Desmoulins ha appena pubblicato alcuni numeri del suo nuovo giornale, “Le Vieux Cordelier”, per criticare il governo e la politica del Terrore. “Sono anche convinto, che presso un popolo che legge, la libertà illimitata di scrivere, in ogni caso, anche in tempi di rivoluzione, non potrà essere sufficientemente protetta contro tutti i vizi, tutti i trucchi bricconi, tutti gli intrighi, tutte le ambizioni.” […] Libertà della stampa illimitata anche in tempi di rivoluzione? Sì, perché non spetta in ogni caso a chi governa indicare al giornalista quello che egli deve censurare nei suoi articoli, dice Desmoulins.
Il furore iconoclasta nella Storia
Ebbene, in questi nostri tempi assistiamo al ritorno di uno dei più ricorrenti e pericolosi fenomeni storici, cioè la distruzione dei simboli della parte avversa. La Storia nel suo andamento ciclico ci offre innumerevoli esempi di “rieducazione” forzata, di messa a tacere, di rigurgiti d’intolleranza, di caccia alle streghe. Per ricordare soltanto i più celebri, posso citare la distruzione delle immagini sacre nella chiesa bizantina nei secoli VIII e IX, delle immagini religiose nelle Chiese cattoliche in Inghilterra ai tempi dei Puritani di Cromwell, i roghi dei libri e delle “vanità” (cioè gli oggetti di lusso e come tali considerati peccaminosi) durante la ierocrazia del frate domenicano Girolamo Savonarola nella Firenze di fine Quattrocento, la mutilazione delle tombe di sovrani ai tempi della rivoluzione francese in una nazione anticlericale, scristianizzata e con la schiuma alla bocca, i roghi di libri scritti da autori considerati depravati nella Germania nazista, la persecuzione e messa al bando di professori, medici, intellettuali, poeti e scrittori nella Cina di Mao, in nome della dittatura dell’ignoranza, la caccia alle streghe (leggi: i comunisti) negli Stati Uniti del senatore McCarthy.
Origine e sviluppo della cancel culture
Questo furore distruttivo ha assunto oggi l’aspetto di un movimento crescente denominato cancel culture o call-out culture originata dai paesi anglosassoni (cultura della cancellazione o cultura del boicottaggio) e che ha varie ramificazioni, più o meno subdole e ipocrite. La cancel culture vuole eliminare o modificare fatti e personaggi storici considerati indesiderabili secondo la sensibilità e la visione attuali; e finisce per provocare delle forme di autocensura negli scrittori e negli artisti.
Ne consegue che si attaccano figure di riferimento del passato isolando un aspetto della loro complessa azione politica (Winston Churchill, Abraham Lincoln), si prendono di mira opere letterarie selezionando soltanto passi controversi e sottraendoli al tempo storico in cui furono scritti e della società che ritraevano (drammi e commedie di Shakespeare, il romanzo “Via col Vento” di Margaret Mitchell). Non vengono risparmiate nemmeno alcune opere artistiche perché considerate offensive per le donne (i nudi di Egon Schiele), le composizioni musicali (le opere di Mozart qualificato come autore “bianco”) o i prodotti cinematografici (“Grease”, tacciato di sessismo e omofobia). Sono stati presi di mira persino alcuni dei classici cartoni animati della Disney come “Lilli e il Vagabondo” o “Dumbo”, dove sono state etichettate delle scene in nome del politically correct (di cui parlerò più avanti).
La cancel culture si è fatta particolarmente massiccia dopo la morte dell’afroamericano George Floyd il 25 maggio 2020, a seguito di un pestaggio della polizia di Minneapolis. In modo particolare negli Stati Uniti vi sono state ondate di legittima indignazione e protesta per evidenziare il gravissimo problema del razzismo e dei metodi brutali della polizia. A seguito di ciò, sia negli Stati Uniti sia in Inghilterra si sono verificati numerosi episodi di iconoclastia volti a rimuovere statue o monumenti considerati simboli di un passato razzista e schiavista, come l’abbattimento della statua di Cristoforo Colombo. Da noi l’episodio più noto è stato l’imbrattamento con vernice della statua di Indro Montanelli a Milano per il suo passato colonialista.
Il volto minaccioso della cancel culture
Fatta salva la sacrosanta legittimità delle proteste per denunciare violenze e abusi (ma, ribadisco, del presente, non del passato) e invocare una società più egualitaria dove si tutelino le minoranze, la cancel culture sta assumendo sempre più un volto orwelliano nelle sue molteplici varianti, proprio come una sorta di virus dell’intolleranza.
La cancel culture estrae un frammento dalla fitta rete di relazioni che lo collegano alle svariate forme di attività culturali, civili e sociali del tempo in cui esso vive, snaturandolo. Prosegue facendo sprofondare ciascun elemento di collegamento nel buio, in modo da vanificare la sua importanza. Successivamente, dà via a una sorta di nuovo assemblaggio che in seguito essa porterà alla ribalta. Ciò che mostrerà a questo punto, infatti, sarà un brandello molto diverso dall’originale, una scheggia deformata destinata a essere osservata secondo un’inusuale chiave di lettura, ovvero quella che non ammette il pubblico dibattito.
Ne consegue che la cancel culture è promotrice di ignoranza – dell’ignoranza di chi non sa e di chi non vuole nemmeno sapere, e non vuole che altri sappiano – perché ostacola l’accesso ai prodotti culturali nella loro interezza, e dunque lo sviluppo dello spirito critico e del libero pensiero. Il risultato di questa operazione è un ingabbiamento del linguaggio e l’intimidazione del detrattore, favorendo soltanto il conformismo. Mira perciò a instillare un senso di profonda colpa per gli errori commessi, che secondo i suoi ideologi sono tutti imputabili a una sola fazione, sottratti come sono a qualsiasi contestualizzazione storica, politica e sociale.
