Protagoniste sono le cosiddette portatrici carniche di montagna, e la storia descrive il loro determinante contributo alle sorti degli alpini in Friuli. Queste contadine poverissime e analfabete abitavano nei villaggi di confine con l’Austria, in special modo a Timau, e aiutarono i soldati italiani a resistere su un fronte posto a 1800 mt d’altezza in vari modi, portando loro medicine, rifornimenti, proiettili su sentieri faticosissimi e a rischio della vita. Erano infatti esposte non soltanto al pericolo di precipitare nei dirupi, ma anche al tiro dei cecchini austriaci, soprannominati “i diavoli bianchi”. Maria Plozner Mentil, madre di quattro figli, fu colpita a morte da un cecchino: le fu conferita la medaglia d’oro al valor militare alla memoria nel 1997.
L’appello del comando italiano
Il romanzo Fiore di roccia inizia nel giugno 1915, quando l’esercito italiano versa in gravissime difficoltà, anche a causa dei numerosi errori commessi dal generale Cadorna. I soldati provengono da altre regioni e non conoscono quelle zone così aspre, impervie e lunari. L’esercito austroungarico già da tempo ha dispiegato i suoi uomini, poiché la Carnia è considerata la porta d’ingresso per penetrare in Italia. A difendere questa porta è un esercito italiano male equipaggiato e gettato allo sbaraglio, una situazione che, ahimè, si sarebbe tragicamente ripetuta nella guerra mondiale successiva su altri fronti.
Esse vengono caricate con pesi che arrivano fino a 40 kg, inerpicandosi per 3-4 ore di cammino sui sentieri, ai piedi soltanto le leggere “scarpetz” con cui sono in grado di far presa sui sassi. “Restiamo soltanto noi donne, ed è a noi che il comando militare italiano chiede aiuto: alle nostre schiene, alle nostre gambe, alla nostra conoscenza di quelle vette e dei segreti per risalirle.” Mentre camminano e salgono, le amiche lavorano a maglia, chiacchierano, pregano.
Agata sono io, siamo noi
La narrazione è svolta in prima persona per bocca di Agata, una delle portatrici, consentendo un maggiore coinvolgimento del lettore. Attraverso il personaggio di Agata, si assiste anche a un’evoluzione nel ruolo stesso delle donne, che da sempre sono soggette all’uomo, dapprima attraverso la “patria potestas” e poi al marito dopo il matrimonio. “Ho pensato che da sempre siamo abituate a essere definite attraverso il bisogno di qualcun altro.” La donna è un bene che passa di mano in mano, e il destino di Agata sembra segnato. Tra l’altro, accudisce da sola il padre infermo.
Per quanto atroce, la guerra è diventata un’opportunità, per lei come per molte altre donne, che andranno a coprire posizioni lavorative in fabbrica, negli uffici, oppure come crocerossine, lavoro, quest’ultimo, osteggiato dalla Chiesa contraria dalla presenza delle donne sul campo perché avrebbero visto le nudità maschili. Molte si emanciperanno e si rifiuteranno di abbandonare le professioni così duramente conquistate una volta terminata la guerra. C’è da notare peraltro che le portatrici erano abituate a essere indipendenti e sole per lunghi periodi tempo, perché gli uomini emigravano dal Friuli ed esse si occupavano di tutto, dalla compravendita sui mercati ai figli e ai lavori dei campi.
La Caporetto delle donne
Un altro aspetto storico della vicenda, adombrato in una frase di Agata sulla necessità di resistere perché consapevoli di che cosa accadrebbe in caso di invasione del nemico, mi ha ricordato il lavoro che, insieme ai miei compagni di università, avevo avuto modo di svolgere in un seminario con una visiting professor di Dundee che aveva svolto il corso sul tema del femminismo, nazismo e fascismo.
