Il re di Francia Luigi XIV molto probabilmente griderebbe al crimine di lesa maestà. Forse l’audace plebeo che tanto ha osato non rischierebbe la forca, ma un soggiorno in carcere sarebbe il minimo che potrebbe capitargli. La notizia è recentissima, e l’alzata d’ingegno proviene proprio dai cugini d’oltralpe; tra l’altro non da istituzioni qualsiasi, ma da musei noti in tutto il mondo come il Louvre e il Musée Carnavalet.

Mentre il Louvre non ha bisogno di molte presentazioni, meno conosciuto è il Musée Carnavalet di Parigi. Si tratta di un museo sulla storia della città, che non manco mai di visitare ogni volta che vado nella capitale in quanto ha un piano tutto dedicato alla rivoluzione francese con mobili, cimeli, quadri, oggetti, lettere, missive, stampe… insomma per me è una vera festa per gli occhi, il cuore e la mente. Ne avevo parlato nell’ambito di uno dei miei articoli de Il Caffè, dal titolo “Le Musée Carnavalet, uno scrigno di tesori” che, se volete, potete leggere qui. Il museo è stato ristrutturato dopo ben quattro anni di lavori e riaprirà i battenti non appena le precauzioni anti-Covid lo permetteranno.

Nel frattempo, è stata annunciata una novità, in questo caso allineandosi parzialmente alle decisioni prese dal Louvre: le scritte esplicative per quanto riguarda re, regine e secoli saranno indicate con i numeri arabi, abbandonando così i numeri romani. Dunque Luigi XIV o re Sole, che qui potete vedere in un sontuoso ritratto di Hyacinthe Rigaud del 1702, diventa Luigi 14 e il XVI secolo viene semplificato in 16°. Questo perché, come asserisce la direttrice Noémie Girard, “i numeri romani possono essere un ostacolo alla comprensione”.

Vi confesso che qualcosa mi sfugge, e peraltro questa decisione ha innescato numerose polemiche: anziché insegnare o spiegare la numerazione romana, si fa l’esatto opposto, cioè trattarla come se fosse una barriera architettonica e abbatterla onde appianare la strada alla comprensione del pubblico, di cui peraltro faccio parte. Luigi 14 sembrerà dunque la sigla di un taxi, come ha scritto argutamente Gramellini in un suo editoriale, oppure il nome di un ristorante in catena franchising, o al limite un nickname da usare in rete. Volendo, si potrebbe anche creare l’hashtag #luigi14 senza colpo ferire.

La numerazione romana

Ma andiamo con ordine e partiamo dalla pietra dello scandalo, cioè i numeri romani che ci riportano ai tempi della scuola. Potete vedere qui i nostri progenitori in un affresco di Pompei che raffigura un banchetto. Almeno a grandi linee tutti noi conosciamo i numeri romani (I, II, III, IV, V, VI, VII, VIII, IX, X…), e per quanto mi riguarda li ho sempre trovati duri da digerire dato anche il mio amore sviscerato per la matematica: li capivo fino a un certo grado, poi mi confondevo. 

Ecco qualche notizia sulla numerazione romana, che riporto da treccani online e che potete trovare qui se volete leggere la voce per intero:

È sistema di numerazione di tipo additivo e non posizionale, in cui cioè ogni simbolo denota sempre la stessa quantità. Tale sistema di numerazione è tuttora usato per indicare → numeri ordinali e quindi anche i giorni del mese quando essi compaiano in documenti scritti in latino, come quelli dello stato della Città del Vaticano, che ha tale lingua come lingua ufficiale. Il sistema si è evoluto nel tempo e conserva, nei segni fino a 50, l’origine antropomorfa: il dito per l’unità, il palmo della mano a V per il cinque e inclinato a L per il 50, i due palmi delle mani per formare la X del 10. Non è possibile esprimere con tale sistema né lo zero né numeri frazionari o negativi, mentre, nel corso dei secoli, sono stati aggiunti segni di vario genere per poter scrivere numeri di ordine di grandezza maggiore.


Un altro sito molto interessante (Progetto Matematica dell’Università di Bologna, qui il link) ci ricorda che, essendo i Romani soprattutto un popolo di pastori, almeno in origine, contavano le pecore con un intaglio di tacche su bastoni: ogni cinque tacche si faceva una tacca a forma di “V” e ogni dieci una “X”. Poi altre forme vennero introdotte per segnare “50”, “100” ecc. Nel sistema di numerazione romano c’è una novità: la notazione sottrattiva: IV = 4; XIX = 19. La notazione sottrattiva è un residuo della pratica dell’intaglio. Da ciò segue che i numeri sono sempre posti da sinistra a destra in ordine decrescente, peraltro con alcune regole da rispettare. Per i numeri più grandi si dovevano introdurre nuovi simboli: per indicare i numeri di 1000 a 100.000 si ricorreva alla semplice sovrapposizione di una lineetta.

Imperatori, papi e via discorrendo

La numerazione romana fa parte della cultura classica, quindi della cultura europea, ed è impossibile ignorarla. Nei miei studi di storia, ma anche esaminando gli alberi genealogici delle dinastie, mi era balzata all’occhio l’indicazione di I, II, III, IV dopo il nome; per esempio accade nella casata dei Saint-Omer o dei Payns di cui narro nei miei romanzi del ciclo La Colomba e i Leoni, di cui ho trovato in rete un albero genealogico fortemente incompleto, ma molto interessante. 😉 Lo stesso avviene nei romanzi sulle famiglie nobiliari come narrano le vicende degli Uzeda nello splendido I Viceré di Francesco De Roberto, con svariati Giacomo e Consalvo.