Un parente stretto: il politically correct
La cancel culture è fortemente imparentata con il politically correct in quanto:
1. La prima è l’avanguardia aggressiva, la cosiddetta truppa d’assalto che prende di mira pezzi di cultura, li deforma secondo la sua visione dogmatica e li sottopone a processo con sentenza inappellabile, li etichetta oppure li elimina;
2. Il secondo è la compagine “liturgica” incaricata di dirigere la forma – una forma di solito esitante, neutra e piagnucolosa, all’insegna della contrizione e delle pubbliche scuse – che si appropria di quello che rimane, oppure lo prende e lo livella in modo omogeneo e conformista. (All’inizio di questo articolo ho menzionato il frate domenicano Girolamo Savonarola, il quale si serviva di gruppi di seguaci, solitamente fanciulli, che giravano per Firenze come una specie di squadra della “buon costume”. Tali seguaci venivano detti “piagnoni”, e la nomea spiega tutto).
Molto spesso il politically correct ammanta di un velo di ipocrisia l’argomento del dibattito, e ottiene l’effetto contrario a quello che si propone di fare, o sbandiera di voler fare: infatti, se c’è un pregiudizio, questo rimane ben radicato nell’animo. Il risultato è un appiattimento generale, un mondo senza colori e la perdita di qualsiasi spirito critico.
A Letter on Justice and Open Debate
Nei paesi anglosassoni la situazione si è fatta talmente grave che, nel luglio 2020, ben 150 scrittori – tra cui firme come J.K. Rowling, Margaret Atwood, Salman Rushdie – hanno redatto una lettera aperta diffusa sulla rivista Harper’s (A Letter on Justice and Open Debate). Si tratta di una denuncia dell’intolleranza culturale promossa dalla cancel culture e di una decisa difesa della piena libertà di pensiero e di parola. In replica alla lettera aperta di denuncia verso la montante intolleranza promossa dalla cancel culture, alcuni detrattori hanno sottolineato il fatto che i firmatari fossero tutti molto ricchi, famosi e soprattutto indenni da qualsivoglia critica nei loro riguardi.
Peraltro anche il cantautore Nick Cave ha denunciato con grande pacatezza come questa tendenza alla colpevolizzazione – nei confronti di personaggi, aziende o prodotti culturali – sia soffocante per la libertà di pensiero. Si tratta di una tendenza che, a suo dire, rischia di trasformare la società in “inflessibile, paurosa, vendicativa e priva di senso dell’umorismo.” Quale tratto distintivo della cancel culture egli ha parlato apertamente di “mancanza di compassione”.
Gli ha fatto eco Rowan Atkinson, meglio noto come Mister Bean, che ha sottolineato come un semplice algoritmo finisca per decidere che cosa dobbiamo vedere o meno in rete. Nel mio modesto orticello, io stessa ho sperimentato la dittatura dell’algoritmo che ha giudicato per ben due volte il mio booktrailer “Il Pittore degli Angeli” come avente contenuti non adatti ai minori per il semplice motivo che vi sono dei nudi femminili e maschili dell’artista Tiziano Vecellio.
E in Italia come siamo messi?
Forse sono troppo pessimista, e questo movimento integralista si sgonfierà come una bolla di sapone, o comunque non approderà sulle nostre coste. Però il giornalista Pierluigi Battista ne ha parlato a più riprese con grande senso di allarme. Il 4 aprile 2021 Ernesto Galli della Loggia ha pubblicato l’articolo “Il nostro delirio suicida. Processare il passato”, dove ha saldato questo “movimento della negazione” ad alcuni elementi: la mera ignoranza della Storia per cui non si ricordano nemmeno i fatti più recenti, per non parlare di quelli più antichi; la progressiva emarginazione delle materie storiche nei curricula scolastici; la giurisdizzazione continua (cioè il voler ridurre qualsiasi ambito alla revisione in nome del diritto puro). Anche Alessandro Piperno in un articolo del 6 aprile 2021 ha difeso a spada tratta Philip Roth, giudicato misogino nella sua produzione letteraria.
Peraltro la cancel culture non è di stretta pertinenza di una destra tipicamente trumpiana, ma viene invocata, oltre che dai nostri sovranisti, anche da un’ideologia di sinistra “giacobina” e intransigente, per riprendere lo scorcio nella mia introduzione. Essa tende a suddividere il mondo in due grandi blocchi manichei di rivoluzionari e controrivoluzionari: o sei con me o sei contro di me, e ogni forma di dissenso è morto. Amen.
La Storia alla pubblica gogna
I processi storici sono fenomeni evolutivi che attraversano i secoli, per non dire i millenni, e ogni espressione politica, sociale, artistica; e non occorre essere uno storico professionista per comprenderlo. La Storia si segmenta a livello temporale soltanto per poterla studiare meglio, ma è come un fiume di volta in volta impetuoso o lento, ma che si muove sempre, e in cui siamo pienamente immersi.
Gli storici analizzano le fonti, le contestualizzano, le dibattono anche in modo acceso, ma in genere senza dare giudizi di valore se non nel loro privato (proprio per non costruire fazioni e contrapposizioni sterili che non aiutano). Quante volte sono letteralmente “saltata sulla sedia” leggendo come venivano – e vengono – trattate le donne e gli omosessuali, dei roghi e delle torture in nome della fede, dell’antisemitismo e delle persecuzioni, dello spaventoso fenomeno della schiavitù, della miseria e tutto il campionario di cui la Storia umana è abbondantemente provvista! Ma comprendere, o almeno sforzarsi di farlo senza ergersi a giudice, dovrebbe essere buona norma.
Misurare la Storia con l’ottica del presente è dunque un errore gravissimo, perché quello che era perfettamente concepibile in un’epoca può non esserlo più oggigiorno, così come i nostri pronipoti potrebbero inorridire davanti ai nostri usi e costumi. Proviamo a pensare: come ci “giudicheranno” i posteri nell’apprendere che mangiamo carne animale? Potremmo essere tacciati di cannibalismo?
