Giorni fasti e nefasti

Ho imparato varie cose di estremo interesse nello studio della Storia Romana. Una di queste era che i pontefici, cioè i componenti del più importante collegio sacerdotale, custodivano e gestivano i calendari con i giorni “fasti” (da “fas”, cioè lecito, ammesso, possibile perché consentito dalle leggi divine) e “nefasti” (l’esatto contrario).

Gli àuguri, cioè altri sacerdoti incaricati di leggere i segni celesti (e con l’accento sulla ‘a’ altrimenti si potrebbero leggere come gli augùri di buon compleanno) contribuivano a decifrare la volontà divina attraverso il volo degli uccelli, i fulmini e altri fenomeni naturali. Le assemblee di facinorosi tribuni della plebe venivano interrotte se gli àuguri proclamavano a gran voce che il giorno era nefasto, e com’è ovvio molti approfittarono biecamente della cosa. Pensate a che cosa potrebbe succedere se, prima della discussione di un progetto di legge particolarmente contrastato, mi viene in mente il decreto Zan per esempio, si bloccasse tutto perché il dio Marte in salsa salviniano-renziana ha deciso che non se ne fa niente!

I viaggi di Ulisse

Per l’appunto avevo la sensazione che l’esame di Storia Romana, incombente insieme con Letteratura Italiana, fosse gravato da auspici negativi e io disperavo che arrivasse finalmente il giorno in cui avrei potuto darlo in presenza vista la sua complessità e l’incertezza causata dalla pandemia. Avevo già tentato di darlo nel mio abortito tentativo di dicembre di cui vi ho raccontato, e ora bisognava approfittare della zona bianca.

Ragionavo sull’opportunità di farlo slittare alla fine di tutti gli esami, anche se avrei dovuto rifrequentare il corso, oppure comprare altri libri come non frequentante in quanto i materiali cambiano da un anno accademico all’altro. E avevo già comprato, letto e studiato parecchi libri in più. In breve, era da un anno e mezzo che mi trascinavo questo gigantesco esame appeso a una gamba e senza riuscire a concludere niente.

Mi sentivo sempre più simile all’eroe Ulisse che, dopo la guerra di Troia, tenta inutilmente di tornare a casa. Che cosa era successo, infatti? Avendo sfidato la collera di Poseidone dio del mare, ogni qualvolta si avvicinava alle coste di Itaca il dio gli scatenava contro venti furiosi, lo faceva naufragare e in genere lo sospingeva verso altri approdi. Aveva fatto tappa nella terra dei Ciconi; poi nella terra dei Lotofagi; ero approdato su un’isola abitata dalle ninfe, ed era giunto nella grotta di Polifemo, un gigante con un occhio solo in mezzo alla fronte. Era arrivato nell’isola di Eolo, re dei venti. Era stato risospinto al largo mentre era in vista di Itaca. Aveva fatto visita ai Lestrigoni, altri giganti mostruosi.

Ulisse era giunto poi nell’isola dalla maga Circe, ed era sceso addirittura nel regno dei morti. Rimessosi in rotta, se l’era dovuta vedere con le sirene. Nello stretto di Messina era incappato in Scilla e Cariddi; dopo essere approdato sull’isola, i suoi compagni si erano mangiati le mucche di Elio, suscitando la collera di questo dio che aveva scatenato nuove tempeste. Ulisse si era salvato approdando sull’isola della ninfa Calipso che lo aveva trattenuto per ben sette anni.

Dopo tale soggiorno, era approdato alla terra dei Feaci dove aveva incontrato Nausicaa la figlia del re; alla corte aveva raccontato le sue traversie. Finalmente era riuscito a tornare a Itaca dove aveva sterminato i Proci con l’aiuto del figlio e si era ricongiunto con la moglie Penelope! E io, come un novello Ulisse, sarei riuscito infine ad approdare a Itaca, cioè ad affrontare l’esame, conquistando la sufficienza e arraffando i miei 9 crediti?

Il ripassone

Mi sono dunque premurata di ridedicargli la debita attenzione dopo aver affrontato lo scritto di Letteratura Italiana il 7 giugno ed essermi levata di torno tutto quel po’ po’ di roba (qui il post).

