Many happy returns of the day di W.P. Frith (1856)

La famiglia, croce e delizia di ogni essere umano che non sia venuto al mondo su un’isola, perdendo subito i genitori e rimanendo solo… Come nel famoso incipit di Anna Karenina, che ho inserito parzialmente nel titolo di questo post, appartenente alla serie tematica che ha alcuni punti di contatto con “i vasi comunicanti”. Con la famiglia non paiono esserci, infatti, mezze misure, perlomeno in letteratura: o la considera come un rifugio sicuro e una serie di relazioni che ti danno stabilità e conforto, oppure si tratta di un vero inferno sulla terra dove i componenti sono come dei forzati legati da catene che passano il loro tempo a torturarsi a vicenda, psicologicamente e, a volte, anche fisicamente.


Mi spaventava un po’ l’idea di affrontare questo tema immenso, che è stato trattato in veri capolavori letterari, anche se le grandi saghe familiari mi hanno sempre affascinato. Lungi dal farmi spaventare dalla complessità degli intrecci genealogici, dal ripetersi degli stessi nomi nel caso dei discendenti maschi delle antiche casate, dal numero dei personaggi e dalla diversità delle ambientazioni, mi getto a capofitto ogni qualvolta si presenti un romanzo appartenente a questi cicli. Il numero dei componenti familiari che affollano i grandi romanzi ottocenteschi è senz’altro dovuto al puro e semplice fatto che, un tempo, si facevano più figli. Se proviamo a comporre l’albero genealogico della nostra famiglia, risalendo almeno a due generazioni indietro, e ne possiamo rendere conto da noi stessi.

Del resto, mi sono resa conto che la maggior parte delle narrazioni hanno come base di partenza una famiglia, grande o piccola che sia; anche Mowgli de Il libro della giungla è membro di una vera famiglia, quella dei lupi che lo hanno allevato. E alla sua famiglia umana originaria ritorna, alla fine.

Semmai, la difficoltà è stata quella di scegliere in un repertorio vastissimo. Potrei scartare, ad esempio, Guerra e Pace di Tolstoj? Ebbene sì, ho dovuto farlo. E che mi dite de I Buddenbrook di Thomas Mann? O di Orgoglio e Pregiudizio dell’inglese Jane Austen? Altre rinunce. Alla fine il criterio di fondo, almeno per le opere letterarie, è stato quello di proporre tre capolavori generati da tre differenti culture, che vado a presentare senza rubare altro spazio.



IN LETTERATURA:


I fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij



Si tratta dell’ultimo romanzo scritto dall’autore russo, e a cui si accenna in una lettera dell’autore del 1878 al pedagogo Michajlov.  È ritenuto il vertice della sua produzione letteraria, un capolavoro della letteratura dell’Ottocento e di ogni tempo. Pubblicato a puntate su Il messaggero russo a partire dal gennaio 1879, fu completato solo pochi mesi prima della morte dello scrittore.

La trama del romanzo si sviluppa attorno alle vicende dei membri della famiglia Karamazov, al contesto in cui matura l’assassinio di Fëdor, il capofamiglia e al conseguente processo nei confronti di Dmitrij, il figlio primogenito accusato di parricidio. Ma sono anche altri i temi trattati, tra cui il peccato, che assume un aspetto fisico e uno metafisico. I Karamazov sono divorati da una violenta passione, che in ognuno di loro prende forme diverse, a partire dalla sensualità animalesca del padre fino ad arrivare alla superbia metafisica dell’ateo Ivan, il secondogenito. Anche nel puro Alëša Karamazov a un certo punto prende vita il conflitto morale tra fede, dubbio, ragione e libero arbitrio. Un altro dei grandi temi è, difatti il contrasto tra giustizia divina e giustizia terrena, soprattutto per sanare e comprendere il male fatto agli innocenti, ai bambini che soffrono.

