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Il panorama editoriale contemporaneo

L’anno scorso ho assistito a un fenomeno inquietante: non avevo voglia di leggere, al di là dei miei saggi universitari. Ciò derivava dello scombussolamento dei miei ritmi quotidiani e da qualche problema di salute, e in questo modo il grafico delle mie letture è crollato al minimo storico.

Non ho più vent’anni e una vita davanti per leggere, e quindi sto diventando sempre più selettiva con i romanzi o le raccolte di racconti: non leggo perché mossa dalla curiosità per un bel titolo o una bella copertina, o perché si grida al libro del momento, o diffido quando il critico di turno osanna il caso editoriale. Sono diventata come un segugio con i sensi sempre all’erta. Ci sono alcuni titoli che mi incuriosiscono, ma aspetto che il polverone mediatico si abbassi per poterli leggere e anche perché mi piacerebbe avere delle opinioni dal mio circolo di amiche lettrici per non rischiare.

Constato che di rado ho trovato nelle pubblicazioni di narrativa odierna dei libri tanto sbandierati che mi abbiano davvero conquistato se non in opere che abbiano un paio di decenni. Il panorama editoriale pare molto annacquato, con trame e stili sempre uguali per cui non si riesce a distinguere un romanzo dall’altro. Ne ha parlato anche Marina Guarneri in questo post di maggio dal titolo “Scrivono tutti così”. Dove si trova il nuovo Umberto Eco con Il nome della rosa, per esempio? O un’opera come Le correzioni di Jonathan Franzen, oppure l’immenso Espiazione di Ian McEwan? Magari mi sbaglio, ma non ne vedo molti in giro.

Il romanzo da scaffale

Perché un romanzo mi conquisti davvero deve avere alcune caratteristiche di fondo, opinabili finché si vuole, ma deve nutrire la mia immaginazione e accendere le mie emozioni, farmi svoltare su una strada che mai avrei pensato di prendere, tramite le vicende o i personaggi, oppure offrirmi nuovi spunti di riflessione. Detto in una frase, deve lasciarmi delle tracce interiori indelebili. Se poso il libro e non mi rimane niente al di là di qualche ora trascorsa in letizia, e tendo a dimenticare tutto appena dopo qualche mese – eventi e personaggi – mi sembra di avere perso tempo, tempo che si va assottigliando. Vi pare che io sia troppo esigente?

Per questo negli ultimi tempi sto rileggendo i cosiddetti classici, che per me sono come dei vecchi amici che non solo non tradiscono, ma offrono nuovi gioielli nel loro baule (Le relazioni pericolose di Choderlos de Laclos) oppure sto leggendo per la prima volta alcuni classici per cui avevo chiesto qualche suggerimento nel mio post “Il Caffè della Rivoluzione: La variante di Valmont”. E ho fatto tre belle scoperte – non tutti classici, peraltro! – che mi hanno fatto recuperare quella voglia di leggere di tipo adolescenziale, quando non vedevi l’ora di catapultarti sulle pagine per andare avanti, quando si partecipa alle gioie e ai dolori dei personaggi e si trema per la loro sorte, ci si arrabbia e si ride per il buon esito delle loro vicende, ci si sposta fisicamente e interiormente con loro alla scoperta del mondo che li circonda.

Un triplete di bellissimi romanzi

Vi voglio presentare dunque queste tre letture con la loro quarta di copertina e con una recensione conclusa da un aggettivo.

La bambinaia francese di Bianca Pitzorno

Parigi, 1832. In una gelida sera d’inverno, la giovane Sophie sviene per la fame in casa della étoile dell’Opéra Céline Varens, dove si è recata per una consegna di biancheria. È l’inizio di una singolare amicizia tra la ballerina e l’orfana, che grazie a Céline frequenterà la scuola tenuta da un vecchio aristocratico, ammiratore dell’Illuminismo e della Rivoluzione, che tutti chiamano il Cittadino Marchese. Insieme a Toussaint, un giovane schiavo nero orginario delle colonie, Sophie affronterà ogni sorta di pericolose avventure, in Francia e in Inghilterra, per salvare la ballerina dai suoi persecutori e la piccola Adèle, sua figlia, dagli inquietanti misteri di una cupa dimora inglese chiamata Thornfield Hall.