Il nostro gruppo di lavoro aveva ricevuto come tema “Sexual violence in WW1” e a me era stato
assegnato proprio il territorio italiano invaso dall’esercito austroungarico dopo la disfatta di Caporetto e la ritirata. Grazie alla mie ricerche, scopersi dati sconvolgenti, anche se purtroppo non sorprendenti. Nelle regioni di confine in Veneto e Friuli, l’esercito occupante si stanziò in quei territori per circa un anno e stuprò numerose donne, all’aperto o nelle loro case, e persino negli ospedali dove si erano rifugiate o dove giacevano ammalate. Molte vennero violentate mentre erano in cerca di cibo per la famiglia: il 1918 è conosciuto come l’anno della Grande Fame. Nessuna fu risparmiata, bambine, adulte e donne anziane. La maggior parte delle violenze avvenne nella prima parte del novembre 1917, ma durarono anche nell’anno successivo all’occupazione con la sostanziale impunità da parte degli aggressori.
Dopo la fine della guerra e il ritiro del nemico, si aprì una commissione nazionale per richiedere un risarcimento per danni (e lesione dell’onore!), anche se poche donne andarono a testimoniare per vergogna o desiderio di dimenticare. Quindi i numeri che emergono dai lavori di questa commissione sono soltanto la punta dell’iceberg. Vi fu anche un aspro dibattito su che cosa fare dei bambini nati dagli stupri. Dalle pagine dei giornali, la Chiesa sostenne persino che l’aborto era un dovere. Ho scoperto la figura bellissima del sacerdote don Celso Costantini che nel 1918 aperse l’istituto San Filippo Neri a Portogruaro per ospitare sia donne incinte sia i bambini frutto dello stupro, e dove ben 327 bambini furono ospitati e allevati là. Anche Ilaria Tuti si è ispirata alla figura di un prete-simbolo realmente esistito, don Floreano Dorotea, per delineare il don Nero del romanzo.
Il “fiore di roccia”
Ritornando appunto al romanzo, e lasciandolo alla vostre lettura per non anticipare troppo la parte narrativa, vorrei menzionare alcune figure che emergono con particolare forza e delicatezza tra le portatrici: Agata che conduce il lettore a vivere la storia con i suoi occhi, permettendogli di provare non soltanto la fatica dell’ascesa, la sensazione di fame attanagliante, la paura della guerra e di un futuro ignoto, ma anche la stupefazione sempre nuova scaturita dalla comunione profonda con la natura: emozioni, intatte, quasi ancestrali. Tra le portatrici, Lucia, la giovane madre che ha ispirato proprio la figura di Maria Plozner Mentil onorata della medaglia d’oro. Nel comando italiano, il capitano Colmar che riconosce in Agata un suo pari grado e che la chiama “fiore di roccia”, il nome della stella alpina. E, non da ultimo l’austriaco Ismar, il cecchino o “diavolo bianco”… il personaggio che riserverà molte sorprese al lettore.
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E voi avevate mai sentito parlare di questa storia? Conoscete altre vicende poco note, magari locali, che meriterebbero di essere raccontate?
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Fonte testo:
Fiore di roccia di Ilaria Tuti – Longanesi editore
Fonte immagini:
tutte le immagini provengono dal sito del Museo della Museo della Grande Guerra Timau, che potete visitare al seguente link: https://www.museograndeguerratimau.com/
Non avevo sentito parlare di queste donne, che sono felice di conoscere grazie al tuo post. Ho cercato il romanzo e ne ho letto qualche pagina. Credo che lo comprerò e potrei segnalarlo alle mie ragazze di terza classe. Grazie a questi romanzi veniamo a sapere di realtà altrimenti sconosciute, ed è incredibile che si debba venire a conoscenza del tutto casualmente di tante realtà locali, che hanno interessato intere comunità, significative.