Tornando al tema del nostro post, qui la famiglia è vissuta nei suoi aspetti più ribollenti, violenti e sordidi, dove ogni componente sembra perennemente attraversato da una corrente elettrica che lo porta al delirio. Nell’estratto che riporto c’è una delle prime scene del romanzo: il consesso familiare si reca dallo stàrets Zòsima, il santuomo presso cui  Alëša è seminarista, per dirimere la contesa di natura economica tra il vecchio Karamazov e il figlio Dmitrij. Il padre, che si comporta in modo istrionico suscitando il disprezzo del figlio, a un certo punto insinua che il figlio stia scialacquando il suo denaro per una donna di malaffare, prendendone anche a prestito da un’altra (si riferisce alla fidanzata del figlio):

– Tacete! – gridò Dmitrij Fjòdorovič, – aspettate che io me ne sia andato, guardatevi dall’infangare in mia presenza la più nobile delle fanciulle… Per lei è già un disonore che osiate farne parole… Non lo permetterò!
Egli soffocava.
– Mìtja! Mìtja – si mise a gridare Fjòdor Pàvlovič nervosamente, spremendosi dagli occhi le lacrime, – e la benedizione paterna che cosa conta? Che avverrà se ti maledirò?
– Svergognato e ipocrita! – ruggì Dmitrij Fjòdorovič, furioso.

I Viceré di Federico De Roberto



I Viceré è il romanzo più celebre di Federico De Roberto, ed è ambientato sullo sfondo delle vicende del risorgimento meridionale, qui narrate attraverso la storia di una nobile famiglia catanese, quella degli Uzeda di Francalanza, discendente da antichi Viceré spagnoli della Sicilia ai tempi di Carlo V. La stesura del romanzo, iniziata a Catania nel settembre 1891, fu lunga e difficoltosa. L’opera fu pubblicata dall’editore Galli di Milano nell’agosto 1894.

I componenti della famiglia degli Uzeda sono accomunati dalla razza e dal sangue vecchio e corrotto, dovuto anche ai numerosi matrimoni tra consanguinei. Quanto emerge da questa famiglia è la spiccata avidità, la sete di potere, le meschinità e gli odi che i componenti nutrono l’uno per l’altro. Non c’è un briciolo di amore familiare, ma solo opportunismo, durezza e sete di vendetta, che trovano il loro compimento dopo la realizzazione dell’unità d’Italia, quando l’erede dei Francalanza, Consalvo figlio di Giacomo, va a Roma per prendere parte alla vita politica.

Il romanzo è infatti anche una rappresentazione dagli accenti forti e disillusi della storia italiana tra il Risorgimento e l’unificazione (negli anni tra il 1855 e il 1882, nella quale si svolgono le vicende e le fortune degli Uzeda). La genealogia familiare è molto complicata, e all’epoca della mia lettura dovetti farmi un albero genealogico con tutti i personaggi, dato che i nomi dei maschi variavano da Giacomo a Consalvo per ritornare a Giacomo e poi riprendere con Consalvo. Se non ci si fa scoraggiare da questo, il romanzo è straordinario, teatrale, vivo e sanguigno e lo si gode fino in fondo; e, se si pensa alla modalità di scrittura dell’epoca, è senza dubbio un’opera monumentale che si avvale di una scrittura molto alta.

Verso il finire del libro, sembra di risentire certi accenti de Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa:

“La storia è una monotona ripetizione; gli uomini sono stati, sono e saranno sempre gli stessi. Le condizioni esteriori mutano; certo, tra la Sicilia di prima del Sessanta, ancora quasi feudale, e questa d’oggi pare ci sia un abisso; ma la differenza è tutta esteriore. Il primo eletto col suffragio quasi universale, non è né un popolano, né un borghese, né un democratico: sono io, perché mi chiamo principe di Francalanza. Il prestigio della nobiltà non è e non può essere spento. Ora che tutti parlano di democrazia, sa qual è il libro più cercato alla biblioteca dell’Università, dove io mi reco qualche volta per i miei studii? L’Araldi sicolo dello zio don Eugenio, felice memoria. Dal tanto maneggiarlo, ne hanno sciupato tre volte la legatura! E consideri un poco: prima, ad esse nobile, uno godeva grandi prerogative, privilegi, immunità, esenzioni di molta importanza. Adesso, se tutto questo è finito, se la nobiltà è una cosa puramente ideale e nondimeno tutti la cercano, non vuol dire che il suo valore e il suo prestigio sono cresciuti?”