Lo spunto di lettura.
Avevo già avuto notizie di questo romanzo in un post di Luana Petrucci che potete trovare qui. Mi ero segnata il titolo nel mio quaderno delle possibili letture; e, curiosamente, ogni volta che ricercavo romanzi sulla rivoluzione francese in rete, spuntava sempre questo titolo anche se, per la verità, nella trama vi sono soltanto echi della rivoluzione del 1789. Grazie anche alla recensione di Luana – ricordate il circolo di amiche lettrici? – l’ho acquistato e mi sono messa a leggerlo… e me ne sono innamorata.

Lavorare con i personaggi minori. I nomi di Céline Varens, Adèle, Thornfield Hall sono come delle luci molto vivide per i lettori di Jane Eyre di Charlotte Brontë, ma non diranno granché a chi non ha mai letto questo capolavoro. Poco male, perché non è un deterrente. Bianca Pitzorno infatti prende per mano i cosiddetti personaggi di contorno, che poca o nulla voce hanno nel romanzo, come la bambinaia Sophie, ne aggiunge altri, e li fa parlare rendendo loro fisicità e giustizia e rendendoli protagonisti decisivi negli snodi di tutte le vicende. Questi personaggi sono legati da rapporti di affetto e devozione, perché appartenenti a classi sociali basse come la giovanissima bambinaia Sophie, sono schiavi comprati e venduti come Toussaint, oppure considerati equivoci come la ballerina Cécile Varens.

Una nuova prospettiva. Essi si proteggono a vicenda soprattutto nei confronti dei personaggi di maggior rilievo e più potenti a livello sociale, quali per esempio Edward Rochester, il padrone di Thornfield Hall. Nulla a che vedere con l’altero, tormentato ma affascinante uomo in Jane Eyre: nel romanzo di Bianca Pitzorno egli è un odiosissimo manipolatore, un vero personaggio machiavellico, e l’effetto sul lettore è del tutto spiazzante. Nelle prime pagine tenta disperatamente di giustificarlo, per poi cedere le armi di fronte alla sua evidente malvagità. Anche Jane non è rappresentata nella sua luce migliore per chi ha imparato ad amarla nella sua fermezza e indipendenza; quindi occorre superare lo scoglio dell’affezione per immaginarli come creature ex-novo e non gridare al delitto di lesa maestà.

Beninteso, l’intento dell’autrice di non è di criticare il romanzo di Charlotte Brontë, ma di colmare una sorta di ritratto di famiglia dove giganteggiano alcune figure e soprattutto di ribaltare completamente la prospettiva del lettore. In questo senso un esperimento letterario simile è da rintracciare ne Il grande mare dei Sargassi di Jean Rhys dove l’autrice dà voce a Bertha Mason, l’inquietante e folle moglie di Rochester.

Tanti piccoli tesori nascosti. La bambinaia francese contiene inoltre numerose chicche come rimandi letterari che il lettore avveduto si divertirà a scovare. Larga parte del romanzo è ambientata nella Parigi nel 1832, e quindi i riferimenti all’ambiente delle banche e della finanza con figure di speculatori in irresistibile ascesa richiamano la grande epopea di Balzac, mentre la ricchezza dei quartieri più chic in contrapposizione alle periferie di operai, sarte e portinaie ricorda le grandi descrizioni de I miserabili di Victor Hugo. Il fatto di amare Parigi e vederla descritta così bene sia negli esterni che negli interni mi ha fatto andare in un brodo di giuggiole, ma al contempo sono molto esigente e quindi la mia gioia è stata doppia.

