“Leonardo” e “I Medici”

 

La serie televisiva sulla vita del genio rinascimentale Leonardo da Vinci si è appena conclusa con la puntata andata in onda martedì scorso sulla Rai. Questa co-produzione internazionale ha voluto narrare una gran parte dell’esistenza di questa figura straordinaria del Rinascimento a partire dalla sua infanzia fino al 1506. Leonardo (Aidan Turner) si trova a Milano dove viene arrestato perché accusato dell’avvelenamento dell’amica e modella Caterina da Cremona (Matilda de Angelis). Incaricato di indagare sulla sequenza di eventi che hanno portato all’atto criminoso è il giovane e ambizioso Ufficiale del Ducato di Milano, Stefano Giraldi (Freddie Highmore). Se fosse provata la sua responsabilità, o se rilasciasse una piena confessione in tal senso, Leonardo sarebbe impiccato per la morte della donna. E quindi, negli interrogatori, riemergono i ricordi e le memorie del genio a partire dalla sua nascita illegittima dal notaio ser Piero da Vinci…

 

All’epoca avevo visto le due stagioni de “I Medici” e avrei voluto scrivere un post per enumerare la sequela di assurdità e di comicità involontarie sia in termini di casting che di sceneggiatura, anacronismi ed elementi fuori contesto; purtroppo il tempo non c’era stato, anche se l’uscita della prossima stagione mi permetterà di rimediare. Per quel che vale, vorrei ora scrivere la mia modesta opinione su “Leonardo” senza spoilerare in quali termini si risolve il giallo attorno a cui è stata imperniata pressoché l’intera vicenda.

Una Rai di altri tempi

Non è la prima volta che la Rai affronta un mostro sacro come Leonardo da Vinci, il che equivale ad avvicinarsi ai fili dell’altra tensione. Chi appartiene alla mia generazione ricorda “La vita di Leonardo da Vinci” del 1971, dove il ruolo di Leonardo veniva rivestito da Philippe Leroy, di cui potete vedere qui una scena.

 
Il suo genio sfolgorava attraverso le opere d’arte, la progettazione delle macchine, i disegni anatomici e le riflessioni scientifiche, e nello stesso tempo appariva come una figura enigmatica e schiva. La narrazione di questa esistenza straordinaria per genio, e nello stesso tempo inafferrabile come uomo, veniva condotta servendosi di un escamotage: la figura del lettore contemporaneo, il garbato attore Giulio Bosetti, che si muoveva tra le varie scene leggendo i documenti, gli scritti e le testimonianze dell’epoca, quale osservatore invisibile e nostro alter ego.
Era una Rai d’altri tempi e con un andamento televisivo lento, siamo d’accordo, anche se a me non dispiacerebbe che queste nuove fiction assolvessero anche una dimensione educativa; perché imparare qualcosa di attestato storicamente, senza piegare la realtà a nostro uso e consumo, è uno degli obiettivi di un servizio pubblico – a meno che, come si discuteva in tempi recenti, non vogliamo inzuccherare il passato perché troppo turbati dalla sua brutalità. Nella produzione Rai degli anni ’70 infatti la televisione si proponeva di intrattenere e istruire al contempo, dato che non c’erano le opportunità odierne di istruzione e informazione a parte la radio, i giornali, i libri e la televisione. Un buon esempio del calibro di questa televisione era “Non è mai troppo tardi” del maestro Manzi che insegnava a leggere e a scrivere a una popolazione nel dopoguerra dove il tasso di analfabetismo era molto elevato. In questo modo la Rai aveva avvicinato al grande pubblico i romanzi classici attraverso sceneggiati di qualità come “La figlia del capitano”, “I fratelli Karamazov”, “La freccia nera” e interpretati da attori teatrali di vaglia.
 