Neve sottile di Junichiro Tanizaki

Per certi versi questo bel romanzo mi ha ricordato Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen con cinque sorelle da maritare. La differenza che qui siamo in un contesto nipponico, ma la “caccia” al marito è più che mai aperta. Neve sottile è la storia delle quattro sorelle Makioka, intente a trovare un marito per la timida terzogenita Yukiko.  Yukiko dimostra una forte insofferenza alla tradizione dell‘omiai, la pratica di incontri combinati dalle famiglie dei futuri sposi per far conoscere l’un l’altra. Nel corso della narrazione ce ne saranno cinque, al punto da far disperare nel successo dell’impresa.

Appartenente alla borghesia di Osaka, la famiglia Makioka si dimostra ancorata alle proprie tradizioni, come l’osservanza alle direttive provenienti dalla “casa maggiore” di Tokyo, cioè la dimora dove risiede la sorella maggiore sposata, o la visita ai santuari in occasione della fioritura dei ciliegi, o l‘uso del chimono in determinate solennità.

Il contesto storico è quello del secondo conflitto mondiale, e più precisamente degli anni della guerra con la Cina, fra il 1936 ed il 1942, ma la guerra è come vista sullo sfondo e di essa non arriva che un’eco nelle vicende familiari che rimangono equilibrate e rinchiuse tra le mura domestiche. Nel 1942 il governo giapponese impose la censura su Neve sottile, perché trascurava le istanze patriottiche del momento.

Altro pregio di questo autore è la raffinatezza psicologica con cui tratteggia i suoi personaggi, presi tra tradizione e voglia di modernità. Ricordo che quando lo lessi fui totalmente partecipe delle vicende familiari e preoccupata per Yukiko che sembrava condannata a un destino di solitudine e d’infelicità. Di particolare interesse è anche l’approccio alla vita da parte di una cultura così diversa dalla nostra, dove l’affetto si esprime non con grandi proclami, ma con piccoli gesti e attenzione e con l’intensa corrispondenza tra le sorelle. Anche nelle scene con grandi catastrofi naturali – c’è lo straripamento di un fiume – i personaggi affrontano il pericolo con la dignità e il sangue freddo che tutti noi abbiamo imparato ad ammirare in occasione del disastro di Fukushima.

Ecco a voi l’incipit del romanzo:

“Per favore, Koi-san, vuoi aiutarmi?”  Sachiko vide nello specchio il volto della sorella che si era avvicinata e, smettendo di incipriarsi alle spalle, le tese subito il piumino. Ma non staccò gli occhi dalla propria immagine riflessa e continuò a osservarla con fredda volontà di indagine, come se avesse appartenuto a un’altra persona. La lunga sottoveste, rialzata intorno alla gola, si allargava rigida sulla parte posteriore, in modo da lasciare scoperti spalle e dorso. “Dov’è Yukiko?”

NEI FILM:


Solo un padre di Luca Lucini

È stata dura scegliere un film e ho girovagato tra La famiglia di Ettore Scola a Fanny e Alexander del regista svedese Ingmar Bergman, ma alla fine mi sono orientata su un film italiano con una famiglia composta da sole due persone. D’altra parte sono anche convinta che una famiglia possa essere composta da una sola persona, ma si tratta di un parere del tuttoarbitrario.

Solo un padre è un film del 2008 diretto da Luca Lucini e con la partecipazione di Luca Argentero e Diane Fleri, basato sul romanzo di Nick Earls Le avventure semiserie di un ragazzo padre. Carlo (Luca Argentero) è un vedovo trentenne con una bimba di dieci mesi di cui si prende cura con devozione assoluta. La madre è morta di parto, e da quel momento l’uomo si è chiuso a ogni relazione sentimentale, tenendo se stesso e la bimba dentro una sorta di cerchio magico dove c’è posto soltanto per loro. Nonostante una professione ben avviata, quella di dermatologo, conduce infatti una vita solitaria e, all’inizio, un poco misteriosa, almeno agli occhi di Camille, una giovane ricercatrice francese. La ragazza è profondamente attratta da lui, e nello stesso tempo si sente perdente nel confronto con la moglie defunta, bellissima e perfetta in ogni aspetto; e sbaglia anche nei tentativi di aiutare Carlo a gestire il dolore per una perdita insopportabile. La cosa si riflette anche nel rapporto di Camille con la bambina, verso cui Carlo si dimostra troppo apprensivo. Lentamente però la ragazza riesce a capire che non tutto era ora quel che riluceva nella vita di coppia, all’apparenza tanto perfetta, condotta da Carlo con la moglie…