Non c’è niente di peggio, però, che riprendere in mano qualcosa che nella tua testolina consideri chiuso, anche se non lo è. Quello che mi preoccupava maggiormente era l’enorme manuale con mille anni di storia istituzionale, dagli insediamenti nell’Età del Bronzo fino alla caduta dell’impero d’occidente: Storia Romana Editio Maior, densissimo di eventi, battaglie, nomi di consoli, tribuni della plebe, questori, pretori, censori, leggi di vario genere, mappe, legioni, imperatori e dinastie, città, regioni, province, e chi più ne ha più ne metta. Tra l’altro ogni romano che si rispetti era dotato di tre nomi, per esempio Tiberio Sempronio Gracco oppure Marco Tullio Cicerone, e quindi c’è un vero diluvio di gente.

Questo è un modesto aspetto dello spaventoso sforzo mnemonico che un esame del genere comporta. Per quanto mi riguarda mi trovo molto meglio con esami di tipo concettuale, dove posso aiutarmi imbastendo dei ragionamenti e dispiegando la mia eloquenza. E poi non mi ricordo mai le date, ed è davvero imbarazzante visto che studio Storia.

Dopo aver ripassato i quaderni con gli appunti del corso, e il dossier delle fonti (cioè i passi degli storici commentati come Polibio, Tacito, Cassio Dione…) e avendo dei “déjà vu” di non poco conto (santi numi, di nuovo il cursus honorum, i comizi centuriati, le leggi Licinie Sestie, le proscrizioni di Silla, le guerre in Gallia, l’impero dei Parti…), e il libro “Le istituzioni Politiche del mondo romano”, ho cominciato a riguardare tale enorme manuale aiutandomi con riassunti dei capitoli che mi aveva passato un mio compagno, oltre a una gigantesca ricerca iconografica suddivisa in cartelline, per me sempre molto utile. Il tempo che mi separava dall’esame dell’8 luglio è comunque volato, scartabellando e ripassando e senza peraltro dimenticare anche i materiali per l’esame orale di Letteratura Italiana su Vittorio Alfieri.

 

Sì, ma la deroga?

Mi stavo crucciando anche per la richiesta della deroga all’esame, da poter fare in presenza, che avevo inserito con la famosa “app” sullo smartphone. Sulla bacheca della professoressa ho visto che occorreva anche chiedere la deroga scrivendole direttamente “entro e non oltre dieci giorni prima” dalla data dell’esame; mi sono agitata moltissimo dato che avevo superato di un giorno la scadenza e non avevo ricevuto risposta dalla docente. Le ho scritto una mail dove le ho chiesto se avesse ricevuto la conferma della mia richiesta, e ho trascorso il tempo dalla risposta in fibrillazione atriale.

Mi ha risposto molto gentilmente, dicendo che sì, l’aveva ricevuta e per l’occasione mi aspettava in un’aula specifica di via s. Sofia, e anche lì… ho appreso che sarei stata l’unica in presenza! Mio marito ha commentato ironicamente che ormai ero segnalata come la più grande molestatrice seriale di tutta l’università, ma poco mi importava perché ero troppo felice!!!

“Misery”

Alla vigilia degli esami ero molto meno felice, tuttavia. In lingua inglese c’è un aggettivo che rende molto bene il mio stato d’animo di quel periodo, cioè la parola “miserable”. L’italiano “infelice” non è altrettanto efficace, secondo me. Io ero proprio “miserable”, e piena di brutti presentimenti: mi dicevo che un dio collerico mi avrebbe di nuovo preso di mira, venti di tempesta mi avrebbero sospinto di nuovo al largo, sarebbe successo un altro imprevisto, non sarei riuscita a raggiungere la sede d’esame perché sarei scivolata rompendomi una gamba, e altre brutture del genere. Ero proprio nel “de profundis”, e la notte ho dormito malissimo.

Il giorno dell’esame

Finalmente il sole è sorto sul giorno fatidico, ho preso il mio autobus sottocasa diretta alla metropoli e con lo zaino pieno di libri e quaderni per il ripasso e con la consueta confusione in testa. Sono giunta alla sede e ho subito cercato l’aula dopo essermi misurata la temperatura con il termoscanner. I corridoi erano quasi del tutto deserti, al che sono uscita e mi sono seduta nel cortiletto dell’università, su una panchina che era asciutta. Aveva piovuto, ma faceva un caldo terribile e il meteo pronosticava nuovi temporali nel pomeriggio. Ho cercato di ripassare qualcosa, ma ero proprio tristissima, e non potevo certo fuggire dopo aver costretto la professoressa a venire in università apposta per me! Se mi fossi ripresentata al suo cospetto, come minimo mi avrebbe impallinato.

