Riprendo con questo post il filone dei “vasi comunicanti”, che di recente ho un po’ trascurato. Come sapete, sono stata travolta da alcuni progetti che sono giunti a cottura contemporaneamente, e quindi ho dovuto correre di qua e di là per regolare la fiamma sotto le pentole e assicurarmi che gli arrosti non bruciassero.

Dedico questo articolo al tema generale del viaggio, e a quello più particolare dei mezzi meccanici di locomozione. Il viaggio è una delle esperienze più belle che possa compiere un essere umano, e come tale ha un testimonial d’eccezione in Sant’Agostino: “Il mondo è un libro e chi non viaggia ne conosce solo una pagina“. La meta del proprio viaggio non dev’essere posta in capo al mondo, ma può essere anche il viaggio da un quartiere all’altro – pensiamo soltanto all’opera di Joyce, Ulysses – o dalle immediate prossimità della propria casa, o addirittura dentro casa – e un eccellente esempio è il magico armadio di Lucy in Le Cronache di Narnia, per fare incontri altrettanto esotici e straordinari. Il viaggio può essere anche fatto con la mente e l’immaginazione, nel caso sia difficoltoso muoversi per motivi economici o di deambulazione.

Non è un caso che il tema sia stato molto trattato in letteratura, che è il primo veicolo per poter viaggiare senza sosta, e in modo economico se paragonato alle risorse di tempo, mezzi e denaro che spesso un viaggio comporta. La mia carrellata sarà comunque ben lungi dall’essere esaustiva, e potrete arricchirla e completarla con altri esempi a vostro piacere. L’articolo è diviso in due parti, che saranno pubblicate una di seguito all’altra, in quanto mi sono resa conto che sarebbe stato molto lungo. Come variante ho inserito anche l’abbinamento a una canzone e un film.

Inizio la mia rapida carrellata con il mezzo di trasporto che preferisco sopra tutti, ovvero:

Il treno

La bestia umana di Émile Zola (1890)

Ero convinta di aver letto almeno un romanzo sui treni, invece mi sbagliavo o la memoria mi faceva difetto. Ho dunque rimediato leggendo in ebook La bestia umana (titolo originale La Bête humaine), e ne sono rimasta folgorata perché. secondo me, è un autentico capolavoro. Si tratta di un romanzo pubblicato nel 1890, diciassettesimo del ciclo de I Rougon-Macquart. Ambientato tra Parigi e Le Havre nel mondo dei macchinisti, sorveglianti di passaggi a livello e dei capo stazione, il romanzo si avvale di un gran numero di personaggi mossi da pulsioni bestiali: essi soffrono di attacchi di violenza come il protagonista Roubaud, turbe psichiche come il desiderio inconsulto di uccidere nel caso di Jacques Lantier, macchinista del direttissimo Parigi-Le Havre o come Flore, ragazza solitaria, selvaggia e forzuta, addetta alla vigilanza del passaggio a livello. Le donne sono quasi sempre vittime in questo romanzo narrato con stile crudo e asciutto, come Séverine Aubry, moglie di Roubaud, picchiata dal marito o, nella sua infanzia, soggetto di inenarrabili abusi. Deus ex-machina è il presidente Grandmorin, membro del consiglio di amministrazione della Compagnia, individuo che, nel corso della narrazione, si rivela come un autentico verminaio ambulante.

Il romanzo è ambientato all’epoca del secondo impero di Napoleone III, ed è narrato secondo le regole del Naturalismo francese, descrivendo la natura umana con l’occhio obiettivo di un entomologo senza gli orpelli e i sentimentalismo dei Romantici. Anche gli ambienti tristi e squallidi concorrono a rendere desolata l’atmosfera del romanzo, e ad accentuare tematiche come quella dell’alcolismo, della violenza e della follia omicida. A parte le magistrali descrizioni ambientali, molto interessante è anche il lavorio della mente dei protagonisti, specialmente quando meditano di compiere un delitto, e delle giustificazioni che trovano per commetterlo. Simbolo del progresso industriale e nella potenza dei nuovi mezzi di trasporto, il treno spesso diventa un vero e proprio personaggio, anzi, una persona in carne e ossa come nel caso della locomotiva Lison guidata da Jacques Lantier che per lei nutre un autentico affetto.