Cerchiamo di migliorarci nel presente, e non mutilando il passato; anzi, partendo proprio da quest’ultimo. Rispettiamo il prossimo e le altrui opinioni evitando offese e insulti, rappresentazioni stereotipate, irrisioni rispetto alla razza (concetto che peraltro non esiste, biologicamente parlando), all’aspetto fisico, alla disabilità o al genere. Questo è il vero punto di partenza, non un revisionismo pericoloso, prosciugante e dogmatico.
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John McDermott, Those People We Tried to Cancel? They’re All Hanging Out Together, su The New York Times, 2 novembre 2019.
What It Means to Get ‘Canceled’, su www.merriam-webster.com.
Che cosa è la cancel culture, al centro di un grande dibattito sulla libertà di espressione, su Il Riformista, 14 luglio 2020.
Louisa Shepard, Cancel culture on the silver screen, su Penn Today, 23 luglio 202
Nick Cave e gli altri: quando il politically correct è “la più infelice delle religioni”, su L’HuffPost, 17 gennaio 2021.
A Letter on Justice and Open Debate, su Harper’s Magazine, 7 luglio 2020.
A More Specific Letter on Justice and Open Debate, su www.objectivejournalism.org, 10 luglio 2020.
Alessandro Piperno, Philip Roth perché lo difendo (e difendo la letteratura, su La Lettura, Corriere della Sera, 6 aprile 2021.
Tocchi un argomento complesso e comunque di grande attualità, che è difficile affrontare nel breve spazio di un commento.
Personalmente trovo che in alcuni atteggiamenti ci siano delle esasperazioni assurde che talvolta sfociano nel ridicolo.
Il problema è appunto l'ignoranza della Storia. Tra i personaggi messi alla gogna di recente negli USA, c'è anche l'autore della dichiarazione di indipendenza Thomas Jefferson perché in alcuni suoi scritti aveva giustificato lo schiavismo. Si tratta di una posizione che certamente diminuisce lo spessore intellettuale dell'uomo, incapace di vedere oltre la mentalità della sua epoca; però, appunto, la schiavitù era una "normalità" a quei tempi, quindi era più plausibile che un uomo vissuto a quei tempi la trovasse normale e che avesse magari anche dei pregiudizi sulla gente di colore. Questo aspetto non va né dimenticato né minimizzato (lo scopo della Storia è proprio mantenere viva la conoscenza del passato) però, avrebbe senso rimuovere la sua immagine scolpita sul monte Rushmore? Avrebbe senso eliminare dai testi scolastici la sua dichiarazione di indipendenza?
Questi sono gli aspetti seri del discorso. Ma ci sono anche situazioni che vanno ben oltre la soglia del ridicolo. Non se se sai che la J. K. Rowling è stata massacrata sui social dai soliti "guerrieri della (malintesa) giustizia sociale" perché si è permessa di esprimere il suo fastidio nei confronti di un quotidiano inglese che anziché utilizzare la parola "donne" ha utilizzato la perifrasi "persone che hanno il problema delle mestruazioni" (perché sai, nella situazione altrettanto intricata e grottesca che è stata montata attorno al "sesso di appartenenza" qualcuno ha ritenuto che la parola "donna" potesse essere discriminante in quanto non contemplava chi è nato biologicamente uomo, ma si sente donna, però ovviamente non ha le mestruazioni…) Insomma, apriti cielo, per aver detto che ha trovato ridicola quella perifrasi e inoltre anche discriminante verso le donne, si è beccata l'accusa di essere "omofoba", con annesso appello a "non comprare i suoi libri"…
Riassumendo in parole povere: io mi auguro che fra cent'anni il XXI secolo venga ricordato per la sua ridicolaggine. Perché se invece verrà ricordato come "il secolo che ha aperto la strada alla giusta visione del mondo" saranno guai enormi per il futuro dell'umanità.
Il tema è molto complesso e hai pienamente ragione, Ariano, infatti spero di offrire un punto di partenza per ampliare il ragionamento proprio con l’aiuto dei vostri interventi, che potrebbero dare lo spunto per altri articoli. Come dici, tutto parte dall’ignoranza della Storia che si vuole semplificare a ogni costo, in primo luogo servendosi delle reazioni di pancia e dell’ignoranza delle persone. Quest’ultima è una condizione scusabile, in quanto tutti noi siamo ignoranti in qualche campo, a patto che si tenti di ridurre la propria ignoranza colmando alcune lacune di base e non sbandierandola come se fosse un valore; e soprattutto cercando di condurre in porto dei ragionamenti e delle argomentazioni e affinando il proprio spirito critico.
Ora, se viene distrutta, mutilata o deformata la materia prima, decontestualizzandola, si sottrae il diritto all’accesso pieno delle fonti, che vengono proposte in maniera parziale e falsata dai mass media. La schiavitù è un buon esempio, e la figura di Thomas Jefferson è perfettamente calzante: la sua esistenza e le sue scelte possono darci fastidio finché vogliamo, ma Jefferson è un figlio del suo tempo esattamente come noi siamo i figli del nostro; e dirò altro, noi siamo il prodotto proprio di quel passato che si intende abolire o frammentare invece di studiarlo, contestualizzarlo e dibatterlo per poter migliorare e progredire nell’oggi. Nessuno di questi sacerdoti del puro pensiero ha aggiunto che la schiavitù esiste anche ai nostri giorni, e nessuno ha proposto degli interventi in tal senso?
La semantica è un altro campo su cui ci si accapiglia, a mio parere inutilmente. Sì, avevo letto che J.K. Rowling era stata crocifissa perché si era permessa di sottolineare la ridicolaggine di quella perifrasi. Io non penso che si renda un buon servizio alle donne con queste inutili lapidazioni pubbliche, e non mi sento insultata o sminuita se mi si definisce “donna”. Occorrerebbe concentrarsi, invece, sulle molte aberrazioni del tempo presente e le ingiustizie che si perpetrano oggi nei confronti delle donne: per esempio l’orrore delle spose bambine, il non accesso all’istruzione, pratiche patriarcali come la mutilazione dei genitali, il dislivello enorme degli stipendi, la miseria che affligge molte donne. Su tali gravissime questioni bisognerebbe intensificare gli sforzi, anche culturali e proprio studiando il passato, se vogliamo rendere un servizio utile all’umanità e senza pietrificarci su questioni a livello terminologico… che poi si fa il gioco di coloro che non vogliono veramente risolvere tali problemi, e preferiscono distrarre la pubblica opinione parlando di quisquilie.