Per un senso di continuità, inoltre, e per la nostra somma gioia, alcuni nomi propri ricorrono molto sovente nelle casate europee, per cui in Inghilterra c’è una badilata di Enrico ed Edoardo, mentre in Francia avremo spesso Luigi o Filippo, e quindi ci vuole il solenne numero romano per indicare la successione. Per giunta queste teste coronate erano imparentate tra loro, quindi il tutto risulta molto intricato come potete vedere a colpo d’occhio in questo albero genealogico con le parentele intrecciate nella guerra di successione spagnola, che ho dovuto studiare per l’esame di Storia Moderna. Meraviglioso, vero?

Naturalmente anche per la successione dei pontefici ci vuole il numero romano, dato che la Città del Vaticano è una monarchia elettiva, nel senso che il pontefice viene eletto nel conclave dal collegio dei cardinali riuniti; ma è anche una monarchia assoluta con a capo il papa della Chiesa Cattolica che, dal 13 marzo 2013, è Jorge Mario Bergoglio, regnante con il nome di papa Francesco. Il pontefice ha dunque la pienezza dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. Infatti il papa in carica si definisce come “felicemente regnante”. Papa Francesco non è I, perché è il primo ad avere adottato questo nome pontificale, se ci sarà un altro Francesco sarà Francesco II.

Anche in editoria e soprattutto nei testi universitari, o anche nella tesi di laurea, ci sono casi in cui l’indice e le pagine che lo precedono presentano una numerazione romana. Com’è ovvio i numeri romani si usavano… ai tempi dell’antica Roma, quindi se siete studiosi o appassionati del periodo ve li ritroverete su epigrafi, monumenti, cippi, iscrizioni, tombe e tutto ciò che occorre. Assodato che i numeri romani sono difficili, anzi ostici, e che si usano in contesti ufficiali un dubbio inquietante si fa strada nella mia mente, cioè….

… che sia un’altra forma di “politicamente corretto”?

Eccolo lì che fa capolino il “politicamente corretto”, cioè quel melenso e piagnucoloso livellamento della cultura in nome del rispetto formale di qualsiasi cosa, che in questo caso potrebbe tradursi anche nello smussare o nel rimuovere “ostacoli alla comprensione” per non far sentire le persone ignoranti.

La qual cosa viene avviata da due istituzioni museali che dovrebbero promuovere la cultura, spiegarla, approfondirla, e non livellarla. Sì, perché meno si presentano alcuni concetti, in questo caso i numeri romani, e meno persone saranno in grado di capirli, e quindi l’asticella del comprendonio si abbasserà sempre di più e la materia grigia si attiverà sempre meno. Quindi anziché cercare di saltare in alto, ci troveremo con la pancia sulla sabbia, con il rischio che le mandrie ci calpestino senza fare nemmeno troppa fatica. Altro che “fatti non foste per viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza” del Sommo Poeta Dante Alighieri di cui tra l’altro ricorrono settecento anni dalla morte.

Il rischio è un altro, cioè di comportare una serie di altre decisioni a catena. Se infatti rimuoviamo la numerazione romana dai nomi dei re e delle regine, che è un piccolo ma importante segnale di adeguamento alla massa, perché non togliere qualche altra cosa che ci disturba in quanto ci fa sentire inadeguati? L’elenco degli argomenti potrebbe essere infinito. Insomma tra “cancel culture”, “politically correct”, “colour blind casting” (di cui ha parlato Luana Petrucci del blog Io, la letteratura e Chaplin nel suo interessantissimo articolo qui) e via anglicizzando, e soprattutto abbassando, siamo messi proprio bene. 


Paradossi e speranza

Qualcosa mi fa sperare che non tutto sia perduto, però, alla faccia del Louvre e del Musée Carnavalet. Per paradosso c’è una rivalutazione della numerazione romana proprio nella culturale globalizzata e popolare. Un esempio è il football americano. Guardate questa immagine: non notate niente di strano? Ebbene sì. Dal 1971 il Super Bowl

usa i numeri romani proprio per dare una patina di grande prestigio a questo evento sportivo, evocando le gesta dei gladiatori. Quindi abbiamo attualmente il Super Bowl LV (o 55). 

In alcune serie cinematografiche come Star Wars il regista Lucas ha numerato gli episodi alla maniera romana, così come è stato fatto per Il Padrino di Coppola. Stesso dicasi per il mondo dei videogiochi come Red Dead Redemption oppure Grand Theft Auto. E, se guardiamo sui nostri orologi, da polso, da tavolo o da parete, è molto probabile che vi troveremo i numeri romani che, buttati fuori dalla porta, sono rientrati dalla finestra… o meglio dal quadrante.

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Bene, era mio dovere dare conto di questa nuova assurdità visto il taglio del blog e soprattutto sperare che non venga importata in Italia (o magari sono troppo “purista”). E voi avete notato qualche altro esempio di abbassamento culturale che vi ha dato particolarmente fastidio?

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Per chi vuole approfondire:

Siti:
Britannica

Alfonso Traina, L’alfabeto e la pronunzia del latino, 5a ediz., Cappelli, Bologna 2002
Giulio C. Lepschy, La linguistica strutturale, nuova edizione, Einaudi, Torino 1990

Fonti immagini:
Wikipedia