Il treno nella neve di Claude Monet (1875) 

Nello stralcio che vi propongo, dell’iniziale capitolo, i Roubaud sono affacciati alla finestra del fabbricato della Compagnia dell’Ovest, in una stazione periferica di Parigi, e assistono all’andirivieni dei treni. Questo è il primo incontro del lettore con l’ambiente d’elezione in cui si muovono i personaggi:

Sotto di loro le piccole locomotive di manovra andavano e venivano senza sosta; si avvertiva appena quando si mettevano in moto, come buone massaie attive e prudenti, le ruote ronzanti, il fischio discreto. Una di esse passò, disparve sotto il pont de l’Europe, convogliando al deposito le vetture staccate da un treno di Trouville; oltre il ponte, sfiorò un’altra locomotiva uscita tutta sola dal deposito, passeggiatrice solitaria luccicante di acciaio e di ottone, fresca e gagliarda, pronta al viaggio. Questa si fermò, chiese con due brevi fischi via libera allo scambista, e quasi subito fu inoltrata verso il suo treno già formato lungo la banchina sotto la pensilina delle grandi linee. Era il treno delle quattro e venticinque per Dieppe. Una folla di viaggiatori si affrettava, si sentiva il rotolio dei carretti carichi di bagagli, alcuni uomini trasportavano nelle vetture gli apparecchi metallici con l’acqua calda. Ma la locomotiva e il carro scorta avevano raggiunto il bagagliaio con un urto sordo, e si vide il capo manovratore stringere da solo il gancio di trazione fra i respingenti. Verso Batignolles il cielo s’era oscurato; una cenere crepuscolare, inghiottendo i caseggiati, sembrava già effondersi sul ventaglio spiegato dei binari, mentre lontano, in quel trascolorare, si incrociavano senza sosta le partenze e gli arrivi della “banlieu” e della Ceinture. Oltre la cupa distesa dei mercati coperti, su Parigi abbuiata fluttuavano brandelli di fumi rossastri.

La canzone: Il treno di Riccardo Cocciante (1979)
Il film: La ragazza del treno (2016) diretto da Tate Taylor


La moto

Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta 
di Robert M. Pirsig 

“Il Buddha, il Divino, dimora nel circuito di una calcolatrice o negli ingranaggi del cambio di una moto con lo stesso agio che in cima a una montagna o nei petali di un fiore.” Questo pensiero è il cuore del libro di Robert M. Pirsig del 1974. È una sorta di autobiografia di un viaggio (a metà fra il reale e il metaforico) in cui l’autore e il figlio Chris attraversano in motocicletta gli Stati Uniti dal Minnesota alla California. Il racconto, ricco di descrizioni particolareggiate di visioni e paesaggi, è intercalato da digressioni di carattere filosofico. Il protagonista è impegnato anche nella assidua ricerca del proprio io primitivo, Fedro, quella parte della sua personalità che lo aveva già condotto in precedenza sull’orlo della follia e che durante il viaggio preme prepotentemente per riemergere. Nel romanzo il senso della ricerca fa da carburante allo spostamento fisico e a quello interiore, e meta ultima è la Qualità che tutti noi perennemente ricerchiamo.

Autoritratto con la motocicletta di Antonio Ligabue

Ecco un passaggio del libro a poche pagine dall’inizio, che spiega che cosa significa inforcare una motocicletta e compiere un viaggio come centauro:

“Se fai le vacanze in motocicletta le cose assumono un aspetto completamente diverso. In macchina dei sempre in un abitacolo; ci sei abituato e non ti rendi conto che tutto quello che vedi da quel finestrino non è che una dose supplementare di TV. Sei un osservatore passivo e il paesaggio ti scorre accanto noiosissimo dentro una cornice.

In moto la cornice non c’è più. Hai un contatto completo con ogni cosa. Non sei più uno spettatore, sei nella scena, e la sensazione di presenza è travolgente. È incredibile quel cemento che sibila a dieci centimetri dal tuo piede, lo stesso su cui cammini, ed è proprio lì, così sfuocato eppure così vicino che col piede puoi toccarlo quando vuoi – un’esperienza che non si allontana mai dalla coscienza immediata.” 