Chi parla dei civili delle piccole e grandi guerre? Dove sono gli sfollati della Seconda guerra, se non in qualche film ben girato e in romanzi come La ciociara? Chi parla dei civili della Grande guerra, di cui questo romanzo si occupa? Perché i libri di Storia non si occupano di queste narrazioni e ci portano a conoscere fatti ed eventi del fronte, quando invece la guerra non è che un concerto di anime in movimento, un serbatoio di eventi.
Leggerò questo post in classe, Cristina. La storia di queste donne rientrerebbe perfettamente nel nostro percorso di Educazione civica, da quest'anno materia ufficiale nuovamente.
Pensa che ho acquistato questo romanzo dopo aver letto una bella recensione dalle pagine di un quotidiano e una presentazione in tv; di solito non è nelle mie abitudini, ma mi sono fidata del mio istinto. Sulle pagine dei libri di Storia i civili sono "i grandi dimenticati", anche se dal dopoguerra c'è stato un filone di studi storici che ha dato particolare attenzione agli aspetti sociali, i più interessanti. Soltanto attraverso le esistenze di persone ri-narrate si recupera la dimensione viva della Storia, non c'è altro mezzo. In questo il romanzo storico ben scritto, come quello di Ilaria Tuti, ci aiuta.
Per quanto riguarda le violenze sulle donne, come a te anch'io ho pensato a La ciociara, che tra l'altro è un libro di altissimo livello letterario… ma quante vicende dolorose come la sua sono state taciute?
Sono onorata se tu volessi leggere il mio post in classe e concludo dicendo "Evviva l'Educazione civica"!
Ho letto i primi due libri di Ilaria Tuti, questo suo terzo libro mi manca, è un'autrice molto brava e nei suoi romanzi propone sempre storie interessanti.
Molto bella e importante questa vicenda, le donne sono sempre state delle grandi protagoniste della storia.
Di solito non compro a scatola chiusa, ma questo romanzo, come scrivevo a Luz poco fa, mi ha subito interessato. Lo avevo regalato a un'amica, e lei me l'ha prestato invitandomi a leggerlo. E' stato un ottimo acquisto.
Non sapevo di un coinvolgimento così irreggimentato delle donne. Sapevo che avevano fornito aiuto ai soldati, ma pensavo alle retrovie, alla truppe in transito per i vettovagliamenti, non addirittura alla prima linea.
Purtroppo le guerre non sono mai una questione fra eserciti. I soldati sono anche figli, mariti, padri, fratelli, quindi la loro morte è un lutto famigliare in qualche focolare domestico, ma quello stesso focolare domestico può ritrovarsi coinvolto in modo ancor più diretto negli eventi bellici. Mi basta rammentare i racconti di mia zia e mio padre, i suoi nonni morti da civili durante il bombardamento, i suoi anni da sfollato nelle campagne a fare la fame, e poi a scavare in mezzo alle macerie di quella che era la loro casa per vedere se si poteva recuperare qualcosa… La guerra è un orrore che si estende su chiunque, che abbia la divisa o no.
Sì, uno dei molti dati sorprendenti è che queste donne avevano proprio il libretto dove venivano segnati i carichi e i tragitti.
Da sempre, come hai giustamente detto, le guerre non sono soltanto scontri tra due eserciti, ma coinvolgono i civili. Anche un tempo, quando non erano su scala planetaria, erano devastanti per i territori e la popolazioni: basti pensare alla Guerra dei Trent'anni e ai suoi orrori, che sono rimasti nella memoria collettiva europea molto a lungo. E poi il carico di devastazione dei campi, di saccheggi, di pestilenze, di carestia che inevitabilmente portano con sé.
Quando poi i racconti vengono fatti dai nostri familiari, come nel tuo caso, sono ancora più toccanti. Avevo trovato della corrispondenza di una mia zia, deceduta quattro anni fa, in tempo di guerra, ne avevo parlato brevemente anche nel blog. In una lettera c'erano dei ritagli di giornali dopo il bombardamento su Milano, ho provato un'emozione grandissima.