Partecipo di vero cuore al tuo augurio finale, Ariano!
Mi sembra che ormai si passi da un estremo all’altro, ogni evento va contestualizzato nel suo tempo, per questo la storia deve essere vista nella sua interezza, non possiamo raccontarla togliendo certi termini che possano “disturbare” il nuovo pensiero illuminato odierno (illuminato davvero?). Diventerebbe una distorsione della storia, come se non raccontassimo della Shoa perché sembreremmo irrispettosi degli ebrei…
Penso che i due estremi non abbiano mai fatto bene a nessuno, perché presentano soltanto un lato di questioni che sono molto sfaccettate e complesse. In queste semplificazioni o abolizioni temo che, oltre all’ignoranza, ci sia anche un fondo di pigrizia: “semplificare è bello” come direbbe qualcuno. Perché darsi la pena di leggere e capire quando si fa prima a sforbiciare? E, di questo passo, a furia di buttare a mare, probabilmente della Storia umana non avremmo più niente.
Mi sento di considerare l'attualissimo tema della cancel culture come l'ennesima evidenza di una società ingarbugliata, sempre più confusa e che, non a caso, sta perdendo di vista gli assi concettuali veramente significativi intorno cui programmare il proprio presente e, inevitabilmente, il proprio futuro.
In realtà, intorno a questo tema ruotano molteplici connessioni che restano impossibili da affrontare in un breve commento.
Mi limito solo a dire che la mancanza di conoscenza della storia (e non solo di quella) è purtroppo estremamente diffusa e non si limita ad abbracciare unicamente i ceti sociali più fragili (il problema della scuola salta sempre fuori!). Forse è anche per questo che il proliferare di analisi approssimative, nelle quali le immagini dei protagonisti vengono appiattite, banalizzate, decontestualizzate e manipolate per rispondere al meglio a visioni distorte confezionate ad hoc, incontra grande accoglienza e scalda gli animi di tanta gente.
In questa situazione di caos troviamo buttate lì, soprattutto sui social network (dove tutto trova un'eco enorme e dove una massa sterminata di persone naviga senza strumenti appropriati, senza un paracadute), sia cosucce di poco conto, davvero risibili, che questioni serissime.
Così, alcuni fenomeni vengono esasperati e portati alla ribalta, mentre altri di gran lunga molto più importanti vengono minimizzati e fatti passare nell'indifferenza più totale. Da qui al passaggio successivo di creare e alimentare falsi miti è un attimo.
Ti ringrazio molto per il tuo intervento, Clem. Di per sé ritengo che la stessa espressione “cancel culture” sia un ossimoro, in quanto la cultura aggiunge e arricchisce, e contribuisce a far prosperare un terreno. Infatti il termine cultura deriva dal verbo latino “colere”, "coltivare", e certamente nessun contadino saggio sottrarrebbe semi, fertilizzante, o le proprie cure, ai campi che gli danno la vita. La “cancel culture”, al contrario, inaridisce il terreno e dunque sarebbe più appropriato definirla “cancel movement”.
Decontestualizzare, manipolare, distorcere figure, prodotti o avvenimenti è la stessa operazione di quando si prende un discorso, e si selezionano alcuni passaggi privandoli della loro collocazione, come quando nei servizi giornalistici si presentano alcuni stralci di intercettazioni o si isolano frasi degli intervistati, troncandole dal loro contesto: è chiaro che si potrà far dire tutto e il contrario di tutto, e a chiunque.
A monte spesso c’è una regia intesa a dirigere gli utenti che si muovono, spesso sui social network che hai giustamente citato, e a sciami inferociti, per fare giustizia sommaria, distraendoli dai veri problemi da cui sono afflitti. Si tratta di una tecnica antica come il mondo, che ora viene amplificata dalla facilità e dalla velocità con cui si può lasciare un commento, reagire a un post, linciare virtualmente una persona soltanto perché esprime un pensiero opposto al tuo. In questo modo i social network diventano uno strumento di appiattimento e conformismo, e non più lo strumento utile e democratico che dovrebbero essere.
Questi fenomeni mi sembrano tipici di una società vuota, che ha perso la direzione e non sa più valutare cosa sia importante e cosa no, cosa sia sostanza e cosa forma, cosa sia progresso e cosa sterile rivangare e rivedere. Certo quando saremo noi giudicati dai posteri ci sarà da ridere. Per fortuna non ci saremo. XD
O magari sì, padron Frodo, diceva il saggio Samvise. 😉
Queste manifestazioni sono proprio lo specchio puntuale di un’epoca in cui buon senso e raziocinio non guidano più le nostre azioni. Ci facciamo dirigere dal nostro istinto a reagire d’impeto davanti a qualsiasi cosa ci dia fastidio del passato. Mi piacerebbe proprio avere una macchina del tempo e considerare il nostro secolo alla luce di un’eventuale “cancel culture”!
Eheh, magari ci saremo come diceva il buon Sam! 😉
Questi revisionismi mi sembrano oltre che appiattenti pure pericolosi perchè vorrebbero cancellare fatti che invece dovrebbero proprio essere ricordati e capiti nel loro contesto, per poi evitare di ripetere gli stessi sbagli oggi e nel futuro.
Inoltre, se si studia un personaggio storico mettendone in evidenza luci e ombre, perché non dovrebbe andare bene? nessuno dice di idolatrare nessuno, ma è anzi doveroso avere un quadro d'insieme con tutte le sfaccettature possibili.
Certa gente è proprio pericolosamente ignorante in tutti i sensi.