All’ora convenuta sono tornata nell’aula deserta e mi sono seduta in quarta fila accanto alla finestra, sempre immersa nella mestizia. Poco dopo le 9:30 è entrata la professoressa e accompagnata da un’addetta dell’università. Mi ha salutato e si è seduta a un tavolino dove ha disposto il computer, è uscita brevemente raccomandandomi di tener d’occhio l’armamentario. Dopo essere rientrata, si è collegata con i candidati e ha iniziato a fare l’appello generale specificando che l’esame sarebbe stato doppio: la parte istituzionale, cioè il manuale, sarebbe stata fatta dal suo assistente, mentre lei avrebbe fatto l’esame su tutto il resto, cioè gli argomenti visti a lezione e la monografia. Dopo aver fatto l’appello, ha detto che avrebbe tolto l’audio perché doveva fare l’esame “alla vostra collega in presenza”, al che ho capito che me lo avrebbe fatto tutto lei per motivi pratici, il che era ottimo.

L’esame è durato un’eternità, perché mi ha chiesto di tutto e di più.

Da “Le istituzioni politiche del mondo romano”, mi ha chiesto le forme della cittadinanza romana, che sono complicatissime almeno quanto gli statuti delle città. Siccome avevo menzionato le distribuzioni frumentarie, mi ha chiesto le riforme dei Gracchi e loro differenze, che cos’è un senato consulto e che cos’è un senatus consultum ultimum, le guerre giugurtine con relativa data, che ho imbroccato in maniera a dir poco miracolosa.

A un certo punto mi ha chiesto la terza guerra macedonica, e lì ho fatto confusione con la seconda. Non c’è niente da fare, esistono degli argomenti che non entrano in testa, e per me erano le guerre macedoniche: mi ero addirittura disegnata dei fumetti divertenti – dove la Lega etolica diventava la Lega etilica – per memorizzarle con scarsi risultati!

Poi mi ha chiesto la dinastia dei Severi, che mi sono pure simpatici, ma ho avuto un calo di zuccheri e non mi pare di aver spiegato molto bene. Tra l’altro, essendo un po’ lontana, un paio di volte non avevo sentito bene la domanda e ha dovuto ripetermela (avrà senz’altro pensato che soffro di sordità, oltre al resto), la riforma dell’esercito di Settimio Severo con la Constitutio Antoniniana di Caracalla, cioè la concessione della cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’impero. Me la sono cavata bene, ma ho sbagliato clamorosamente la data di un centinaio di anni. Ho dovuto parlare dell’anarchia militare del III secolo, e quindi dell’imperatore Teodosio e della suddivisione dell’impero. Delle fonti viste a lezione mi ha chiesto di spiegare la seduta in Senato con l’imperatore Claudio (di cui mi ha chiesto la data) per la concessione della cittadinanza ai notabili della Gallia Comata, e la relativa Tavola di Lione.

Alla fine mi ha detto che mi avrebbe dato 28, e ovviamente ho accettato. Gli dei mi sono testimoni che se mi avesse dato 18 lo avrei preso al volo. Ero talmente confusa che ero sicura di aver tirato fuori la carta d’identità, ma non riuscivo più a trovarla per metterla via; l’ho recuperata nella cartellina delle fonti dopo aver rovistato disperatamente ovunque (il dottor Freud avrebbe qualcosa da dire su tale episodio). Ho sbagliato a scendere alla fermata dell’autobus a casa, smontando una fermata prima e facendo a piedi un chilometro. Mentre camminavo, o meglio marciavo come un legionario di ritorno dalla campagna militare e con la mia “honesta missio”, ero ancora incredula che, dopo un anno e mezzo di peripezie e patimenti, finalmente 

 
era giunto il giorno fausto, cioè benedetto dagli dei.

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Ora sto ripassando in vista dell’esame di Storia delle Dottrine Politiche di settembre, e al confronto mi sembra una passeggiata. Di una cosa sono sicura: d’ora in avanti sarà un percorso tutto in discesa!

 

Cristina M. Cavaliere