Soffro di antipatie letterarie immotivate, e sono consapevole che si tratta di un pregiudizio, che probabilmente mi ha evitato di leggere opere meritorie. Ma sono anche pronta a riconoscere quando ho commesso un clamoroso errore, oltre che a cospargermi il capo di cenere, ed è questo il caso del romanzo storico L’armata dei sonnambuli di Wu Ming, un collettivo di scrittori bolognesi attivo dalla fine del XX secolo, come leggo nella loro biografia sulla quarta di copertina.
Ma andiamo con ordine, perché la carne al fuoco è tanta.
Il romanzo ha ormai qualche anno di vita, essendo stato pubblicato nel 2014. La prima a parlarmene fu Clementina Sanguanini, essendo a piena conoscenza della mia passione per la Rivoluzione francese. “Hai letto il romanzo? Si tratta del lavoro di un collettivo di scrittori ed è ambientato al tempo del Terrore.” “No, ma mi hai incuriosito!”
Qualche tempo dopo entro in una libreria e prendo in mano il romanzo. Leggo l’incipit e non mi piace, dato che verte sul disgusto di uno dei protagonisti per le forme dei nasi appartenenti alla cosiddetta plebaglia di Parigi. Vado avanti e m’imbatto in un capitolo che sembra scritto da un veneto ubriaco che parla in dialetto, con tutto il mio affetto per i veneti. Oltretutto mi chiedo, irritata, come mai un collettivo di scrittori italiani abbia scelto uno pseudonimo cinese – il nome del gruppo significa “Senza nome”. Non mi piace neanche la copertina.
Decido che il libro non mi interessa. Lo segno comunque nel mio famoso quadernino dei libri consigliati o che hanno attirato la mia attenzione, come ho spiegato in questo post sui misteriosi percorsi dei libri e le affinità elettive. Nel frattempo, il romanzo diventa un caso editoriale con vendite vertiginose, e io penso malignamente che c’è di mezzo lo zampino del principe delle tenebre, ovvero la solita ondata di acquisti compulsivi sulla base di una moda.
Ma L’armata dei sonnambuli è destinata a ritornarmi tra i piedi, come un incontro scritto a caratteri d’oro nel volume del destino. Di recente, come sapete, ho inviato il mio romanzo sulla Rivoluzione francese per il concorso Neri Pozza; e, parlando con un amico del mio romanzo, di punto in bianco mi chiede: “Ma hai letto L’armata dei sonnambuli? Leggilo, perché secondo me ti potrebbe piacere molto.” “Alé,” penso, “eccolo di nuovo. A questo punto deporrò le armi e mi metterò a leggere il romanzo dei nasi deformi e del veneto ubriaco.” In effetti, se digitate Rivoluzione francese+romanzo, uno dei primi titoli che viene fuori è questo, seguito a ruota da Tempi glaciali di Fred Vargas, su cui avrei parecchio da dire, o meglio da ridire.
E ora dovete immaginarmi alle prese con il romanzo, di cui vi fornisco qui di seguito la quarta:
1794. Parigi ha solo notti senza luna. Marat, Robespierre e Saint- Just sono morti, ma c’è chi giura di averli visti all’ospedale di Bicêtre. Un uomo in maschera si aggira sui tetti: è l’Ammazzaincredibili, eroe dei quartieri popolari, difensore della plebe rivoluzionaria, ieri temuta e oggi umiliata, schiacciata da un nuovo potere. Dicono che sia un italiano. Orde di uomini bizzarri riempiono le strade, scritte enigmatiche compaiono sui muri e una forza invisibile condiziona i destini, in città e nei remoti boschi dell’Alvernia. Qualcuno la chiama «fluido», qualcun altro Volontà. Guarda, figliolo: un giorno tutta questa controrivoluzione sarà tua. Ma è meglio cominciare dall’inizio. Anzi: dal giorno in cui Luigi Capeto incontrò Madama Ghigliottina.
La prima scena è ambientata dunque il giorno in cui il re Luigi XVI viene condotto al patibolo, e quindi siamo al 21 gennaio 1793. Un misterioso individuo, appartenente a una congrega di monarchici, mette in atto un disperato tentativo per liberare il re mentre la carrozza lo porta al suo destino…
… e da lì in poi, magia. La magia che ti afferra e che ti trascina in un romanzo quando è appassionante ed emozionante, con una serie di personaggi che partono, come in una gara di corsa apparentemente distanti l’uno dall’altro, in linee narrative che li condurranno in un abbraccio mortale e sveleranno l’arcano alla base della vicenda. Ricerca storica approfondita, personaggi algidi o strampalati, ambientazioni formidabili e curatissime nel dettaglio, uno stile sontuoso e aderentissimo all’epoca, in una narrazione condotta con grande maestria (unica nota di dissenso, una scelta sul finale non del tutto condivisibile).