La fiction “Leonardo”
Veniamo alla fiction dei giorni nostri, poiché nei titoli di coda di “Leonardo” si annuncia che la narrazione è ispirata da fatti reali.
a. La prima faccia della medaglia: l’esistenza stessa di Leonardo
 
L’esistenza di Leonardo non fu per nulla avventurosa. Ebbe una vita irrequieta ed errabonda, come molti del resto, dovendo spostarsi da una corte all’altra per mettersi al servizio dei signori, in un’epoca dove l’Italia era territorio di invasioni e cambi continui al vertice del potere. Uno dei periodi più fecondi fu la sua permanenza alla corte di Ludovico Sforza detto il Moro, signore di Milano, dove ebbe modo di dipingere “L’Ultima Cena”, opera celeberrima che potete vedere sotto. Non sempre la sua Firenze lo comprese e lo apprezzò, e a Roma fu persino accusato di negromanzia. Ci sono delle zone d’ombra mai chiarite, come un’accusa anonima di sodomia nel 1476, insieme ad altri due giovani, quando si trovava ancora a Firenze, che poi fu lasciata cadere. Incontrò personaggi loschi come Cesare Borgia, figli del loro tempo. Tutto sommato, però, non ebbe una vita “sopra le righe” quale fu il caso di Benvenuto Cellini oppure di Caravaggio che si macchiò di omicidio a seguito di una rissa, episodio tutt’altro che isolato; ma fu più che altro uno studioso incessante della natura e della realtà, mosso da un’inquietudine più interiore che esteriore.
L’Ultima Cena di Leonardo da Vinci (1494-1498)
refettorio di Santa Maria delle Grazie, Milano.

 

b. La seconda faccia della medaglia: la storia gialla inventata
Ora, chi non conosce, conosce soltanto a grandi linee, o non ricorda bene la vita del genio fiorentino, dà per scontato l’evento criminoso attorno a cui ruota tutta questa nuova produzione. Secondo le parole dell’attrice che interpreta Caterina da Cremona, infatti, si è voluto aggiungere la storia gialla per rendere più vivace e appassionante la trama, che avrebbe corso il rischio di trasformarsi in una “rottura di palle”.
Per carità, anch’io nella mia attività di autrice di romanzi storici mi sono scontrata più volte con l’esigenza di coniugare le fonti con scene scaturite dalla mia immaginazione, che si possono e si devono inserire per rendere la lettura più piacevole e anche per fare riflettere. Nel mio ultimo romanzo I Serpenti e la Fenice, per esempio, Maximilien Robespierre rivela un volto nascosto molto lontano da quello che ci mostrano le pagine di storia, e soprattutto dalla versione dei suoi detrattori.
Si tratta dell’eterno dilemma dell’autore di questi generi narrativi, che assillò penne ben più eccelse della mia, a cominciare da Manzoni: fino a quale punto è lecito inventare e fino a che punto occorre rispettare le fonti? A questa domanda di solito rispondo: puoi entrare nei cosiddetti coni d’ombra della storia, e inserire tutto ciò che non è stato, ma avrebbe potuto essere tale. In altri termini, bisogna lavorare sulla credibilità delle persone e delle situazioni frutto della fantasia dell’autore, interpretarle in modo preciso e nello stesso tempo offrendo una nuova prospettiva.
Qual è il problema di “Leonardo” allora? Il problema è che un arresto e un’indagine per omicidio sono fatti talmente gravi che sarebbero emersi in qualche modo dalle fonti. Diverso sarebbe stato se gli ideatori avessero attribuito il fatto delittuoso a un allievo, o a un personaggio di contorno, assegnando a Leonardo il ruolo di investigatore. Oppure, per onestà intellettuale, bisognerebbe specificare che la storia gialla è un’invenzione proprio per fugare ogni dubbio e lasciare lo spettatore libero di godersi la fiction (che tra l’altro ho trovato soporifera). O, ancora, invece di intitolarlo “Leonardo” avrebbero potuto scrivere “Le meravigliose avventure del pittore Pinco Pallino”. Ah, già, però il marchio Leonardo è più attraente di Pinco Pallino.
E infatti lo scontro tra questi due aspetti a.b. si fa assoluto negli ultimi venti minuti, come se lo spettatore stesse assistendo a due storie appartenenti a due personaggi diversi, quello reale e quello inventato, che se le danno di santa ragione. La sensazione di scissione del mio io durante la visione dell’ultima puntata è stata totale, divisa com’ero tra l’irritazione per il grado di libertà che si erano presi e l’ammirazione per lo scioglimento della trama gialla che in pochissimo tempo si è fatta frenetica e piena di colpi di scena.
Infiocchettamenti, in ordine sparso 

