Sto leggendo alcuni libriccini improntati a un percorso di meditazione, acquistati in occasione della Fiera dell’Editoria Indipendente che si è svolta a Cinisello lo scorso fine settimana. Uno di questi è: Il silenzio – Come trovare pace in mezzo alla tempesta di Natale Benazzi edito dalle edizioni San Paolo. Sono testi molto semplici che propongo delle riflessioni nutrienti per lo spirito, valide per tutti in generale e per me in particolare.

Anche i titoli dei capitoletti sono molto significativi: Introduzione: Stare con noi stessi, guardare dentro noi stessi, Primo passo: Reperibilità e disconnessione, Secondo passo: laghi e tempeste, Terzo passo: tacere con la bocca, fare spazio nel cuore, Quarto passo: la lotta interiore, Quinto passo: la legione e l’ordine interiore: il raccoglimento, Sesto passo: liberazione e comunione. Il libro si focalizza su un passo del capitolo 4 e 5 del Vangelo di San Marco con il famoso episodio di Gesù che placa una tempesta scoppiata sul lago, dove si trova su una barca insieme con i discepoli impauriti, e nel secondo la guarigione di un indemoniato posseduto da “legioni” di demoni, e che nemmeno le catene riescono a bloccare.

Nelle pagine dell’opera sono proposti anche stralci di vari autori che approfondiscono il ragionamento proposto; ne vorrei proporre uno in particolare nel capitolo “La lotta interiore”. Si tratta di un estratto dalla biografia su Sant’Antonio Abate, Vita di Antonio, redatta dal vescovo Atanasio di Alessandria che fu discepolo di questo celeberrimo eremita vissuto tra il III e il IV secolo. Antonio era nato in Egitto e in età giovanile si ritirò nel deserto della tebaide dopo aver distribuito i suoi beni ai poveri. Condusse una vita talmente solitaria e ascetica da essere tentato dal demonio in varie forme, e al punto da chiudersi in una tomba scavata nella roccia. 

Avendo studiato a fondo il monachesimo per l’esame di Storia del Cristianesimo Antico, argomento a piacere che tenevo come “asso nella manica”, vi assicuro che lo stile di vita di Antonio non era nemmeno la forma più estrema di ascetismo! Vi erano monaci che dormivano sugli alberi, che abitavano sulla cima delle colonne come gli stiliti, che brucavano l’erba come gli animali, che si sottoponevano alle intemperie, che pregavano in piedi per ore e ore… Il monachesimo era un movimento anarcoide, uno dei tanti che si manifestano nella storia dell’uomo come forma di reazione alla mondanità e al materialismo, alla vita urbana considerata corrotta, e dunque come rifugio in luoghi solitari e “via dalla pazza folla”. La Chiesa istituzionale stentò a contenerlo e indirizzarlo fino a farlo diventare una forza formidabile per l’assistenza ai bisognosi e alla predicazione della parola di Dio. 

Ritornando al nostro Antonio, con il tempo la sua fama si diffuse e molte persone accorsero per stare vicino a lui e averlo come guida spirituale. Antonio è considerato come il primo abate e pare che morì molto anziano, e circondato dalla devozione di tutti. Anche la rappresentazione di Antonio si trasformò nei secoli fino ad arrivare a noi con l’aspetto di un venerando abate con la lunga barba bianca. Lo avete già visto in apertura in un quadro del Moretto del 1530-34 circa.

Soprattutto, per merito dei monaci Antoniani è conosciuto come il “santo con il porcellino” e con il bastone munito di campanello. Infatti gli Antoniani allevavano i maiali da cui ricavavano il grasso per preparare unguenti da spalmare sulle piaghe degli ammalati: anche nella Milano medievale giravano dei maiali con un collare dotato di campanellino per avvertire che si trattava di uno dei porcelli dell’ordine antoniniano. Chissà, qualcuno sarà anche sparito lo stesso, visto che la fame era tanta… Ricordo con particolare affetto un quadretto appeso alla porta di una stalla in montagna, come questa che vi propongo, dove il santo, oltre che dal maiale, è circondato da molti animali. È collegato anche alla cura del fuoco di sant’Antonio, una malattia terribile in età medievale, e si festeggia il 17 gennaio.

Tra i temi iconografici di cui gode questo santo, le tentazioni cui fu sottoposto Antonio furono di ispirazione non soltanto per la leggenda e l’agiografia, ma anche per molte opere artistiche. Ed ecco il passo che ci propone il nostro piccolo libro, e che riassume mirabilmente l’ambiente dove viveva l’eremita. (Faccio brevemente notare che il demonio che percuote il santo è molto presente anche nella vita di altri santi, come Padre Pio.)

