Ho appena terminato di leggere uno dei miei libri universitari dal titolo La società di antico regime (XVI-XVIII secolo) di Gian Paolo Romagnani, che per me è stato un autentico “sballo”. 😉 Il saggio offre una panoramica dei temi e dei problemi storiografici; e uno dei grandi argomenti che collegano quell’epoca alla nostra è l’insorgere della rivoluzione dei consumi.
Nel saggio di Romagnani, si spiega che in realtà la capacità di consumare dipende da una quantità di vincoli che non sono solo riferiti alla disponibilità di beni sul mercato, ma anche a elementi sociali, culturali e simbolici. Un bene prodotto, come un paio di scarpe, può non essere richiesto finché il contesto sociale in cui non si colloca non lo rende fruibile da gruppi precedentemente esclusi dal suo utilizzo. L’autore fa un esempio molto… calzante: se ad esempio i contadini bretoni o polacchi usano tradizionalmente gli zoccoli, la presenza sul mercato di scarpe a prezzo moderato non li rende per questo un oggetto di desiderio. La disponibilità delle forchette da tavola non le rende un bene di largo consumo finché permane, anche tra i ceti aristocratici e la corte di Francia, il costume di mangiare con le mani. Il Re Sole Luigi XIV docet.
Il Settecento è il secolo nel corso del quale si afferma un consumo tendenzialmente di massa, rendendo le differenze sociali meno percepibili per quanto riguarda una serie di consumi di base. Abbigliamento, riscaldamento, illuminazione, arredo, cibo, trasporti, cultura, diventano poco a poco, ma sempre più rapidamente, consumi a disposizione di tutti i ceti sociali, pur con notevoli differenze nella qualità dei prodotti. Si impone la necessità del superfluo! Si comincia persino a curare l’igiene personale, pratica caduta in disuso nei secoli precedenti. La “rivoluzione dell’igiene”, almeno nelle realtà urbane, migliora le condizioni di vita delle persone, e favorisce una minore diffusione delle malattie e un aumento della vita media.
C’è anche la progressiva diffusione della biancheria, sconosciuta nelle classi inferiori, via via utilizzata sia dalle donne che dagli uomini di tutte le età e ceti sociali. In una città di 600.000 abitanti, com’era la Parigi di metà Settecento, si lavano almeno 200.000 camicie al giorno, e quindi le lavanderie e stirerie si trasformano in vere e proprie imprese di servizi. Facendo un paragone dei giorni nostri, un tempo per la Fiat lavoravano non solo gli stabilimenti di produzione, ma anche tutto l’indotto. Tornando alla biancheria del Settecento, si può ben dire che l’uguaglianza passa anche… dall’intimo!
Anche le trasformazioni nell’abbigliamento sono decisive. I prodotti in cotone soppiantano rapidamente quelli in panno in lana, destinando la seta a un mercato di nicchia. Gli abiti sono più leggeri e vanno sostituiti più spesso, incrementando il mercato. Mentre la moda diventa un’industria, il gusto si raffina e si estende ai ceti medi. Il polsino di pizzo non è più prerogativa dei nobili; il bottone soppianta la spilla e i lacci; il corpetto femminile si afferma anche fra le donne del popolo, così come le scarpe con i tacchi alti. La parrucca domina ancora, ma le sue dimensioni si riducono e il suo uso si estende dall’aristocrazia alla borghesia e al ceto medio. Chi non ricorda, peraltro, le famose parrucche di Robespierre, che si ostinava a indossarle in qualsiasi circostanza, sdegnando il berretto rosso simbolo di libertà?
Per quanto riguarda la rivoluzione dei consumi, avevo trovato lo stesso concetto in La moda. Una storia dal Medioevo a oggi di Giorgio Riello, recensito qui sul blog. Dalla mia recensione estraggo un passaggio su un altro fenomeno interessante, cioè la nascita delle vetrine e della pubblicità. “Nascono i cosiddetti negozi dotati di vetrina, attraverso cui il potenziale cliente osserva la merce esposta; può entrare nella bottega, un luogo raccolto e quasi intimo e, dulcis in fundo, nel retrobottega dove vengono mostrate le merci veramente esclusive, appannaggio di clienti selezionati e danarosi. E nascono, timidamente, le prime forme pubblicitarie con i manifesti e i primi ‘cataloghi’ di abiti per signora, come il Lady’s Magazine del 1759, piccoli e maneggevoli, dunque di facile consultazione. Parigi e Londra si contendono il primato di capitali della moda, del consumo e dello shopping, con clienti che peregrinano dall’una all’altra città per acquistare e passare il tempo.”