Come ne “I Medici” ho notato molte edulcorazioni della realtà, e un linguaggio e comportamenti poco plausibili e molto contemporanei – sempre per rendere il tutto più appetibile (fateci sognare!):

. Il casting: al solito mi chiedo perché non scelgano degli attori il cui aspetto fisico abbia un minimo di aderenza storica (come nel caso di Ludovico il Moro, qui = trovate le differenze). Capisco che anche l’occhio voglia la sua parte, ma sarebbe meglio scegliere attori di aspetto attraente, ma più rispondenti alla realtà. E, mi dispiace, ma Niccolò Machiavelli con la barba (e il dito sulle labbra, con aria scaltra e appunto machiavellica :D) non si poteva guardare.
. Le età: Leonardo era un giovinetto quando dipinse nella bottega del Verrocchio il famoso angelo a sinistra ne “Il Battesimo di Cristo”, che potete vedere qui, così bello che secondo Giorgio Vasari il maestro, avvilito, non volle più toccare un pennello. Il suo allievo Giacomo Caprotti, detto Salaì, era un bambino quando Leonardo lo accolse nella sua bottega, mentre i due sembrano subito coetanei. Andrea Verrocchio (Giancarlo Giannini), il maestro che lo prese a bottega, è troppo vecchio.  Nella fiction il nipote di Ludovico il Moro muore da ragazzino, quando invece fece in tempo a sposarsi con Isabella d’Aragona e ad avere ben quattro figli, passando a miglior vita a venticinque anni. Insomma, c’è parecchia approssimazione.

. Società a e mentalità: Molte scene presentano delle situazioni che non sono credibili in una società di fine Quattrocento o inizio Cinquecento. Per esempio la presentazione del quadro “Il Battesimo di Cristo” sembra un vernissage e ci mancavano soltanto i camerieri con il finger food sui vassoi. Addirittura arriva a Firenze Ludovico il Moro – quello che è diventato biondo, e che a quanto pare ha tutto il tempo di farsi un viaggetto – che invita Leonardo a Milano con una frase sussurrata sullo stile “Ti farò un’offerta che non potrai rifiutare” come un nell’imitazione di un mafioso. È noto che fu Leonardo a scrivere poi a Ludovico inviando una sorta di curriculum vitae ed enumerando tutto quello che avrebbe potuto ideare per il signore di Milano, incluse macchine da guerra e fortificazioni. Beatrice d’Este, la moglie di Ludovico, cinguetta in pubblico al marito: “Tesoro!” e lui le risponde con un “Amore mio!”. Nel palazzo di Ludovico Sforza tutti bighellonano nei corridoi mezzi vuoti come se non avessero nulla da fare, e ogni tanto incontrano un valletto con un vassoio e una coppa di vino (avvelenato). In una scena Leonardo bacia in pubblico un attore, che poi si rivelerà una spia dei francesi e verrà giustiziato per questo; tuttavia la sodomia era un vero reato e per questo atto plateale i due uomini non l’avrebbero certo passata liscia.

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Insomma, non voglio fare la saputella come il mio solito, ma potrei continuare ancora a lungo nell’enumerazione di queste stranezze di cui ho perso il conto. Però vorrei chiedervi se avete visto la fiction e che cosa ne pensate.
 
Anzi, corre voce che vogliano girare una fiction su Dante. Secondo me faranno un’avventura di sparatorie e inseguimenti e Beatrice, la donna amata, diventerà una Bond girl, anzi pardon, una Dante girl. 
Cristina M. Cavaliere