Infatti se fosse semplicemente una innocua mania, Kuku, ci sarebbe soltanto da farsi una bella risata per la comicità involontaria che emerge da discorsi e linguaggi. Il problema sono i risvolti ideologici che vengono messi in campo da questi revisori e censori. Oltretutto propagandano un’ignoranza che, da sempre, è il primo strumento usato per appiattire e imbavagliare lo spirito critico di una società. Per questo motivo ho scritto "dell’ignoranza di chi non sa e di chi non vuole nemmeno sapere, e non vuole che altri sappiano."
Come disse Camille Desmoulins:"brûler n'est pas répondre".
Quello della cosiddetta "cancel culture" è purtroppo un fenomeno che riguarda molte persone della mia generazione (sono nata nel 94'), le quali si sentono particolarmente ferite nella sensibilità appena vengono messi in luce gli aspetti delle più svariate questioni storiche, quali diritti delle donne, razzismo, colonialismo e chi più ne ha più ne metta.
Molti dei miei coetanei si chiedono: "Perché mai dovrei voler guardare la statua di quest'essere che ha commesso tale oscenità?".
Io stessa ammetto di inorridire appena vengo a conoscenza di fatti realmente accaduti in epoche passate e che sarebbero potuti riguardarmi in prima persona, come ad esempio il fenomeno della caccia alle streghe, le cui dinamiche con cui la pratica si svolse nella storia mi fanno provare una rabbia irrazionale verso determinate istituzioni e mi resta molto difficile "giustificare" il tutto tentando di riadattarlo al contesto.
Tuttavia, credo che l'accettazione del corso della storia per ciò che essa è stata sia una forma di presa di coscienza, poiché nel riconoscimento degli errori di ogni essere umano si trova la chiave della crescita e dell'evoluzione.
A tal proposito, mi vengono in mente un paio di serie tv che ho visto ambientate in epoche passate (una nel 500' di Elisabetta I e l'altra nei primissimi anni del romantico'800'). Aldilà della trama e la bellezza fisica di alcuni protagonisti, ho riscontrato numerosi tentativi di dipingere un passato ideale, fingendo che certe cose non siano mai accadute o addirittura riducendole a pregiudizi e luoghi comuni di poco conto.
Nessun essere umano è mai stato un santo, sebbene alcuni abbiano avuto tale nomina, e credo nella pericolosità della censura in quanto limita l'accesso a qualunque forma di conoscenza e consapevolezza.
Cara Sofia, ti ringrazio infinitamente per aver espresso il tuo parere sul mio blog. Il tuo intervento è molto lucido e articolato, ed è di particolare interesse specialmente perché sei nata nel ’94. Mi ha molto colpito una frase nel tuo commento: “Tuttavia, credo che l'accettazione del corso della storia per ciò che essa è stata sia una forma di presa di coscienza, poiché nel riconoscimento degli errori di ogni essere umano si trova la chiave della crescita e dell'evoluzione.” Ti risponderò dividendo il mio commento in alcune parti.
Per quanto riguarda la rimozione delle statue, la ritengo comprensibile se avviene sull’onda di rivoluzioni o di movimenti popolari che si scagliano contro i simboli concreti dell’oppressione e di una dittatura di cui una popolazione ha sofferto per anni. Mi viene in mente l’abbattimento delle statue del dittatore iracheno Sadam Hussein o di un’altra figura di casa nostra come Benito Mussolini; del resto questa forma di iconoclastia è sempre avvenuta e quindi non c’è troppo da stupirsi. Tuttavia, vorrei aggiungere che abbattere una statua non rimuove il problema che queste figure hanno comportato, e che rimane nella società; e che persino una scultura celebrativa è un prodotto culturale. Anziché abbattere una scultura, sarebbe interessante spostarla dalla vista ma studiarla come opera di propaganda. Lo scopo è capire attraverso quali simboli universali e con quanta enfasi il linguaggio del potere si manifesta, in modo da poter imparare a riconoscerlo. L’acquisizione di questo “know-how” non è per nulla scontato.
Mi è piaciuto molto anche il tuo riferimento alle serie tv del ‘500 e dell’800, che vorrebbero delineare un passato edulcorato. Questo fa dei grandi danni proprio perché grandi temi come la condizione delle donne (argomento attualissimo, a riprova di quanta strada occorre fare) vengono presentati in maniera falsata senza incentivare alcun dibattito sull’oggi.
Sono molto più preoccupata quando si tratta di un’operazione condotta a freddo, a tavolino come dire, perché si esaminano questi prodotti culturali – che siano romanzi, opere d’arte o cinematografiche, traduzioni, o la libera espressione delle proprie opinioni – e si procede con la rimozione di parti di essi, con la categorizzazione oppure con l’epurazione di termini oggi considerati offensivi. Per esempio pare che la traduttrice fiamminga Lies Lavrijsen, in accordo con la casa editrice Blossom Books, abbia omesso il nome di Maometto dalla sua nuova traduzione olandese dell’Inferno per non “offendere inutilmente” i lettori islamici.
Tale operazione di cancellazione astratta comporta alcuni problemi sostanziali che ho appena toccato nell’articolo e che provo ad approfondire:
– chi sono i membri di questa sorta di “comitato di salute pubblica” che si crea di volta in volta, quale autorità li ha legittimati, e sulla base di quali criteri perpetrano la loro azione censoria: selezionare una cosa anziché un’altra è un’azione di tipo politico;
– per quale motivo si va a snaturare qualcosa che è figlia del suo tempo, e che ci indica in maniera puntuale non soltanto un secolo, ma molto spesso anche un evento specifico;
– se il prodotto culturale non mi viene presentato nella sua totalità e nella sua complessità, si lede il mio diritto ad accedere alle fonti e a poterle investigare in ogni piega, in ogni non detto, in ogni zona d’ombra. Voglio poter leggere i poemi misogini del Cinquecento, i romanzi del “razzista” Mark Twain e “Mein Kampf” di Adolf Hitler nella loro interezza, oppure scegliere di non leggerli se non mi interessano.