Il film è semplice e delicato, gli attori sono calati benissimo nel loro ruolo, e il regista riesce ad affrontare con la dovuta abilità un tema non comune, quella degli uomini che, d’improvviso, si trovano soli a gestire una situazione familiare difficile e devono assumere su di sé il doppio ruolo di padre e madre. C’è moltissimo amore da parte di Carlo nei confronti della figlia, e sono commoventi le scene in cui si trova a gestire le piccole crisi ed emergenze e in cui non sa da che parte girarsi. La bimba, poi, è deliziosa!


NEI FUMETTI:

The Newlywed di McManus



Anche qui ho vissuto in uno stato d’impasse assoluta, saltabeccando tra la mia famiglia preferita, i Simpson ai simpaticissimi Flinstones de Gli Antenati, per poi passare ad Arcibaldo e Petronilla. Proprio questi ultimi mi hanno fatto ricordare di avere in casa un vecchio volume che mi fu regalato da ragazzina, che s’intitola I primi eroi. Questo volume presenta le primissime strip comiche agli albori del fumetto, alcune delle quali sono delle vere e proprie chicche.

All’interno c’è una sezione dall’ironico titolo “Le gioie della famiglia”, da cui ho attinto una tavola dei Newlywed, che potete allargare cliccando sopra l’immagine. La parola corrisponderebbe a “gli sposini”. Queste tavole apparvero su Il Corriere dei Piccoli dal 1910 in poi. L’autore, McManus, fa conoscere la upper class americana anche attraverso le tavole di Maggie e Jiggs, da noi conosciuti proprio come Arcibaldo e Petronilla.

I Newlywed sono una coppia giovane formata da una mamma bellissima ed elegante, con una gran chioma arricciata, e abiti sempre diversi, mentre il marito è brutto e debole, e pronto ad assoggettarsi non soltanto ai capricci della moglie, ma soprattutto a quelle del loro figlio. Il pupo è un’autentica peste con un solo capello e un solo dente, e ne combina di tutti i colori ai danni di amici, vicini di casa e parenti. In America fu battezzato Napoleon, in Italia Cirillino. L’ambiente dove vivono è una bella villetta con giardino, con stanze ariose e accoglienti contraddistinte da un grande benessere economico e sociale. Le tavole sono lo specchio di un’America che non era più quella dura dei pionieri e degli allevatori, ma una nazione sempre più agiata, perlomeno negli strati più alti e, come tale, pronta ad accontentare tutte le pretese dei figli, viziandoli all’infinito.

Nella tavola che vi propongo, Cirillino per una volta non combina nessun guaio, ma avviene qualcosa di epocale: dice la prima parola, e l’evento scatena una serie di telefonate a catena tra parenti e conoscenti sempre più estasiati, per arrivare addirittura al presidente degli Stati Uniti. Non so a voi, ma a me ricorda tanto certi comportamenti presenti in Italia, dove nascono pochissimi e ipervezzeggiati bambini…

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Sulla nota dolcemente ironica dei Newlywed concludo la mia incompleta rassegna e chiedo a voi di scatenarvi con le vostre famiglie, letterarie, cinematografiche e tratte dai cartoon! O anche, perché no? dai vostri ricordi personali. 

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Fonti dei testi:

  • Wikipedia per le trame, fortemente adattate e integrate
  • I fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij – I grandi libri Garzanti
  • I Viceré di Federico De Roberto – Einaudi
  • Cent’anni di solitudine di Gabriel García Márquez – Oscar Mondadori
  • Neve sottile di Junichiro Tanizaki – Guanda
  • I primi eroi – Garzanti