Del romanzo in sé, però, preferisco parlarvi in un post separato.
In questa sede vorrei parlare dell’idea di scrivere in un collettivo in senso generale e nello specifico traggo alcune informazioni sui Wu Ming da Wikipedia. In cinese “wu ming” significa appunto “senza nome” oppure “cinque nomi” a seconda di come viene pronunciata la prima sillaba. Il nome d’arte è inteso tanto come tributo alla dissidenza (“Wu Ming” è un modo di firmarsi frequente presso i cittadini cinesi che chiedono democrazia e libertà di parola) quanto come rifiuto dei meccanismi che trasformano lo scrittore in divo. Il collettivo Wu Ming organizza comunque tour di presentazioni, reading musicali e incontri con i lettori e i suoi membri appaiono spesso in pubblico. Quindi si tratta di un anonimato relativo, dato che sono note le identità di questi scrittori bolognesi, riportati anche sul loro stesso sito ufficiale.
Dal 2000 alla primavera del 2008, la formazione ha compreso:
- Roberto Bui (Wu Ming 1)
- Giovanni Cattabriga (Wu Ming 2)
- Luca Di Meo (Wu Ming 3)
- Federico Guglielmi (Wu Ming 4)
- Riccardo Pedrini (Wu Ming 5).
Il 16 settembre 2008 il gruppo ha annunciato l’uscita di Luca Di Meo dal collettivo, avvenuta nella primavera precedente. Il 15 febbraio 2016 il collettivo annuncia l’uscita di Riccardo Pedrini, non esente da polemiche e accuse reciproche.
Logo di Wu Ming dal 2001 alla primavera del 2008, quando dal quintetto è uscito Luca Di Meo (Wu Ming 3). L’immagine è stata rimossa dal sito del collettivo nel 2008 |
I Wu Ming continuano a rifiutare di essere immortalati in servizi fotografici, hanno come politica quella di non apparire in video e non hanno mai accettato inviti a trasmissioni televisive. Nemmeno sul loro sito ufficiale sono disponibili immagini dei loro volti volendo comparire soltanto di persona, in carne e ossa. Il gruppo ha riassunto questa impostazione nel motto: “Trasparenti verso i lettori, opachi verso i media“.
Converrete con me che questa scelta, in un periodo in cui l’editoria è diventata apparenza e non sostanza, tra presentazioni narcisistiche, dichiarazioni megalomani e inviti reiterati in tv, fa comunque riflettere. Mi piacerebbe anche conoscere quale metodo di scrittura abbiano usato per scrivere un’opera come L’armata dei sonnambuli, ma non so se la mia curiosità verrà mai soddisfatta. Io credo che occorra un forte centro coordinatore tra diverse sensibilità narrative, in modo da poterle armonizzare, e, magari sbagliando, mi sono fatta l’idea che a ognuno sia affidata una delle linee narrative descritte sopra con un progetto comunque ben concepito e strutturato fin dall’inizio.
***
Concludo la mia riflessione chiedendovi: avete letto questo romanzo? E, soprattutto, vi piacerebbe scrivere nell’ambito di un collettivo e accettando un certo grado di anonimato?
Fonte immagini: Wikipedia
Mai letto nulla dei Wu Ming. Ho scritto un romanzo a 4 mani ed è stato utile e divertente. Scrivere un'opera senza vedere il mio nome in copertina? E il mio ego? 😉
Ricordo benissimo il post che avevi scritto sulla tua esperienza di scrittura a 4 mani e di aver provato un grande senso di ammirazione. Probabilmente hai trovato anche una coautrice in gamba, perché le esperienze che ho ascoltato sono state tutte negative.
Per quanto riguarda le esigenze dell'ego, eh, si sa che vuole la sua parte, e anche bella grande. Però se le vendite sono stratosferiche, non potrebbe essere ugualmente soddisfatto? 😉
Non ho letto questo, ma ho letto "Altai" per motivi simili ai tuoi (gran parte del romanzo ambientato nella mia adorata Venezia della Repubblica Serenissima nel secolo di Lepanto).
