Nella prima parte di questo articolo dedicato al lupo, che potete trovare qui, abbiamo fatto conoscenza di questo favoloso animale dal punto di vista delle scienze naturali, e poi addentrandoci nel mito di Romolo e Remo e della lupa che allattò i gemelli.

In seguito abbiamo appreso, leggendo il saggio Il tempo dei lupi di Riccardo Rao, che il lupo era talmente venerato nell’antichità che molti genitori norreni assegnavano ai figli il nome “wulf” nella speranza che acquisissero parte della forza e del coraggio dell’animale.

Ma l’ammirazione del lupo incomincia a scemare con l’avvento del cristianesimo, quando viene identificato come un predatore di anime, e quindi avente natura intrinsecamente malvagia. Tuttavia, come vi dicevo, la guerra al lupo iniziò ufficialmente con un personaggio storico molto famoso, ovvero…

Il nemico per eccellenza: Carlo Magno

Se con i Longobardi il rapporto tra uomo e lupo continua a essere un fatto privato, è con l’avvento di Carlo Magno, il re dei Franchi, di cui possiamo vedere un ritratto immaginario di Albrecht Dürer, che le cose prendono una brutta piega… per il lupo, ovviamente.

Come ci insegnano i libri di scuola, Carlo viene incoronato imperatore nel giorno di Natale dell’anno 800. Nel Capitulare de villis, un editto emanato negli ultimi anni del suo regno, l’imperatore comanda ai funzionari incaricati di gestire le sue vaste tenute regie che gli sia comunicato il numero dei lupi uccisi, e che si proceda alla caccia di lupacchiotti nel mese di maggio. Per la prima volta la guerra contro i lupi viene istituita, regolamentata e codificata: in una parola, dichiarata.

Non è da scartare nemmeno l’ipotesi che, nelle vaste foreste dove i re franchi amavano cacciare, e da cui traevano molti proventi, il lupo rappresentasse uno sgradevole concorrente. Proprio all’epoca di Carlo Magno aumentano, infatti, i disboscamenti, a causa della messa a coltura di nuove terre, che assottigliano le prede sia per i lupi che per gli aristocratici. Vi possono essere dunque motivi di sicurezza nella gran caccia, oppure di carattere simbolico: se si arriva al dominio sulla natura magica e pagana, si giunge anche alla salvezza l’anima

Salvezza che passa attraverso il battesimo cristiano e, stavolta, sorprendentemente, andando alle origini di una fiaba celeberrima.

Cappuccetto Rosso e l’incontro con il lupo

Cappuccetto Rosso è una delle fiabe europee più popolari al mondo, di cui esistono numerose varianti. Le versioni scritte più note oggigiorno sono quella di Charles Perrault (col titolo Le Petit Chaperon Rouge) del 1697 e quella dei fratelli Grimm (Rotkäppchen) del 1857. Possiamo vedere qui sotto la bambina e il lupo in un’illustrazione di J.W. Smith.

A parte le varianti, la trama più diffusa è questa: Cappuccetto Rosso, chiamata anche Cappuccetto, è una bambina che vive con la sua mamma in una casetta vicino al bosco. Un giorno la mamma le consegna un cestino pieno di cose buone da portare alla nonna ammalata, che vive al di là della foresta. La mamma raccomanda a Cappuccetto di fare attenzione, durante il tragitto, e non lasciare la strada maestra.

Nel bosco però, la bambina incontra un lupo, che con l’inganno le si avvicina e si fa rivelare dove abita la nonna. Il lupo così si allontana, arriva prima di lei alla casetta e bussa alla porta, presentandosi alla nonna come la nipotina e così apre la porta e mangia la nonna in un sol boccone.Cappuccetto Rosso, che arriva più tardi alla casetta, entra e trova il lupo nel letto, travestito da nonna e anche lei viene a sua volta divorataUn cacciatore, amico della nonna di Cappuccetto, si accorge di quello che è accaduto, si precipita nella casetta e uccide il lupo, tagliandogli la testa con una scure. Poi gli apre la pancia dalla quale fuoriescono immediatamente la nonna e Cappuccetto Rosso sane e salve. Il cacciatore intanto prende allora il lupo e si avvia verso casa, per farne delle pellicce.

Orbene, dovete sapere che Riccardo Rao è riuscito a risalire ancor più indietro nel tempo, addirittura attorno al 1020, grazie a cui le molte stranezze e discrepanze delle versioni che noi conosciamo vengono spiegate. Abbiamo infatti  un racconto edificante scritto da Egberto di Liegi, “Della bambina risparmiata dai lupacchiotti“, dai risvolti parecchio interessanti. Nel racconto una bimba viene battezzata, e riceve una tunica di lana rossa. Il battesimo ha luogo nel giorno della Pentecoste. La bambina, che ha cinque anni, viene poi catturata da un lupo, che la porta nella profondità della foresta come preda per i suoi cuccioli. Questi ultimi però non riescono a sbranarla perché la mantella rossa ricevuta il giorno del battesimo la protegge da ogni male.