Insomma, per concludere l’articolo, il Settecento e soprattutto la Rivoluzione Francese non finiranno mai di stupirci!
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Ho sempre seguito la moda non in termini di abbigliamento personale, ma come espressione individuale e sociale. Quali sono, secondo voi, i maggiori status symbol ai giorni nostri in fatto di abbigliamento sia maschile che femminile (se pure ne sono rimasti)?
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Fonte testo:
- La società di antico regime (XVI-XVIII secolo) di Gian Paolo Romagnani – Carocci editore
- La moda. Una storia dal Medioevo a oggi di Giorgio Riello – edizione Laterza
Fonte immagini:
- Jacques-Louis David. Ritratto di Monsieur Sérizat. 1795. Olio su tela. Parigi, Louvre
- Jacques-Louis David. Ritratto di Madame Sériziat col figlio. Olio su tela. Parigi, Louvre
L'evoluzione dei costumi passa attraverso la moda (si chiamava moda anche nel '700?), mi hai fatto ripensare a una lezione di marketing dei tempi dell'università in cui il prof. parlava del fenomeno Benetton che allora era fortissimo: non compravamo un nuovo maglione o un nuovo pullover, bensì un nuovo "colore", allora era di moda colorarsi con l'abbigliamento Benetton (ancora oggi avviene ma rispetto alle altre mode passa più inosservato). Spesso non compriamo ciò di cui abbiamo davvero bisogno, ma quello che sembra indispensabile perchè "di moda" o perchè ce l'hanno tutti. Ricorda ancora il tempo in cui non avevo il telefonino, mentre tutti l'avevano e mi guardavano come un'aliena…Positivo il fatto che l'evoluzione dei costumi abbia diffuso l'uso della biancheria e di una maggiore igiene, nonché l'uso della forchetta!
Mi ricordo benissimo del fenomeno Benetton, come mi ricordo dei paninari che portavano le Timberland e il Moncler e frequentavano il MacDonald di piazza San Babila a Milano. Figure immortalate dal bravissimo comico Giorgio Faletti. L'avvento dei cellulari ha segnato un'ulteriore separazione tra chi ha e chi non ha, ma anche lo smartphone ha rappresentato un ulteriore passaggio. Qualche anno fa avevo il telefono basico per telefonare, e tutti mi guardavano come un'aliena perché non avevo lo smartphone e quindi non navigavo, chattavo ecc.
Sono d'accordissimo sul fatto positivo della maggiore igiene, non oso pensare a che cosa doveva essere la corte di Luigi XIV. C'è da dire che se si vive in un ambiente sporco, dove tutti sono sporchi, poi non ci si fa più caso.
Dici benissimo, Cri: la nostra società ci sta traghettando verso nuovi sconosciuti orizzonti, in tutti i sensi, anche sotto il profilo della moda.
Il lusso aspirazionale non ha più il senso di una volta, i desideri e i consumi hanno subito una accelerazione estrema con i vari Instagram e l'e-commerce. Anche il rapporto qualità-prezzo si è modificato con la globalizzazione della produzione. L'unicità viene veicolata da Influencer che nascono e tramontano come le luci delle luminarie natalizie.
Un post stupendo, interessantissimo. Anche sul mio blog si parla, benché indirettamente di moda e consumi. Vieni a vedere. Ti aspetto! Un abbraccio.