Lo stile dell’autrice. Bianca Pitzorno è un’autrice di libri per l’infanzia, e questo è evidentissimo nella sua scrittura: limpida, semplice e mai banale. Sì, perché i bambini sono lettori esigentissimi, e non perdonano mai illogicità, confusione e scritture dal tono compiaciuto (una per tutte: L’apprendista delle Fiandre di Dorothy Dunnett, che avrei lanciato fuori dalla finestra dopo quaranta pagine). Quindi, essere abituata a scrivere per bambini e ragazzi per me è un pregio.

Giudizio: INCANTEVOLE.


Novantatré di Victor Hugo

 

“Novantatré” (1872), dedicato all’anno del Terrore, conclude il dialogo che Hugo aveva intrattenuto per tutta la vita con la Rivoluzione: nuova barbarie o nuova età dell’oro? Immenso affresco storico, questo romanzo è anche la storia di tre “caratteri” scolpiti con stupefacente maestria: Lantenac, l’uomo del re e dell’onore antico; Cimourdain, genio austero e implacabile della Rivoluzione; Gauvain, aristocratico nipote di Lantenac, passato al popolo. Sullo sfondo del grande dramma collettivo e personale, la folla di “spiriti in preda al vento” che hanno cambiato la Francia e il mondo, veri protagonisti di questa formidabile raffigurazione dalle tinte infuocate, in cui buoni e cattivi, torto e ragione sono mossi da quell'”enigma della storia” che tutti e tutto trascende.

Rivoluzione francese, mon amour. A dirla tutta ignoravo l’esistenza di un romanzo sulla rivoluzione francese, nientepopodimeno scaturito dalla penna di Victor Hugo il grande. Nelle note a pie’ di pagina addirittura si menziona il fatto che l’autore riteneva più importante questo romanzo rispetto al suo capolavoro I Miserabili, al punto che intendeva intitolarlo Gli Inesorabili per una sorta di continuità. Questo romanzo mi è stato suggerito nell’ambito di un commento al post da parte di Filippo, alla mia richiesta di avere suggerimenti per romanzi storici di vaglia. Il titolo si riferisce al 1793, cioè l’anno del Terrore e quando la Francia vive il momento più drammatico della sua tempesta rivoluzionaria, e deve fronteggiare innanzitutto gli eserciti di mezza Europa che passano di vittoria in vittoria. Il pericolo maggiore proviene però dalle rivolte interne, in primis una serie di conflitti scoppiati in Vandea, che si tradussero in una vera e propria guerra civile tra gli abitanti della regione (i “bianchi”) e le truppe inviate da Parigi (i “blu”), se non, secondo alcuni storici, in un genocidio.

La Vandea in fiamme. Tale regione della Francia è situata in un punto altamente strategico, come potete vedere dalla cartina Wikipedia. Si tratta di un dipartimento affacciato sull’Oceano Atlantico e un ottimo punto di invasione per una flotta inviata dall’arcinemica Inghilterra.

La Vandea e la Bretagna insorsero per un insieme di motivi tra loro inestricabili, quali la leva obbligatoria di 300.000 uomini da mandare al fronte, il che avrebbe sottratto braccia ai lavori dei campi, una ben radicata devozione nei confronti della monarchia (il re era stato appena ghigliottinato nel gennaio dello stesso anno, e veniva considerato un martire), e lo sgomento di fronte alla crescente distruzioni di liturgie e simboli religiosi cattolici. Il contadino vandeano combatteva con un attrezzo da lavoro in una mano, o un fucile, e un rosario nell’altra. Nel dipinto qui nei paraggi potete vedere Jacques Cathelineau, uno dei capi delle rivolte vandeane con il rosario sul panciotto.

Le guerre di Vandea si tradussero in un’autentica guerriglia, combattuta tra le profonde foreste che offrivano nascondigli e rifugi perfetti ai vandeani, che conoscevano a menadito il territorio: alberi cavi dove si dormiva in piedi, tane scavate sotto le radici degli alberi, passaggi dove i rivoltosi si muovevano in assoluto silenzio. Addirittura, come narra Victor Hugo nelle sue sontuose pagine, boschi e foreste celavano delle vere e proprie “città” sotterranee; e queste al contrario costituivano delle autentiche trappole per i soldati della Rivoluzione che erano stati mandati lì per reprimere le rivolte.