Sul fatto di restare anonimo non ci sono problemi come vedi 😀
Sullo scrivere in gruppo, non so… Ho scritto dei racconti a 4 mani con un collega scribacchino del web, è stato anche divertente, ma un romanzo completo, non saprei… Temo che non riuscirei a fare squadra…
Grazie, Ariano… immagino che il romanzo ti sia piaciuto. Sulla tua preferenza per l'anonimato non avevo dubbi! 😀
Non è facile lavorare in squadra, comunque, e io ne so qualcosa perché nel mio lavoro è essenziale. Però ognuno di noi ha i suoi compiti – il redattore, il grafico, l'impaginatore, il ricercatore iconografico, l'illustratore – e comunque anche così possono sorgere incomprensioni e, nei casi peggiori, reciproci scambi di accuse.
Con lo stesso tuo spirito ho voluto comprare "Q" del collettivo, mi incuriosisce molto: di loro avevo sentito parlare, ho sondato le pagine del loro sito e li ho trovati interessanti. Ancora non ho letto il libro (ha una certa mole e voglio prima completare altri progetti) né conosco quello di cui parli. Trovo che sia davvero impegnativo scrivere qualcosa sfruttando ispirazione, fantasia, stile di persone diverse, credo sia la cosa più difficile che si possa fare, ma se loro ci sono riusciti con successo, la mia ammirazione è ancora più grande.
Grazie mille del commento, Marina. Anche "L'armata dei sonnambuli" ha una mole notevole, consta di 792 pagine comprese le appendici dove gli autori fanno riferimento a una serie di documenti autentici inseriti nel romanzo. Questo testimonia del loro impegno nella ricerca storica e dà valore aggiunto all'opera. Non manca il risvolto "fantastico", ma è bene inserito nella narrazione… del resto se non ci fosse una parte di fantasia non sarebbe un romanzo storico.
Non oso immaginare la quantità di lavoro che c'è dietro un'opera del genere, penso soltanto alla fatica di compiere la revisione (o le revisioni) e uniformare il tutto. Hanno portato a termine un'impresa formidabile, probabilmente forti di un'esperienza di lungo corso.
Intanto scopro da questo tuo post che si tratta di un collettivo… italiano! Ma splendida sorpresa! MI ero imbattuta distrattamente in alcune recensioni di questo libro e mi ero fermata alla copertina, ritenendola opera di un autore dell'estremo oriente. Pensa come ci si possa sbagliare restando alle apparenze.
Ultimamente ho letto che hanno pubblicato un romanzo riguardante il celebre gruppo di confinati a Ventotene.
Mi piace quel passaggio che citi, senz'altro è una scrittura stuzzicante, chissà. Mi piace anche l'idea di scrivere in un collettivo. Sai che sarebbe bellissimo costituirne uno fra noi blogger? 🙂
L'anonimato è un altro aspetto che trovo assolutamente azzeccato. In forma indiretta, l'identità è il collettivo stesso, ogni individualità è perfino superflua.
Trovo comunque bizzarra la scelta dello pseudonimo cinese, ma da quanto ho letto questo collettivo è molto impegnato politicamente e quindi ha la sua ragione d'essere. Hanno all'attivo molti romanzi, a quanto leggo dal loro cursus honorum. A me incuriosisce molto "Proletkult", a questo punto, ambientato nel 1927 nell'Unione Sovietica. Come sai, ho portato un testo sulla Rivoluzione russa all'esame. 🙂
L'idea di un collettivo tra blogger è molto bella, ma credo che sia fondamentale il fatto di abitare nella stessa città, o vicini, e quindi incontrarsi… in carne e ossa! per lavorare insieme, discutere, elaborare e pianificare i materiali.
Nemmeno a me dispiace l'idea di pubblicare con il nome del collettivo per focalizzare l'attenzione sui contenuti. Proprio di recente ho visto un servizio su Mina, la quale sosteneva che uno dei motivi del suo allontanamento dalle scene era stata l'insofferenza per la curiosità del pubblico non su come cantasse, ma su dettagli quali la pettinatura, l'abito, il trucco, l'aspetto fisico. Sicuramente questo c'è anche nelle presentazioni di un libro, ma passa in secondo piano se non c'è l'insistenza che vi attribuiscono i media (per non parlare dei social di oggi).