Grazie del bellissimo commento anche a te! Pensa che proprio qualche tempo fa leggevo un articolo sul Corriere di quali siano i nuovi status symbol e si parlava oggi di wellness estremo con delle vere e proprie follie. Ecco, l'ho recuperato e lo trovi qui se vuoi:
http://www.corriere.it/moda/news/17_agosto_04/wellness-estremo-organi-perfetti-nuovo-status-symbol-star-8ae64d44-790e-11e7-9267-909ddec0f3dc.shtml
Come sempre a fare da apripista sono le star di Hollywood. O di questa nuova figura di influencer… eh, una volta erano persone come Oscar Wilde a fare da influencer, oggi… boh, qualche esempio?
Per quanto riguarda il tuo post, ho proprio captato stamane l'articolo su Fb e mi riprometto di arrivare ben presto. Un abbraccio anche a te!
Mi sembra che la moda abbia perso smalto come status symbol lasciando ampio spazio alla tecnologia. Negli anni 80 90 le firme erano un sogno anche dei ragazzi, ricorderai i jeans Armani, Coveri che alcuni di noi, non io, esibivano a scuola.
Sandra
Sì, hai ragione, la tecnologia ha preso il posto dell'abbigliamento, e che sia tecnologia più aggiornata possibile ("l'ultimo modello di"). Mi ricordo di aver assistito alle ondate di iPad e poi a quelle dei tablet ad esempio. Oggi è lo smartphone a farla da padrone, con uno schermo sempre più grande e con diverse caratteristiche.
Ai nostri tempi, lo status symbol era la pelliccia per le signore, puntualmente imbrattata in occasione della prima alla Scala. 😉 Per noi ragazzine, invece, i jeans Armani e Coveri, che ricordo benissimo e che nemmeno io avevo, ma anche Fiorucci.
I Levi’s 501,ai miei tempi non eri alla moda se non ne avevi uno.
I Levi's 501 anche, come dimenticarli?
Sono d'accordo con Sandra, gli status symbol oggi sono tecnologici. Quanto alla sostituzione degli indumenti di lana con quelli di cotone, per fortuna! Quando ero piccola la lana era ancora molto usata, e se penso alla sensazione sul collo mi gratto ancora… 😉
Proprio stamattina leggevo sul giornale che a Roma c'è stata una coda di 20 ore per accaparrarsi l'iPhone X. Della serie: "Se no xe mati no li volemo".
Mi hai fatto ricordare la questione della lana da piccoli! Io ricordo certi cappellini o cuffiette sferruzzate dalla mamma che facevano prudere il cuoio capelluto. 😉
Le analisi economiche applicate alla storia sono sempre interessanti. Abiti che sono status symbol… Mah, ormai più che l'abito conta il marchio: tutti possono indossare camicia e cravatta, la differenza è se la camicia e la cravatta sono di un noto atelier e costano centinaia di euro: chi le indossa è come se dicesse "Io posso permettermi di spendere 800 euro per una cravatta. E tu?"
Hai ragione, Ariano, e poi abbiamo sviluppato comunque un occhio critico sull'abbigliamento e accessori anche se non si può averli. Ad esempio certe borse per signora, di qualità evidente e con il marchio bene in vista. Del resto Naomi Klein l'aveva spiegato molto bene nel suo libro No logo, che il potere è nel marchio.
L'argomento "moda" mi ha sempre affascinato, pur non essendo una patita dell'outfit, come si chiama in questo periodo storico l'abbigliamento.
Bello quell'excursus sull'evoluzione dell'abito. Fa pensare il passaggio all'uso di materiali diversi e di conseguenza di usi diversi. Con ricadute sull'economia.
Un paio di volte in diversi anni di insegnamento ho avuto alunni che hanno dedicato alla storia del costume la loro "tesina" di terza media. Quando è stata svolta bene, sono saltate fuori delle cose davvero interessanti, che come al solito sui libri non compaiono. La Storia invece dovrebbe conservare questa costante, far comprendere anche l'evoluzione (o anche involuzione) degli usi e costumi, comprendendo anche l'abito, che da sempre è uno specchio della società.
Alla tua domanda non saprei rispondere. Di fatto, la moda un paio di decenni fa aveva caratteristiche riconoscibili. Oggi credo che non abbia molto da dire.
