Campo di Marte, la torre rossa di Robert Delaunay (1911-23) |
Non chiederci la parola
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
Perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
Ossi di seppia, 1984
Eugenio Montale (Genova, 12 ottobre 1896 – Milano, 12 settembre 1981) è stato un poeta, traduttore, scrittore, giornalista, critico letterario, critico musicale e politico italiano, premio Nobel per la letteratura nel 1975. Il primo momento della poesia di Montale rappresenta l’affermazione del motivo lirico. Montale, in Ossi di seppia (1925) edito da Piero Gobetti, afferma l’impossibilità di dare una risposta all’esistenza come per esempio nella lirica Non chiederci la parola. Lo stesso titolo dell’opera designa l’esistenza umana, logorata dalla natura, e ormai ridotta a un oggetto inanimato, privo di vita. Gli ossi di seppia sono, infatti, gli endoscheletri delle seppie rilasciati sulla spiaggia dalle onde del mare, quindi, presenze inaridite e ridotte al minimo, che simboleggiano la poetica di Montale scabra ed essenziale.
Ho reminiscenze scolastiche di questa poesia, soprattutto la chiusa che suona cupa come un il muro "con aguzzi cocci di bottiglia" di un'altra sua celebre poesia, un muro che non può essere scavalcato…
"Meriggiare pallido e assorto, presso un rovente muro d'orto…" in effetti sono poesie che ritraggono bene la desolazione e l'inquietudine dell'uomo contemporaneo.
Montale mi piace molto. 🙂
Anche a me, al liceo era uno dei poeti italiani che preferivo in assoluto. 🙂