Conoscevo questa storia solo per sommi capi, ma dopo che ne abbiamo parlato avevo già deciso di leggere il libro. Sono sicura che ne valga la pena. Le donne hanno sempre avuto un ruolo centrale nelle vicende della storia, anche se dietro le quinte; in questo caso sono uscite allo scoperto, dimostrando di avere forza, resilienza, coraggio. Grandi donne, davvero.
Il libro è molto valido e poi forse è ancora più interessante per te che abiti in Friuli, anche se sono vicende che finiscono per trascendere le appartenenze geografiche. Molto bello è proprio, come ti dicevo, la descrizione delle montagne e della natura, la forza e la solennità del paesaggio, la bellezza delle sue manifestazioni. Il tutto accompagnato dalla durezza della salita ma anche dalla consapevolezza di avere uno scopo altissimo.
Qualcosa del genere accadde dalla mie parti in Campania durante però la seconda guerra mondiale. Prima i tedeschi durante la ritirata e poi le truppe di liberazione si diedero molto da fare in strupri e violenze varie a scaèito della popolazione civile. In particolare un battaglione di soldati marocchini aggregato alle truppe francesi si macchiò di decine e decine di atti di violenza contro le donne della provincia di Caserta e del basso Lazio, con la complicità ed in alcuni casi il tacito ordine del comando militare francese, fatto di fuoriusciti che desideravano vendicarsi dell'attacco italiano ai confini francesi dei primi mesi di guerra. Solo di recente il consolato del Marocco in Italia si è scusato ufficialmente per quest'atto. Capitava di tutto,ma non sempre questi atti rimanevano impuniti mio suocero per esempio mi raccontava di una famiglia dalle sue parti dove il capofamiglia era riuscito a sventare il tragico evento…beh, i due soldati franco-marocchini che ci avevano provato (o meglio quello che ne restò di loro ) finì in pasto ai maiali e suppongo che ancora adesso le famiglie di quei soldati ignorino il destino dei loro congiunti. Dove c'erano i soldati americani andava meglio, sempre mio suocero mi raccontò che nel suo paese nella provincia di Caserta, una notte un gruppo si soldati americani totalmente ubriachi si confusero scambiando una casa dove c'erano tre ragazze in età da marito per un bordello e per entrare a tarda notte fecero un casino che non ti dico . Non solo quei soldati finirono per buscarle dagli uomini di casa ma il giorno dopo il capofamiglia e sua moglie andarono a protestare alla sede del comando ottenendo non solo le scuse del comandante e l'assicurazione che nessuno li avrebbe più importunati ma anche la punizione dei soldati in questione. Tornando alla prima guerra mondiale e al Friuli….non mi stupisce per niente l'impegno delle donne della Carnia (una zona che ancora oggi è abbastanza selvaggia e che se ci si vuole addentrare bisogna conoscere bene, figuriamoci allora…) dal momento che sono donne molto energiche e decise. Ne conosco parecchie -sempre grazie ai miei suoceri che adesso si sono trasferiti in Friuli- e ancora oggi si raccontano aneddoti sulla Prima Guerra Mondiale.
Piuttosto, se ti interessano figure di donne eroiche ti consiglio di approfondire la storia di Adele Zara che durante la seconda guerra mondiale ad Oriago di Mira (Ve) nascose nella sua casa una intera famiglia di ebrei triestini. Io vivo a Mira e la storia di Adele, una infermiera è ancora popolarissima anche se purtroppo non sempre si trovano fonti scritte su di lei. A quanto pare era una donna in anticipo sui suoi tempi per tante cose. Comunque se t'interessa ecco un link per cominciare ad informarti:
https://www.tramedimemoria.it/giardinodeigiusti/le-storie-dei-giusti/adele-zara-una-donna-piccola-dal-cuore-grande/
Il palazzo Zara esiste ancora, con una targa che ricorda il gesto di Adele e qualcosa me l'ha raccontata anche il nipote di quel dottore che l'aveva aiutata, medico anche lui.