Ottimo il tuo post, che ci offre uno spunto di riflessione molto importante (mi ricorda un po' quel nostro soffermarci sul color blind casting da me). La damnatio memoriae era in uso anche nell'antico Egitto e nella Roma repubblicana e imperiale. Lì si procedeva a una cancellazione certosina di effigie, nomi, simboli del passato, anche recente. Personalmente mi sono sempre stupita che non ci sia stata una damnatio memoriae del fascismo in alcuni simboli ancora evidenti, almeno quelli cancellabili, come il fascio littorio al termine della rampa di scale che porta al Campidoglio – sotto le statue dei Dioscuri. Oppure l'obelisco del Foro Italico, con tanto di "dux" impresso sopra. Ecco, quelli sono simboli di un passato che non si intende cancellare ma rimuovere da una posizione ancora troppo evidente, troppo invadente anzi.
Stupisce che si attacchino opere celebri del Novecento, come se non fossero sedimentate nella cultura e nell'iconografia del tempo senza polemiche perché accolte nel loro significato più semplice. Davvero pensiamo che Grease sia una storia sessista, se la ricordiamo come un amarcord degli anni Sessanta con tanto di ragazze pon pon e ragazzi che spasimano per loro? Per non parlare della scena finale, la seduzione di Sandy. Che sessismo sarebbe? Ma pure se ve ne fosse, allora dovremmo scatenare una furia iconoclasta su gran parte del cinema e della letteratura di secoli.
Non so, come dicevamo in altro loco, per ottenere lo scopo di portare giustizia, si assumono atteggiamenti estremisti e categorizzanti che non giovano alla "causa", anzi.
Avevo in mente questo articolo da molto tempo, e sono stata incoraggiata a scriverlo sia dal tuo post sul “color blind casting” sia da alcuni amici che hanno voluto esprimere la loro opinione attraverso il mio blog e che hanno letto il mio articolo in anteprima, fornendo consigli e correggendo alcuni refusi ed errori. 😊
La tua menzione dei Romani mi ha fatto venire in mente la dinastia dei Severi quando studiavo Storia Romana. Avevo appreso che l’imperatore Caracalla aveva fatto grattare via l’effige del fratello Geta, e ne ero stata molto incuriosita; infatti avevo trovato il gruppo di famiglia con il povero Geta ormai ridotto a un vuoto pneumatico. Con me queste operazioni ottengono l’effetto contrario, perché oggi mi metterei a cercare ovunque la persona cancellata o altre sue testimonianze, aiutata naturalmente dal web e dalla tecnologia.
Anch’io non ho capito affatto l’attacco a “Grease” così come non ho capito tutto lo scandalo per alcuni cartoni animati della Disney, dove per esempio in “Lilli e il vagabondo” i gatti siamesi sono stati tacciati di irridere gli orientali mostrandoli come infidi e traditori. Nessun bambino ne è rimasto turbato, così come nessun adolescente è stato irritato dalla rappresentazione in “Grease”.
E poi, come dici, se si vuole fare veramente cosa utile si dovrebbe lasciare integra la materia del dibattito, proprio per poterne parlare e discutere liberamente in lungo e in largo.
Sì sì, mi riferivo al tuo commento sotto al post, e al fatto che aveva offerto ulteriori spunti di riflessione! 😀
Ci sarebbe da scrivere almeno dieci altri post! 😉
C'è un sito, Does the Dog Die, che fa spoiler emozionale: fai una ricerca su un film e ti dice se nella pellicola muore un cane o un gatto, oppure sono presenti elementi disturbanti quali ragni, clown, torture… Credo sia abbastanza significativo di una società fatta da individui che sentono il bisogno di essere avvolti in calda e soffice bambagia, piuttosto che affrontare le cose per come sono; nascondere e cancellare, invece di comprendere e cambiare.
E poi, come diceva qualcuno più saggio: "Le streghe hanno smesso di esistere quando abbiamo smesso di bruciarle."
No, addirittura il sito emozionale! A proposito di animali, pensa che avevo letto il seguente resoconto di Franco Nembrini, un educatore. Qualche anno fa aveva gemellato la scuola dove insegna con un liceo russo, da cui avevano ricevuto in dono un orso siberiano imbalsamato. "Le mamme mi obbligarono a spiegare che l’animale era morto per il freddo,” racconta Nembrini. Per non turbare i bambini, così asserivano. Peccato che i bambini, che sono acutissimi, avevano capito subito come stavano le cose, e il giorno dopo avevano detto: “L’ha ammazzato un cacciatore, altro che polmonite."
La dirò in parole semplici: la cancel culture, il politically correct ed anche il colour blind casting (di cui ha parlato Luz) sono fenomeno magari nati in perfetta buona fede, ma pericolosi. Perchè simbolo di una società vuota ed incapace di affrontare davvero le proprie storture. Una inutile forzatura che alla fine sta producendo solamente danni. Parere personale.
E poi come disse qualcuno" Chi non ricorda il passato è condannato a ripeterlo".
Proprio così, Nick, con queste operazioni si rimuove semplicemente il problema (o qualcosa considerato come tale) senza affrontarlo, ma questo rimane e anzi sedimenta nella società; e, inevitabilmente, si ripresenterà. Diffondere ignoranza è sempre pericoloso e molto spesso è un processo guidato dall'alto.
Letto con calma e molto apprezzato, questo articolo. Io, nemica dichiarata del politically correct, uno strumento ipocrita e pericolosissimo, perché costringe ad alterare le cose e le situazioni per non scomodare gli eventuali, giusti, dibattiti sui problemi. Non sopporto tutto questo edulcorare per mettere a tacere, questo stare attenti alle parole per non offendere, non disturbare… Ora, si può discutere su un cartone animato, che ha fatto la felicità di milioni di bambini negli anni settanta o su un film cult, perché gli unici parametri oggi di valutazione sono le comunità LGBTQ (e chi più ne ha più ne metta), che si sentono male rappresentate o le femministe che chissà che battaglie intelligenti si sentono di intraprendere? Trovo tutto assurdo. E questo cancel culture è aberrante: è un atto criminale abbattere statue anche di rappresentanti della storia non più legittimanti, oggi, ma che vuol dire: togliamo di mezzo tutto quello che è stato in virtù di quello che è? Poi sai cosa accade? Che le ribellioni motivate da gesti ingiustificabili, come il razzismo criminoso dei poliziotti che hanno ucciso quel povero George Floyd, si trasformano in antipatiche rimostranze che oscurano il vero problema.