“Temprandosi in questo modo, Antonio andò fra i sepolcri che si trovavano lontani dal villaggio e diede incarico a uno dei suoi conoscenti di portargli del pane per molti giorni. Entrato in uno di questi sepolcri, si fece chiudere la porta e vi rimase dentro da solo. Ma il nemico non sopportando ciò, anzi temendo che in poco tempo avrebbe riempito il deserto della sua pratica ascetica, si presentò una notte con una schiera di demoni e lo percosse tanto che egli giacque a terra, muto per le sofferenze. Narrò poi che il dolore era stato così forte che colpi inflitti dagli uomini non avrebbero potuto mai procurargli un simile tormento.”

Potete osservarlo in un quadro di SassettaSant’Antonio bastonato dai diavoli, che si trova alla Pinacoteca nazionale di Siena. 

 

Ed ecco l’altro passo che più mi interessa, cioè le tentazioni:

“Antonio si recò solo verso il monte. Ma il nemico, vedendo di nuovo il suo zelo e volendolo ostacolare, fece apparire sulla strada l’immagine di un grande vaso d’argento. Antonio, avendo capito l’arte di colui che odia il bene, si fermò, guardò nel vaso e rimproverò il diavolo che era dentro con queste parole: “Da dove viene questo vaso nel deserto? Questa via non è percorsa, né ci sono tracce di viandanti e poi è così grande che, cadendo, non poteva non essere visto. Se qualcuno l’avesse perduto, sarebbe tornato indietro a cercarlo e l’avrebbe trovato in un luogo tanto deserto. Ma questa è arte del diavolo; ma neppure ora, o diavolo, tu ostacolerai il mio proposito. Questo vaso, infatti, “vada con te in perdizione”. (At 8,20). Mentre Antonio così parlava, il vaso si dileguò come fumo davanti al fuoco
Un’altra volta, mentre camminava, video dell’oro vero e non un’immagine, gettato in mezzo alla strada. O l’aveva posto il nemico oppure qualche potenza superiore voleva mettere alla prova l’atleta (N.b. il monaco era indicato anche come ‘l’atleta di Dio’ per la disciplina interiore cui si sottoponeva) dimostrando al diavolo che Antonio non si preoccupava nemmeno delle ricchezze reali. Egli non rivelò mai il luogo, né noi lo conosciamo; sappiamo solamente che l’oro che gli era apparso era vero. Antonio si meravigliò della quantità e, passando oltre come se si trattasse di una fiamma, andò via senza volgere lo sguardo. Corse con tanta rapidità fino a che il luogo sfuggisse ai suoi occhi. Confermato sempre di più nel suo intento, Antonio si diresse verso il monte. Al di là del fiume trovò un fortino abbandonato da molto tempo e pieno di serpenti. Si trasferì lì e vi rimase. I serpenti, come se fossero stati inseguiti da qualcuno, subito si dileguarono. Antonio portò dentro dei pani per sei mesi (i tebani hanno l’abitudine di fare il pane per un anno senza che si guasti) e poi chiuse l’ingresso. Dentro trovò pure dell’acqua. Vi rimase solo, come rinchiuso in un sotterraneo, senza mai uscir fuori per vedere se vi arrivasse qualcuno. Così per molto tempo condusse questa vita ascetica; riceveva soltanto due volte all’anno il pane attraverso il tetto.”
Tra le raffigurazioni più terribili ci sono due quadri famosi: un’opera di Hyeronymus Bosch, Tentazioni di Sant’Antonio del 1505 circa, nel Museu Nacional de Arte Antiga, Lisbona, di cui potete osservare sotto in alcuni dettagli da incubo. 

La seconda è di Matthias Grünewald, Tentazioni di sant’Antonio, del 1515-20 circa, Musée d’Unterlinden di Colmar, che potete visionare in lungo e in largo al seguente link.

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Bene, spero che vi sia piaciuto questo articolo e come sempre vi faccio la domanda di rito. Anche noi nel nostro piccolo siamo soggetti alle tentazioni: qual è il vostro vaso d’argento, che non è altro che immagine? 

Il mio vaso d’argento è la ricerca del consenso esterno, delle gratificazioni e dei premi ai concorsi, dei “like” sui social e del successo, qualsiasi cosa questo voglia dire.

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Fonte testo: Il silenzio – Come trovare pace in mezzo alla tempesta di Natale Benazzi
Fonte immagini: Wikipedia e web