Ciao e scusami la digressione.
Gli atti dei soldati marocchini aggregati alle truppe francesi sono tristemente noti proprio per merito del libro "La ciociara", infatti sono passati alla storia come "le marocchinate". Purtroppo in queste circostanze le donne sono tra le prime vittime, basti pensare a quello che accadde in Jugoslavia durante le guerre recenti. Lo stupro non è più soltanto un atto sessuale violento, ma diventa una manifestazione di potere e dominio degli occupanti per gettare terrore e sottomettere le popolazioni.
E' vero quello che dici che alle volte questi soldati non la facevano franca, purtroppo nello specifico del mio seminario sulla situazione post-Caporetto ho letto che gli uomini che tentavano di reagire per difendere le donne venivano uccisi. Oltretutto erano rimasti in pochi perché appunto la maggior parte era stata arruolata. Quelli che protestavano davanti al comando ricevevano rassicurazioni blande che la cosa non si sarebbe ripetuta, per lo più; ma alcuni ufficiali sostenevano che "i soldati avevano tutto il diritto di 'divertirsi'".
Ti ringrazio moltissimo per il suggerimento sulla storia di Adele Zara, e del link. Sono davvero consigli preziosi, non si finisce mai di stupire nel leggere la storia di queste persone. Altro che digressione, Nick… tu fai sempre tutte le digressioni che vuoi! 🙂 A presto.
Storie a questo livello no, ma sul blog avevo raccontato brevemente la storia della fondatrice della biblioteca di Moncalieri agli inizi del '900.
Grazie mille del commento, Marco. Andrò a recuperare o rileggere la storia, mi pare che mi sia sfuggita.
E poi non viene da pensare che le donne abbiano una forza e un coraggio che gli uomini si sognano! Perché, oltre a fare tutto quello che qui descrivi in modo così puntuale, caricare pesi, salire e scendere affrontando percorsi impervi e pieni di pericoli, dovevano lavorare i campi, accudire i figli, pensare a mantenere la casa… È pazzesco come donne eroine siano state viste solo come “beni da passarsi di mano in mano” o come corpi da violentare. Io resto sempre molto impressionata da storie del genere. Grazie per avermi fatto conoscere una realtà che ignoravo: ho già segnato il libro.
Le donne si sono sempre occupate di tutto a 360° e, fatte le debite proporzioni con la vicenda che ho raccontato, poco o nulla è cambiato. Anzi il carico per le donne è aumentato, perché lavorano fuori casa, MA devono anche occuparsi della conduzione domestica, dei figli o dei nipoti, di mille incombenze, spesso della cura dei genitori anziani. La giornata diventa un macigno da trascinare, o un vero e proprio turbine che esaurisce le forze e senza aiuto dalla loro controparte maschile. In Italia qualcosa è cambiato negli ultimi decenni, per fortuna, ma vedo proprio un diffuso problema culturale e non soltanto generazionale.
Sono contenta di sapere che ti sia piaciuto il post. Come spesso accade nel mio blog, gli articoli che sembrano di minor richiamo sono quelli che attirano più lettori! 🙂 E questo non può che farmi felice.
Non conoscevo la storia delle portatrici carniche, né questo romanzo di Ilaria Tuti, che invece conosco e molto apprezzo per due suoi lavori più recenti: Fiori sopra l'inferno e Ninfa dormiente.
Ciò detto, trovo meraviglioso questo post: bravissima Cristina!
Non avendo sotto mano altri esempi, cercherò di fare una riflessione su questo tema (enorme in verità).
Penso che le guerre siano sempre state una parentesi prima del ritorno al vecchio ordine delle cose, un teatro di ombre in cui le donne hanno assunto ruoli primari che poi sono stati prontamente ridimensionati nell'ottica della retorica del sacrificio.