No, Cristina, secondo me, questa nostra è una società senza più freni, una società alla deriva.
Anch'io ho apprezzato moltissimo il tuo contributo, cara Marina, come sempre molto bene espresso e argomentato.
Il politically correct è davvero la quintessenza dell'ipocrisia, la dittatura delle opinioni travestita da buona educazione, la colatura della melassa insopportabile, e quanto di più malsano possa esistere perché questo continuo sforzo di autocontrollo e autocensura non fa parte della natura umana. Tra poco non potremo più aprire bocca senza scusarci a ogni parola detta o scritta per ciò che esprimiamo e per come lo esprimiamo!
E il passato non si può cancellare come vorrebbe fare la cancel culture, è dato una volta per tutte, e tuttavia abbiamo un’occasione inestimabile: quello di poterlo contemplare con uno sguardo retrospettivo di lunga percorrenza, proprio per confrontare i problemi di ieri con quelli di oggi, dibatterli e trovare delle soluzioni. Faccio soltanto un esempio sui matrimoni combinati con spose bambine vendute, violentate e rese madri senza avere avuto il tempo di vivere la loro infanzia. Pensiamo davvero che siano soltanto un problema da “società medievale”? I benpensanti non vedono che si tratta di una questione enorme e drammatica che dobbiamo affrontare oggi. A che cosa serve, in nome del cielo, distogliere lo sguardo?
Non possiamo fare i conti con la storia cancellando i fatti, emarginando le persone e edulcorando quello che è stato, anzi… come qualsiasi problema non affrontato o male affrontato, sedimenta nelle coscienze, e tornerà indietro come un boomerang, sempre più grande e irrisolto. Proprio per questo motivo non si rende affatto giustizia alle persone che continuano a soffrire per ingiustizie e discriminazioni, semmai è vero il contrario, le si danneggia e anche moltissimo. Io spero davvero che questa follia rientri dalle caverne oscure da dove è sbucata, e che non si diffonda nel mondo che, per molti versi, ha già perso abbondantemente il lume della ragione.
Ciao, spero che tu non te la prenda (nel caso cancello subito) ma ho citato e segnalato il tuo post come ricco di stimoli e meritevole di essere riletto qui:
https://wwwwelcometonocturnia.blogspot.com/2021/04/seconde-visioni-1-i-link-da-recuperare.html
Spero che la cosa ti faccia piacere.
Nick, che grandissima gioia e che onore essere menzionata nel tuo blog come post meritevole di rilettura.
Ti ringrazio di cuore e non solo non ti chiedo di cancellarlo (sarei una pazza!) ma vengo subito da te a leggere e lasciare un commento.
Chiedi se questa cosa approderà mai sulle nostre coste? Potrei risponderti che è già successo e che ci siamo già dentro fino al collo. La cancel culture è parte della nostra vita di tutti i giorni e risulta evidente dal nostro modo di comunicare a senso unico. Nella continua fuga dalle opinioni contrastanti, escludiamo ogni tipo di dialogo che invece potrebbe aver senso dal punto di vista storico. Sui social la buttiamo in caciara; dal vivo voltiamo le spalle per evitare discussioni e per non rilevare il nostro pensiero contrastante (semmai ne abbiamo uno tutto nostro). Tutto ciò non fa che alimentare questa tendenza all'isolamento che negli anni ha dato voce a boiate come il politically correct, che è solo una delle tante manifestazioni di un problema molto più generale..
Ti ringrazio moltissimo del tuo commento, TOM! Guarda, sto seguendo un corso universitario online di Storia delle Dottrine Politiche dove vengono presentate le dottrine da Machiavelli in avanti. Il docente, com'è giusto che sia, ce le espone nella loro interezza e complessità senza dare giudizi di valore, ed è molto più che interessante, direi entusiasmante. Nel dibattito e nelle contrapposizioni emergono contesti e situazioni sociali ed economiche in tutta la loro complessità e attraverso i secoli. Mi domando se una materia del genere sopravviverebbe alla mannaia della cancel culture, dato che abbiamo affrontato tutti i teorici del pensiero politico incluso Adolf Hitler.
Oggigiorno invece abbiamo difficoltà nell'argomentare e ci appiattiamo su luoghi comuni e categorie già prestabilite, per paura di offendere con un'opinione che appena si discosti da quella generale. In altre parole, il pensiero critico si va dissolvendo come neve al sole…
Che bello questo articolo Cristina.
È un po che non passo di qua …come stai?
Ricordo che l’ultima volta ti lamentavi della salute…spero tu stia meglio-:)
L’ho recuperato da Nick questo tuo post grazie alla sua segnalazione ( bel l’iniziativa ) come quello di Luz.
Guarda credo ci sia molta correlazione anche con il coulor blind casting al concetto che voglio esprimere e che coinvolge di conseguenza la Cancel culture.
Non si può cancellare la storia …ne mistificarla.
Questo è il concetto base.
Partendo da questo da Luz ho fatto un esempio.
Se decidessi di raccontare attraverso un opera il concetto di schiavitù pensando all’America del 1700 ad esempio e volessi ritenermi libero dagli schemi che mi son stati insegnati.
Perché non posso farlo?
Che ne so magari anche invertendo le etnie ..il colore della pelle.
Nel 2021 posso farlo…che c’è di “scandaloso “ ..posso reinventarmi qualcosa tenendo però in considerazione il momento storico..che è quello reale , quello che conosco.
L’importante è che al pubblico arrivi il concetto di diritto alla libertà come valore assoluto.
Detto questo sono assolutamente contrario alla cancel culture.
Complimenti..mi hai fatto ricordare con questo articolo un po’ Il nome della rosa e anche Fahrenheit 451..buona serata a presto.
