continuamente bisogno di incontrare, di conoscere, è interessata alla vita. Vuole essere diversa e lo è: ecco quel tanto di esibizionismo che considera in modo positivo. Il dovere per Sibilla è essere se stessa e non mentire: per dominare le proprie passioni avrebbe dovuto mentire. Chi come lei non vuole essere ipocrita o falso, non vuole arrendersi alla vita, non vuole ferire, non vuole morire, patisce in continuazione e un giorno di felicità è lo strazio per anni.

Nei suoi scritti Sibilla dà la prova anche di uno slancio incredibile verso Dio. Molti critici hanno voluto vedere nell’anelito di Sibilla Aleramo all’amore una trasformazione di quello che è l’anelito verso il divino: per lei l’amore era l’unico mezzo per arrivare a Dio. L’amore è universale, ma parte dai due, ed è il primo mezzo sulla terra per superare la negatività e giungere a quella pienezza che permette la trasfigurazione in Dio. Secondo Sibilla, l’unico modo per arrivare alla trascendenza è passare attraverso l’amore, ma anche attraverso lo sbaglio, la sofferenza pagata, la povertà, tutte le lapidazioni che una società può scagliare contro chi ha il coraggio di comportarsi in maniera non anticonformista.

 

Tutta la vita sono stata la refrattaria, la ribelle, oh, ma inerme anima mia, che hai ali, ma non armi, scrissi una volta. La società non mi perdona proprio questo: non mi perdona l’aver io, sola ed indifesa, io, donna, e così condanni implicitamente, se anche in silenzio, il suo modo di essere, le sue corazze, i suoi pugnali, i suoi veleni. Non mi perdona: e si vendica, ed è logico. Cioè, crede di vendicarsi, forte del suo oro, dei suoi statuti, della sua infinita viltà. Se io pervengo, tuttavia, a strapparle qualcosa, gli è che mi contento sempre del minimo sufficiente a salvarmi, a salvare entro di me ciò che gli altri non hanno. E la creatura selvaggia che io sono, quella che si è conservata intatta, malgrado abbia dovuto tante volte discendere alla pianura brulicante e miasmatica, la creatura di libertà e d’altezza, in certi giorni, come oggi, ride, ride, ride; un’ora fa era triste, ora ride, nell’imminenza della lotta, grottesca lotta, per avere un poco di materia da trasformare in essenza. Essenza armoniosa, odorosa, da donare a tutti.

Gli ultimi anni

Quando Sibilla si rende conto che l’amore di un uomo non è sufficiente a colmare l’anelito della sua anima, sa trasferire la sua energia in attività di impronta sociale. Non ha mai preso posizioni politiche precise, nemmeno quando si è iscritta al Partito Comunista; ma quando si tratta di partecipare a iniziative in favore degli oppressi, lei c’è. Quando le danno nel 1933 un sussidio di 1000 lire al mese, è costretta a iscriversi all’Associazione Nazionale Fascista delle Donne Scrittrici e Artiste. In quel periodo Sibilla scrive, va nelle scuole, fa conferenze, sempre portando le sue poesie.

Della seconda guerra mondiale offre delle sensazioni private nel suo diario, e anche descrizioni attentissime, come la descrizione del presunto arrivo degli alleati a Roma, dei bombardamenti, della coda per la tessera. Grazie a Togliatti e ai suoi aiuti non muore di fame.

Muore a Roma a ottantatré anni nel 1960, dopo una lunga malattia. Gli ultimi anni della propria vita sono documentati dalle sue lettere pubblicate in “Lettere ad Elio”, il poeta Elio Fiore. È sepolta presso il Cimitero del Verano di Roma.

 

Nella speranza che questa breve carrellata impressionistica su Sibilla Aleramo vi abbia invogliato a leggere il suo libro e ad approfondire la sua figura, concludo con una poesia che mi piace molto tratta da “Momenti” del 1920:

Sul mare tanto azzurro che par bianco,
che par questo mio bianco stellato vestito,
tu viaggi verso l’isola, viaggi verso me,
giungerai che ancor non sarà sera,
o fiore, o colore, o ardore,
sul mare ancor tutto soave mi protenderò,
e t’avrò fra le braccia
che crederai proseguire con la dolce nave
ancora ancora in eternità d’azzurro.

 

Come sempre sono graditi i vostri commenti e le vostre impressioni! 🙂

Cristina M. Cavaliere