In particolare, l'Italia della Grande Guerra era profondamente segnata dal codice dell'onore, dalla morale cattolica e dalle teorie della scuola di Lombroso che fornivano appiglio alla reclusione femminile.
Se è vero che, in tutto il mondo, molte donne nel periodo bellico (sia durante la Prima che la Seconda Guerra Mondiale) hanno fatto ingresso in ambiti tradizionalmente maschili (es. nelle fabbriche…) è altrettanto vero che esse sono state vittime di una diffusa visione misogina che le ha prontamente calpestate, dopo averle sfruttate.
Senza eccedere in divagazioni, ricordo solo che in tutta Europa durante la prima guerra la presenza delle donne nell'ambito lavorativo era vissuto dalla classe operaia maschile con angoscia e talora con odio.
Le donne ingaggiate nei ruoli professionali maschili sono state fatte oggetto di diffidenza, sia da parte dei lavoratori maschi che da parte dei datori di lavoro… e a lavoro uguale non è mai stato corrisposto uguale salario…
Anche le imprese femminili più eroiche, svolte in tempi di guerra, inoltre son sempre state raccontate come storie individuali, o di piccoli gruppi e mai assunti ad esempi di una rappresentazione di genere.
Alla fine di ogni conflitto, invece, abbiamo assistito a una spicciolata di elogi rivolti alle donne cui seguiva immancabilmente l'invito a tornare in seno alla famiglia, in nome del diritto degli ex combattenti, in nome della ripresa nazionale e anche in nome della difesa della razza. Perché, del resto, la guerra ha sempre un carattere profondamente conservatore in materia di rapporto tra i sessi.
Non a caso, subito dopo le due guerre abbiamo assistito all'apice dell'esaltazione del modello madre-casalinga: la grande madre, l'angelo del focolare, la regina della home sweet home…
I nuovi rapporti tra i sessi arriveranno non prima della metà degli anni Settanta e sappiamo bene che sono stati pagati a caro prezzo.
Ti ringrazio tantissimo del tuo contributo, che potrebbe costituire un post a sé per lunghezza e precisione! Come mi mancano i tuoi articoli, cara Clem… <3 Hai assolutamente ragione sul fatto che le donne, trascorsi i momenti di emergenza, sono state prontamente ricacciate nei loro ruoli a bocce ferme. Anche la professoressa che aveva svolto il seminario lo diceva: per esempio durante la Prima Guerra si vedevano delle donne che guidavano i tram a Milano, ma era piuttosto l'eccezione che la norma, e facevano scalpore proprio per questo motivo. Ho potuto constatare io stessa questo fenomeno sia nell'ambito del mio seminario, studiando proprio sia il femminismo post Prima e Seconda Guerra Mondiale sia in generale approcciando la Storia in maniera più scientifica. Alcune donne si sono svincolate dalla sudditanza maschile, ma il problema culturale più vasto è rimasto, e anzi c'è stato un arroccamento.
Arrivo molto in ritardo, ma ho trovato il post stupendo. Non conoscevo il ruolo delle portarici carniche e, di certo, io stessa, quando spiego a scuola Caporetto e l'avanzata austriaca non mi soffermo sul prezzo che pagarono le donne, cosa a cui mi riprometto di porre rimedio. Al momento ho mille mila libri in arretrato da leggere, ma questo mi ha davvero incuriosito. Grazie ancora per il tuo post
Non ti preoccupare, anch'io sono perennemente in ritardo in questo periodo caotico! Da quello che ho potuto appurare, leggendo e studiando, è che ci sono delle autentiche sacche di silenzio quando si tratta di donne e per mille motivi. Il tuo ruolo di insegnante è fondamentale per divulgare la conoscenza e aiutare i ragazzi a far riflettere, per quello sono sempre contenta quando i miei post potrebbero suscitare interesse nell'ambito di una lezione a scuola. Un abbraccio e a presto.