La Chimera

Non so se tra rocce il tuo pallido
Viso m’apparve, o sorriso
Di lontananze ignote
Fosti, la china eburnea
Fronte fulgente o giovine
Suora de la Gioconda:
O delle primavere
Spente, per i tuoi mitici pallori
O Regina o Regina adolescente:
Ma per il tuo ignoto poema
Di voluttà e di dolore
Musica fanciulla esangue,
Segnato di linea di sangue
Nel cerchio delle labbra sinuose,
15 Regina de la Melodia:
Ma per il vergine capo
Reclino, io poeta notturno
Vegliai le stelle vivide nei pelaghi del cielo,
Io per il tuo dolce mistero
Io per il tuo divenir taciturno.
Non so se la fiamma pallida
Fu dei capelli il vivente
Segno del suo pallore,
Non so se fu un dolce vapore,
Dolce sul mio dolore,
Sorriso di un volto notturno:
Guardo le bianche rocce le mute fonti dei venti
E l’immobilità dei firmamenti
E i gonfi rivi che vanno piangenti
E l’ombre del lavoro umano curve là sui poggi algenti
E ancora per teneri cieli lontane chiare ombre correnti
E ancora ti chiamo ti chiamo Chimera.

Dino Carlo Giuseppe Campana (Marradi, 20 agosto 1885 – Scandicci, 1º marzo 1932) è stato un poeta italiano. Figlio di un maestro elementare, rivelò presto indole inquieta e straordinaria sensibilità. Dopo il liceo a Faenza, frequentò corsi di chimica all’università di Bologna e a Firenze. Ma, incapace di adattarsi alla normalità (per le sue stravaganze ebbe a che fare spesso tanto con la polizia quanto con le istituzioni psichiatriche), preferì viaggiare (l’Italia settentrionale, la Svizzera, Parigi nel 1907; un avventuroso viaggio in Argentina nel 1908; frequenti vagabondaggi in Toscana) e coltivare una prepotente vocazione letteraria. Andato smarrito il manoscritto di prose e di versi che aveva presentato a Papini e Soffici per un giudizio (ritrovato tra le carte di Soffici nel 1971, fu pubblicato in edizione anastatica.(Canti orfici, 1914).

Dopo una turbolenta relazione con Sibilla Aleramo (1916-17), di cui resta la testimonianza del carteggio (Lettere, 1958), altri viaggi e un tentativo fallito di arruolarsi in occasione dell’entrata in guerra dell’Italia, finì i suoi giorni nel manicomio di Castel Pulci, dove fu ricoverato nel 1918. Dino Campana muore in ospedale, sembra per una forma di setticemia, il 1º marzo del 1932. 
La poesia di Campana è una poesia nuova nella quale si amalgamano i suoni, i colori e la musica in potenti bagliori. Il verso è indefinito, l’articolazione espressiva in un certo senso monotona ma nel contempo ricca di immagini molto forti di annientamento e purezza. Uno dei temi maggiori di Campana, che si trova già all’inizio dei Canti Orfici nelle prime parti in prosa – La notte e Il viaggio e il ritorno – è quello dell’oscurità tra il sogno e la veglia.


Fonti testo:
Wikipedia


Fonti immagine:
Persefone di Dante Gabriele Rossetti (1874) – Tate Britain, Londra