Se ti può rinfrancare non sei stata la sola ad essere prevenuta nei confronti dei Wu Ming, per diversi anni parecchi tra critici, colleghi scrittori e blogger si sono scagliati contro di loro. Le polemiche interne con gli ex membri del collettivo non hanno aiutato, temo.
Ciao, Nick! Il mio pregiudizio era nato da motivi di contenuto, mentre ho letto un'intervista all'ultimo "fuoriuscito" Riccardo Pedrini il quale parla di 'tradimento fraterno' e del fatto che siano ormai 'un'azienda' e abbiano perso lo spirito iniziale. Insomma, convivere e collaborare è sempre difficile…
Non ho letto questo libro, ma il tuo post mi ha incuriosito visto che questi autori sono anche di Bologna, quindi miei concittadini…
Infatti ho pensato a te proprio mentre scrivevo il post, e mi chiedevo: "Chissà se Giulia li conosce!" 🙂
Quanto sono fuorvianti i pregiudizi! Eppure spesso è proprio complicato superarli. Per esempio questo libro per poterlo gustare ti è stato riproposto più e più volte quasi fosse stato messo sulla tua strada. Curioso.
Ma non sentirti sola, spesso e volentieri in questo ginepraio di libri se non ci si fa guidare dal pregiudizio è per via di una buona pubblicità, o di una copertina azzeccata, che a mio parere hanno la stessa valenza.
L'idea dell'anonimato non mi piace molto, ma per il mio essere trasparente sempre, come l'idea di scrivere a più mani che credo essere tra le esperienze più complicate da concretizzare.
Alle volte i pregiudizi nascono da considerazioni frettolose per mancanza di tempo, come nel mio caso. Inoltre ho imparato a diffidare dei "fenomeni editoriali" per i quali ho sprecato denaro e soprattutto tempo leggendo opere del tutto deludenti. Insomma, è stato un mix di questo tipo ad agire nel caso de "L'armata dei sonnambuli".
Curioso, vero, il fatto della frequenza con cui questo libro ha attraversato la mia strada. 🙂 Oserei dire che si è trattato di un libro petulante!
Mentre l'idea di pubblicare con il nome di un collettivo non mi dispiace per nulla, come scrivevo sopra a Luz, mi preoccuperebbe l'idea di lavorare insieme sulla scrittura. Sono convinta che ci voglia un coordinatore molto forte, come una specie di direttore d'orchestra. Qualcuno, in altre parole, che faccia il duro lavoro…
Li conoscevo, ma non ho mai letto nulla di loro. Non credo scriverei mai in un collettivo, secondo me già a quattro mani è difficile, per riuscire a conciliare due voci diverse.
Per quanto riguarda i pregiudizi, nella lettura ne ho parecchi, però ammetto di aver buon naso: se qualcosa non mi convinceva, difficilmente è capitato che leggendolo cambiassi opinione.
Scrivere in un collettivo è difficile per una serie di motivi: se non conosci bene le controparti, rischi di avere grosse difficoltà e delle incomprensioni; se c'è un forte grado di amicizia, corri il rischio di rovinarla. A me è capitato sul lavoro una cosa del genere e so che anche nelle compagnie teatrali spesso ci sono dissapori e competitività. Al di là delle polemiche nel gruppo, in quest'opera sono riusciti egregiamente nell'impresa di riuscire ad armonizzare voci diverse.
Nonostante la mia scarsa simpatia per la storia francese, il tuo entusiasmo mi è arrivato al punto che penso proprio di leggere il romanzo. E già che ci sono, parlando di collettivi – un modo di scrivere che fatico anche solo a immaginare – forse è il caso che il legga anche "Q" di Luther Blissett, di cui mi hanno parlato molto bene. (In questo periodo mi faccio contagiare da qualunque tipo di lettura, sono senza fondo!).
Mi porto avanti con il lavoro e spero allora anche che avrai voglia di leggere il romanzo "I serpenti e la Fenice": se il concorso Neri Pozza non mi porterà alcun risultato, lo autopubblicherò senza fare neanche un plissé. 🙂
Per quanto riguarda il tempo a disposizione per leggere tutte le proposte interessanti che arrivano, ah, poter avere i famosi cloni oppure la giornata di 48 ore!
La voglia la covo già da un po', perciò contaci. 🙂
Ti ringrazio e approfitto per augurarti un ottimo 1 Maggio. 🙂