Che piacere immenso il tuo commento, Max! Sai che non avevo ricevuto la notifica via mail? Che strano, spero di non aver fatto altre figuracce col non rispondere. 😉
Sto discretamente bene, come spero anche tu, ormai convivo con dei disturbi che però ho scoperto essere molto comuni e diffusi.
Nick ha sempre delle bellissime e generose iniziative, come pure delle belle sorprese.
Ho letto anche del tuo intervento sull'articolo di Luz a proposito del colour blind casting 😊 che hai riportato qui. Mi hai fatto venire in mente una striscia di Zerocalcare che, nel suo solito modo irriverente, contesta proprio le scelte della serie tv "Bridgerton" come non plausibili storicamente. Aggiunge che vale più una puntata di "Grey's Anatomy" per contribuire a una maggiore inclusione mostrando una società multietnica contemporanea com'è giusto che sia, e doverosissimo.
Il problema è proprio l'aggancio storico che deve essere aderente alla realtà, perché in caso contrario si passano dei messaggi distorti. Per rimanere al limitare del tema, ho affrontato proprio questo argomento nel mio ultimo post sulle inesattezze della serie tv "Leonardo" focalizzandomi in special modo nella rappresentazione di una mentalità e di una società non credibili per l’epoca, proprio perché mostrano molta libertà di usi e costumi in generale…
Non è possibile invertire il colore della pelle nella raffigurazione, come proponi e come spero di aver compreso, della schiavitù del 1700, proprio perché non si aiuta nella comprensione di che cosa fu quella mostruosità che fece traffico di milioni di esseri umani, deportandoli in massa. Pensa che, tra l’altro, all’esame di Storia Moderna avevo portato proprio un testo sulla schiavitù, per dirti il mio interesse per l’argomento. Non avrebbe senso rappresentare su una nave negriera schiavi bianchi e trafficanti neri, non trovi? Il rischio ulteriore è passare il seguente messaggio subliminale: “beh, in fondo era la stessa cosa”.
E non avrebbe nemmeno senso tacere, ricollegandomi qui alla cancel culture, che questo traffico fu possibile anche per l’attività di schiavisti africani, e sottolineo africani, che collaborarono attivamente alla cattura dei loro conterranei all’interno del continente per poi trasferirli sulla costa e venderli ai trafficanti bianchi sulle navi. La storia è complessa, e le semplificazioni o le inversioni non aiutano.
Per concludere, ti ringrazio molto del commento. Spero di ritrovarti ancora da queste parti, e ti auguro un ottimo venerdì. 😊
Ciao Cristina 😃
Son contento innanzitutto che stai bene.
Riguardo alla tua risposta …l’ho scritto: devo tenere conto del momento storico..cioè non mistificarlo.
Devo sapere che nel 1700 gli schiavi erano i neri e gli schiavisti i bianchi.
Poi posso reinterpretare la vicenda , che ne so ho pensato a “Radici” invertendo i colori…intendilo come una licenza artistica con lo scopo di provocare una reazione.
Negativa, positiva…boh, per me è libertà di espressione.
Non mi scandalizzerei per questo, al contrario proverei orrore per chi con un opera del genere volesse negare la storia…una presa in giro della schiavitu’ della realtà storica dell’America del 1700.
Ma infatti l’ho scritto , l’importante è sapere che è esistita la schiavitu’ e che al di là del concetto storico ( che nessuno deve mettere in dubbio) posso sbizzarrirmi a inventarmi una storia .
Che allora non sarebbe più storia reale ma inventata ..però lo devo sapere. Culture è indubbiamente qual cosa di negativo.
Penso a chi nega il nazismo ad esempio.
Il Blind casting per me lo puoi “slegare dal fatto storico “.
Non è che uno se va al cinema o a Teatro o attraverso un romanzo deve per forza ricercare la veridicità storica.
Quello che intendo è che non deve aver bisogno di un film o una opera teatrale per conoscere la storia.
In teoria dovrebbe conoscerla già .
Ciao passerò ancora a trovarti.
Buon weekend
Ciao Max, grazie mille per il tuo nuovo commento! 🙂
Provo a suddividere la mia risposta, focalizzandomi sul blind colour casting. Il problema è proprio nel fatto che molti di noi non possono sapere a priori la storia, che è lunga e complicata, e quindi mettere un attore di una certa etnia anziché un altro finisce per confondere le idee e basta. Si rischia di prendere per buono "il pacchetto completo" senza porsi troppe domande – un po' per fiducia, un po' per mancanza di tempo, un po' per pigrizia – proprio per la potenza del mezzo televisivo.
Proprio di recente una commentatrice mi ha invitato a leggere un post su fb di The Darkest Night dal titolo "La storia ai piedi del politically correct" in cui si annuncia che gireranno un film dove Anna Bolena sarà interpretata da un'attrice di colore, e dove ho letto che c'è un giro un Machiavelli nero, oltretutto in una serie tv BBC per bambini che dovrebbe quindi avere finalità didattiche. (Poi in calce al mio commento ti scrivo il link al post, eventualmente se lo vuoi rintracciare o leggere.) Secondo me queste cose non servono e non hanno senso.
Invece ci sono contesti storici dove le mescolanze etniche vanno benissimo, per esempio la società dell'antica Roma e specialmente nell'età imperiale aveva cittadini di tutti i tipi, tutte le lingue e tutte le religioni, proprio perché era multietnica. Addirittura ci furono imperatori che venivano dall'estremità dell'impero, come Settimio Severo che era libico. Quindi: SI Settimio Severo scuro di pelle, e SI sant'Agostino con tratti nordafricani, o anche scuro, perché era algerino. NO Anna Bolena nera.
Se ci sono personaggi di fantasia, va benissimo che siano interpretati come si preferisce: quindi non mi scandalizzo di sicuro se c'è un James Bond o un Arsenio Lupin nero, anche perché sono a noi contemporanei. Però per esempio anche nelle tragedie di Shakespeare mi va benissimo che gli attori siano di colore, proprio perché sono opere "senza tempo", quindi non c'è assolutamente niente di strano nel vedere una Giulietta nera.
Buona settimana! 🙂
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