Incredibile, vero? Ma andiamo avanti con il nostro lupo demonizzato, spostandoci in età moderna, per la precisione nella seconda metà del Settecento

Di lupi mannari e altre brutte faccende

Della Bestia del Gévaudan avevo parlato nell’ambito della mia rubrica Il Caffè della Rivoluzione con un articolo intitolato “Spettri, vampiri e lupi mannari”. Se volete leggere o rileggere il post nella sua interezza, potete trovarlo qui.

Riprendo invece la parte dedicata alla Bestia perché identificata con un lupo mannaro, l’argomento che ci interessa. Dovete sapere, infatti, che, nonostante quello fosse il secolo dei Lumi, ovvero del predominio della razionalità, mai come in quell’epoca attecchivano e si diffondevano leggende, dicerie e superstizioni di ogni sorta. Uno di questi “casi” è relativo proprio a una bestia di taglia enorme che, nella Francia tra il 1764 e il 1767, uccide in modo particolare le donne e i bambiniLe vittime ufficiali – e sottolineo “ufficiali” perché a un certo punto le autorità smettono di contarle – sono 137 e una dozzina di loro sono state decapitate. La cosiddetta Bestia del Gévaudan mostra una singolare astuzia e intelligenza nei confronti delle varie centinaia di soldati inviati per catturarla e per lungo tempo riesce a eludere ogni trappola. Qui sopra vi propongo “la bestia” in una stampa dell’epoca.

Alcuni sostengono di averla uccisa e mostrano cadaveri di lupi enormi e in generale le descrizioni parlano di un animale grande come un vitello, con pelo striato e lunghi canini. A un certo punto un cacciatore porta al re il cadavere di una bestia gigantesca, ma è talmente irriconoscibile che non gli viene corrisposta la ricompensa promessa. Fu un caso che destò molto scalpore, provocando una sorta di isteria collettiva e che mobilitò soldati, cacciatori e paesani. In Inghilterra, che in quel periodo tanto per cambiare era ai ferri corti con la sua vicina di casa, l’argomento era oggetto dei lazzi pubblici, e gli inglesi si ribaltavano dal ridere.

Nel 2001 è stato realizzato un film, Il patto dei lupi per la regia di Cristopher Gans, che narra, per l’appunto, delle vicende testé menzionate. L’epoca è il 1764. Siamo nelle campagne francesi del Gévaudan, oggi approssimativamente tra la Linguadoca e il Rossiglione, dove uomini e animali vengono assaliti e uccisi da una belva feroce, con assalti caratterizzati da una straordinaria violenza. In tre anni uccide oltre 100 persone e vani sono risultati i tentativi di catturarla.

Il re Luigi XV decide di inviare nella regione il cavaliere Grégoire De Fronsac, accompagnato da un compagno irochese Mani, per catturare ed imbalsamare l’animale. Potete vedere un’immagine dei due protagonisti nella locandina a lato. Devo dire che il film parte molto bene, e l’ambientazione è ottima con una quasi insostenibile dose di tensione, i paesaggi cupi e desolati, ma mi ha deluso sia nel prosieguo – veramente grottesco a tratti – sia nella caratterizzazione dei personaggi. Soprattutto il finale, con la spiegazione di quanto è successo, è davvero al di là del bene e del male.

Bene… piano piano, siamo arrivati fino ai giorni nostri, ma ho deciso di riservare una terza e ultima parte al lupo contemporaneo, oggi protagonista di una rivalutazione, nonché di fumetti e film!

Per questo motivo vi lascio con una mia fotografia scattata lo scorso anno nel parco del Lupo della Sila in Calabria. Sotto il bassorilievo del lupo, c’è una poesia che vi riporto qua di seguito perché è difficile leggerla. È un po’ triste, ma esprime bene la natura del lupo e i termini della questione nei rapporti tra uomo-lupo:

Io sono il lupo.
La fame è la mia compagna,
la solitudine la mia sicurezza,
un’eterna triste condanna.
Io sono l’istinto.
Passi svelti nella notte,
il freddo è il mio giaciglio.


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Che cosa ve ne pare degli argomenti proposti? Spero di ricevere i vostri commenti anche su questa seconda parte. Alla prossima con la terza e ultima!

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Fonti testo:

Il tempo dei lupi di Riccardo Rao – Utet
“Guida pettegola al Settecento francese” di Francesca Sgorbati Bosi – Sellerio editore

Fonti immagini:
Pixabay per la foto iniziale del lupo 
Wikipedia, tranne la foto finale con la poesia sul lupo della Sila