I personaggi di “Novantatré”. Quello che mi ha colpito sin dalle prime pagine è che, a differenza de I Miserabili dove c’è una commistione di genere, come si direbbe ora, si tratta di un romanzo molto “maschile”; anzi, direi che è un romanzo “maschio”. Però anche qui ci sono dei colpi di scena non da poco. Esemplificativa è la primissima scena del romanzo, ambientata proprio in mezzo alle foreste dove un battaglione di circa trecento soldati repubblicani si muove con circospezione, e trovano una povera donna con tre bambini molto piccoli, la più piccola ancora attaccata al seno. A Michelle Flecard hanno ucciso il marito, ed è fuggita dal suo villaggio in fiamme: è una donna quasi più simile a un animale, non conosce il mondo oltre i confini del suo paese, e non sa perché le persone si stiano massacrando e senz’altro non sa nulla di politica. I repubblicani decidono di prenderla con loro, nella truppa c’è un’altra donna – una vivandiera – e di adottare i tre bambini come figli del battaglione. Questa scena non a caso è posta nell’incipit, non è una scena per dare colore, ed è da tenere bene a mente nel proseguo delle vicende.

I tre protagonisti maschili menzionati nella quarta – Lantenac, Cimourdain, Gauvain – sono delle figure umanissime e nello stesso tempo sono quasi dei paradigmi per l’ideologia che le muove. Imparerete a scrutare nei loro cuori, che sono come abissi. E non potrete fare a meno di innamorarvi perdutamente di Gauvain, il giovane visconte che combatte tra le file dei “blu” per inseguire un ideale rivoluzionario che, forse, si rivelerà un mostro.

Uno stile impegnativo. Chiunque conosca Victor Hugo sa benissimo che è un autore titanico: leggere ogni suo romanzo equivale a sedersi davanti a una tavola sontuosamente apparecchiata e sa che mangerà una serie di innumerevoli portate, una più succulenta dell’altra; e quindi mangerà parecchio, e forse farà fatica a digerire o ad apprezzare tutto quello che gli verrà servito al momento. Dopo una prima lettura si riproporrà una seconda lettura per poter riavvolgere il nastro, magari non subito, esattamente come in un film, e notare il passaggio letto in fretta, il dettaglio che assume un nuovo significato quando si conoscono tutte le vicende, sostare sul dialogo che rivela lo scontro ideologico – dove ho ritrovato molti concetti dalle lezioni di dottrine politiche, ammirare le descrizioni, di grande afflato romantico, del mare in tempesta, della foresta sotto la luna, di un castello in fiamme.

Hugo alterna infatti scene tratteggiate in maniera molto secca e con dialoghi brevi e incalzanti, quasi con piglio cinematografico, a pagine densissime con elenchi e lunghe digressioni, per esempio la descrizione della Convenzione nazionale (una sorta di Parlamento monocamerale) o il Comitato di Salute Pubblica (l’organo esecutivo di emergenza della rivoluzione). Quello che mi sbalordisce ogni volta è constatare come questo autore enciclopedico potesse scrivere opere così vaste con l’ausilio di libri cartacei, della sua memoria e della penna; e, siccome ebbi modo di visitare la sua casa a Parigi, di constatare con ancora maggior stupore come egli scrivesse in piedi davanti al suo scrittoio questi suoi monumentali romanzi.

Giudizio: GRANDIOSO.


Via col vento di Margaret Mitchell

 

«Penserò a tutto questo domani, a Tara. Sarà più forte, allora. E troverò un modo per riconquistarlo. Dopotutto, domani è un altro giorno.»