Grazie del bellissimo commento, Luz. Mi fa piacere che i tuoi allievi abbiano svolto queste tesi per l'esame di terza media. Una volta avevo un bel libro sulla moda, riccamente illustrato, e a volte era stupefacente vedere la precisione con sui rifletteva la società e i suoi cambiamenti. Ricordo con particolare divertimento un nobiluomo del 1600 vestito di nero, ma con tanti di quegli sbuffi alle maniche da sembrare un carciofo!
Nel leggere il saggio sulla storia della moda, ero rimasta colpita dal fatto che noi tutti ne siamo condizionati in qualche misura, non fosse altro perché compriamo capi confezionati da qualcun altro e non più fatti da noi in casa.
Certo, parlare di “rivoluzione dell’igiene” fa parecchio impressione, anche sorridere, se non fosse maledettamente vero che in certe corti era la sporcizia uno status symbol! 😖
Paradossalmente erano molto più puliti nel Medioevo che nel 1600. La corte del Re Sole doveva essere una specie di cloaca: lo stesso re si lavava solo una volta all'anno! :-0
Mi intrometto ancora… avendo seguito per anni ricerche su moda e lusso, volevo fare un’ulteriore precisazione su un punto: le variabili in gioco sono davvero molte e in costante mutamento. Per es. almeno una decina di anni fa, credo fosse la Marzotto, sosteneva che la “vera signora” non è quella che ostenta il capo griffato, bensì quella che acquista il capo griffato e poi elimina ogni traccia del logo, a differenza della parvenu che lo esibisce in modo cafone. Da lì in poi si è scatenata la rincorsa verso i capi shabby chic e via via sono subentrati altri trend. Oggi, l’abbigliamento non ha più lo spazio e il peso di una volta e, non a caso, a definire il lusso non sono più nemmeno tanto gli accessori.
Non a caso i vari Marchionne, Berlusconi e compagnia bella se ne vanno in giro con il maglioncino, per carità, di cachemire, ci mancherebbe!
Ma se una volta Agnelli faceva trend esibendo il Rolex sopra il polsino, oggi osservando le proposte del lusso, troveremo soprattutto esperienze, sempre più estreme, che vanno dal pernottamento nell’igloo, all’uso di un nuovo device e di una tecnologia di nuovissima generazione, alla SPA più esclusiva, e via dicendo. Sono cambiati i paradigmi. Non conta tanto ciò che indossi, ma cosa fai e insieme a chi. Non che prima simili esperienze non contassero, figuriamoci, ma adesso sono soprattutto queste a segnare la linea di demarcazione.
Cara Clem, qualsiasi tuo intervento in questo campo è preziosissimo, dato che come dici hai lavorato direttamente sul pezzo per molti anni! Quello che dici sulla moda shabby chic è molto interessante; si dice sempre, in effetti, che è l'arricchito che prova il bisogno di ostentare e non il ricco per nascita. Mi viene in mente una vasta filmografia in proposito sui cafonal, non esclusa La grande bellezza o Cetto La Qualunque solo per citare i più recenti.
I tuoi esempi sulle esperienze come lusso estremo sono proprio, in parte, quelle che cita l'articolo di cui ti riportavo il link nel precedente commento.
Ci sono anche controtendenze estreme sull'uso della tecnologia: mentre la massa è appiccicata al cellulare di ultimissima produzione come se fosse una terza mano, ci sono persone che scelgono di disconnettersi quasi completamente – anche manager di alto bordo – ed evidentemente, se lo fanno, se lo possono permettere. La solitudine e il silenzio come nuova frontiera del lusso, in un certo senso.
Tra poco arrivo sul tuo blog! 😉
Bello!
Grazie mille. 🙂
Non credo che oggi ci siano status symbol per la moda maschile: l'abbigliamento moderno punta alla comodità, cosa che non avevano gli abiti che si usavano fino al XIX secolo.
Per le donne credo invece che sia la borsetta l'accessorio irrinunciabile. E poi i tacchi alti, che danno quel giusto tocco di masochismo. 🙂
Caro Marco, il problema dei commenti si è risolto da solo come nella migliore tradizione di Blogger. Dunque, stavo dicendo che avevo pensato anch'io alla borsetta per le donne come oggetto di lusso, ma avrei pensato comunque a un maglione di cachemire per gli uomini. Un casual elegante, voglio dire.