Quando lo lessi molti anni fa, trovai il romanzo molto gradevole, ma inutilmente lungo in alcuni passaggi descrittivi e soprattutto pesante per l’insistenza dell’autore sul suo pensiero filosofico e sulla sua personale visione del mondo. Con tutta probabilità concorreva ad accentuare il mio senso di insofferenza il mio scarso amore per i mezzi meccanici! Proprio di recente ho saputo che il blogger Ivano Landi lo aveva letto, e quindi sono curiosa di avere il suo commento su questo libro in particolare.

La canzone: Motocicletta di Lucio Battisti (1970)
Il film: Easy rider diretto e interpretato da Dennis Hopper (1969)




L’automobile

Sulla strada di Jack Kerouac


L’autore di questo romanzo celeberrimo sarebbe in totale disaccordo con il precedente, in quanto la protagonista assoluta di Sulla strada è proprio l’automobile. Si tratta di un romanzo autobiografico, scritto nel 1951 e basato dall’autore su una serie di viaggi in automobile attraverso gli Stati Uniti, in parte con il suo amico Neal Cassady e in parte in autostop. Pieni di ansia di vita, Dean e Sal (Ned Cassidy) si mettono in viaggio sule interminabili highway dell’America e del Messico, compiendo una serie di esperienze e di incontri impattanti. L’opera è anche un romanzo sull’amicizia, sulla libertà. sulla fuga dalla noia e dalla morte, sulla rivolta nei riguardi delle convenzioni sociali, sul bisogno di scoprire il mondo e se stessi attraverso il contatto con la vita reale. 

Great old gas stations 

Pubblicato per la prima volta il 5 settembre 1957, il libro divenne in seguito un testo di riferimento, quasi un manifesto, a ispirazione della cosiddetta Beat Generation. Non a torto, Sulla strada  è considerato uno dei più grandi romanzi del XX secolo e inserito a buon diritto nelle antologie letterarie di lingua anglosassone.

Ecco uno stralcio su come Dean interpreta il suo pazzo rapporto con l’automobile come custode di parcheggi, diventando quasi un tutt’uno con il mezzo meccanico:

“Il più fantastico custode di posteggi al mondo, capace di far fare marcia indietro a una macchina a settanta chilometri l’ora in una strettoia inverosimile fermandosi al muro, balzare fuori, correre in mezzo ai parafanghi, saltare su un’altra macchina, farla girare in tondo a ottanta chilometri l’ora in uno spazio ristretto, indietreggiare di volata in un posticino invisibile, vamm, bloccare la macchina col freno a mano così che si poteva vederla rimbalzare mentre lui schizzava fuori; poi sparire nel gabbiotto dei biglietti, scattando come un asso del podismo, porgere un biglietto, saltare dentro a una macchina sopraggiunta prima che il proprietario ne fosse completamente uscito, scivolargli letteralmente d sotto mentre quello sta uscendo, avviare la macchina con lo sportello aperto che sbatte e partire rombando verso il punto libero più vicino, una giravolta, infilarcisi rapido, frenare, fuori, via; e così senza soste otto ore ogni notte, nelle ore di punta serali e in quelle dopo il teatro, in pantaloni bisunti color vino e con una sdrucita giacchetta orlata di pelo e logore scarpe ciabattanti.”

Avete visto? È un’unica, lunghissima frase separata da un unico punto e virgola, e costellata da virgole che sembrano assecondare il ritmo dei movimenti convulsi e frenetici di Dean. Alla faccia di tutte le regole di scrittura di scrittura creativa e degli amanti della frase a singhiozzo (“Si fermò. Pensò. Si riavviò. …”).

La canzone: Torpedo Blu di Giorgio Gaber (1968)
Il film: Il sorpasso di Dino Risi (1962)

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Alla prossima con il secondo e ultimo appuntamento con i mezzi di trasporto. Che cosa ne pensate dei miei abbinamenti, vi vengono in mente altri romanzi, canzoni o film?

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Fonti testi:


  • La bestia umana di Émile Zola – edizione BUR
  • Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta di Robert M. Pirsig – Adelphi
  • Sulla strada di Jack Kerouac – Oscar Mondadori


Immagine di apertura: Pixabay