Rossella O’Hara è la viziata e capricciosa ereditiera della grande piantagione di Tara, in Georgia. Ma l’illusione di una vita facile e agiata si infrangerà in brevissimo tempo, quando i venti della guerra civile cominceranno a spirare sul sud degli Stati Uniti, spazzando via in pochi anni la società schiavista. Il più grande e famoso romanzo popolare americano narra così, in un colossale e vivissimo affresco storico, le vicende di una donna impreparata ai sacrifici: la tragedia della guerra, la decimazione della sua famiglia, la necessità di dover farsi carico della piantagione di famiglia e di doversi adattare a una nuova società. E soprattutto la sua lunga, travagliata ricerca dell’amore e la storia impossibile con l’affascinante e spregiudicato Rhett Butler, avventuriero che lei comprenderà di amare solo troppo tardi…

Il film del 1939. C’è poco da aggiungere su questo romanzo potente, se non che è un capolavoro letterario… e che sono arrivata a leggere un centinaio di pagine, quindi per onestà intellettuale ammetto di averlo “appena iniziato”. La storia fu resa nota grazie al film del 1939 diretto da Victor Fleming e prodotto da David O. Selznick, e che ha come protagonisti Clark Gable nel ruolo del capitano Rhett Butler, Vivien Leigh come Rossella O’Hara, Leslie Howard nei panni dell’incolore Ashley Wilkes e Olivia de Havilland che interpreta la dolce Melania Hamilton.

Mi dispiace soltanto di non averlo letto prima. In questi casi il film è galeotto, nel senso che se vedi il film ti pare di aver già letto il libro, invece sono due prodotti artistici ben diversi. Pur avendo realizzato il romanzo a meraviglia, di necessità il film non può dilungarsi troppo, e quindi si perde tutto l’ampio respiro del romanzo con lo sguardo davvero onnisciente del narratore, lo sviluppo anche dei personaggi cosiddetti minori, delle famiglie dove Rossella, la protagonista, si trova a vivere, i rituali sociali di un mondo che, dietro le feste, i picnic a base di porchetta, la scelta degli abiti per il mattino o il pomeriggio, e una certa frivolezza, nasconde regole di una durezza d’acciaio.

Un mondo che cambia. Proprio come in Novantatré, mi sono resa conto che anche questo è un

romanzo dove il mondo conosciuto, che sia rappresentato dal microcosmo del paese dove vive Rossella o delle grandi città è destinato a dissolversi e a trasformarsi, insieme con il suo modo di vivere all’insegna di una certa spensieratezza.

Nel caso del romanzo di Hugo era l’antico regime con i suoi caposaldi come la gerarchia tra ordini dove tutti avevano il proprio posto dalla nascita, il concetto di monarchia divina, la disuguaglianza e il privilegio di secoli accreditati dalle consuetudini. In “Via col Vento” è la Georgia, uno Stato americano schiavista del Sud, che si batte per il mantenimento del proprio modus vivendi dove il possesso della terra, delle piantagioni e del numero di schiavi rappresentano un sistema iniquo ma che assicura la prosperità economica. La secessione e la guerra civile americana travolgeranno tutto.

Le polemiche sul razzismo. Non mi dilungo sulla polemica che lo scorso anno ha accompagnato libro e film a proposito dei suoi contenuti razzisti, perché in rete ci sono articoli che offrono approfondimenti in questo senso, e anche perché del revisionismo letterario e storico, della rappresentazione purista di un mondo diviso in “buoni” e “cattivi”, senza un minimo di complessità, contestualizzazione e sfumature, ne abbiamo piene le tasche. HBO Max aveva rimosso temporaneamente il film dal proprio catalogo a seguito della levata di scudi dei puristi, per poi inserire un disclaimer avvertendo gli spettatori che aveva contenuti razzisti.

Giudizio temporaneo: IMPERDIBILE.

 

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Bene, ora vi lascio perché devo catapultarmi a leggere Via col Vento. E voi preferite i classici o la narrativa contemporanea? Quali sono state le vostre ultime soddisfacenti letture?

Cristina M. Cavaliere