Anto’, fa caldo!” esclamava un’avvenente signora in una nota pubblicità. Siccome il mese di luglio è notoriamente rovente, e molti della blogosfera sono provati dalle temperature, non vogliamo affaticare le nostre meningi con post troppo impegnativi, nevvero? Giammai, miei signori! Non lo faremo, sia che vi troviate in città per motivi di lavoro, sia che siate già nelle amene località di ristoro (sto parlando come i simpaticissimi autori di Feudalesimo e libertà). 😉

Ragion per cui ho pensato a un post imperniato su una breve carrellata di modi di dire che pronunciamo molto spesso, e che derivano dal nostro caro Medioevo. Siccome anch’io non ho intenzione di impegnarmi troppo, ho tratto ogni definizione da una fonte ben precisa, che citerò ogni volta. Per rendere più gradevole la cosa, ho inoltre pensato di inserirli come esempi tratti dal mondo editoriale della scolastica, che conosco piuttosto bene. L’ambientazione di ogni scenetta avviene nella casa editrice “Stampiamo di tutto” che è sull’orlo del fallimento. Cominciamo subito!

DETTO n. 1 – In casa editrice, il redattore Giusto Precisini, che di solito si accorgere anche di una formica che transita, ha fatto passare un clamoroso refuso in una formula su un testo di chimica. Se venisse eseguito l’esperimento con la procedura proposta, si determinerebbe un’immane esplosione in laboratorio. Il preside di una scuola che ha adottato il testo, il professor Canuto Borbottone, ha mandato alla casa editrice una lettera al vetriolo. Il redattore viene convocato dal direttore editoriale, furibondo. Esce malconcio dall’ufficio e mormora mestamente: “Me la sono cavata per il rotto della cuffia.”

Cavarsela per il rotto della cuffia (dal dizionario Treccani): Oggi si dice cavarsela o farcela per il rotto della cuffia “superare alla meglio una situazione difficile“; un tempo si diceva uscire per il rotto della cuffia, alludendo (ma, secondo il DELI, Dizionario Etimologico della Lingua Italiana di M. Cortelazzo e P. Zolli, l’ipotesi è da verificare) all’antico gioco (o giostra) medievale del Saracino o della Quintana. Il cavaliere in gara, lanciata al galoppo la cavalcatura, doveva colpire un bersaglio o infilare la lancia in un anello portandolo via, evitando di essere abbattuto dall’automa girevole contro il quale si gettava. Se il braccio dell’automa si metteva in moto colpendo il copricapo (cuffia) del cavaliere, senza però abbattere quest’ultimo, si diceva che il cavaliere era uscito per il rotto della cuffia, insomma, che ce l’aveva fatta nonostante la cuffia fosse stata colpita o rotta.

DETTO n. 2 – Il grafico Giorgio Manibucate, Spandy per gli amici, è un inguaribile spendaccione. Aspetta con ansia l’arrivo dello stipendio e nel frattempo non perde occasione per lamentarsi di guadagnare troppo poco. Nel controllare il suo conto in banca, sospira fortemente: “Non capisco come possa succedere… sono sempre al verde!

Essere al verde (da Wikipedia): Essere al verde è un modo di dire tipico della lingua italiana colloquiale, ma anche letteraria, che significa “rimanere senza un soldo“. L’espressione è diffusissima, ma l’origine è sconosciuta ai più. Si propongono diverse ipotesi:

– Nelle sue Note al Malmantile riacquistato (1688), Paolo Minucci ricorda come nelle aste pubbliche del Magistrato del Sale di Firenze si adoperassero, come ‘segnatempo’, delle lunghe candele di sego tinte di verde nell’estremità inferiore: quando la candela arrivava “al verde”, l’asta si chiudeva. Da qui era nata l’espressione la candela è al verde, per indicare che il tempo era finito, ma anche essere al verde di denari, che in seguito nell’uso comune si è contratta nell’attuale essere al verde.
– In un altro caso potrebbe derivare dal fatto che la “fodera” interna del portafogli era in genere di colore verde, per cui all’apertura dello stesso, essendo vuoto, si poteva vedere solo la fodera.
– Secondo un’altra teoria, l’espressione deriverebbe da un’usanza medievale che prevedeva l’accensione di una lanterna verde quando era pronto il cibo per una speciale categoria di poveri, i “vergognosi”, coloro cioè che non erano nati poveri ma che lo erano diventati e che per questo motivo non si adattavano alla questua “normale”. Questa usanza permetteva loro di entrare nell’ente caritatevole in silenzio, senza bussare, con minori probabilità di essere visti.
– Solamente i poveri non avevano i soldi per comperare una candela nuova quando essa era finita, cosicché la utilizzavano fino alla base, che, un tempo, era sempre di color verde.




DETTO n. 3 – Durante la riunione commerciale, il direttore del reparto Promozione e Sviluppo, ovvero il dottor Cupido Bramosi, sta discutendo con i suoi agenti delle strategie di marketing per la promozione di una novità. A un certo punto urla contro il nuovo arrivato, l’agente Marchino Peretti: “Ma non dica fesserie! È tutto un altro paio di maniche!”

Essere un altro paio di maniche (da Wikipedia): Il detto è ancora molto usato, benché alla lettera risulti praticamente incomprensibile a chi non conosca l’usanza dell’abbigliamento medievale e rinascimentale, soprattutto femminile, che prevedeva maniche intercambiabili. Numerosi ritratti tra Quattro e Cinquecento mostrano infatti dame con la veste alla quale sono applicate maniche ornatissime, con ricami, nastri, spacchi e sbuffi, che costituivano spesso l’elemento più ricco e ricercato della veste. Non era raro infatti che le maniche fossero un prezioso dono offerto dal fidanzato alla futura sposa. 

DETTO n. 4 – Le segretarie editoriali spettegolano sulla nuova tresca che sta nascendo tra Luisa Taccododici e il suo collega Martino Momelapiglio. Una delle due dice: “Hai saputo? Lui ha deciso di divorziare dalla moglie!” e alla notizia Arianna De’ Lusione cade dal pero perché sperava di essere lei la prescelta.

Cadere dal pero (da Wikipedia): L’espressione potrebbe derivare dall’antica locuzione stare sulle cime degli alberi, adoperata per designare chi parlava in modo troppo difficile o supponente: da cui l’invito a “scendere dal pero” e a tornare a comunicare coi propri simili.Chi invece “casca” dal pero, sperimenta un doloroso impatto con la realtà, dopo essere stato per troppo tempo nel mondo illusorio dei propri pensieri, o della propria infanzia, ecc.

 Aggiungo di aver scoperto in tempo recenti che in epoca medievale le piante di pero erano molto più alte di quelle odierne e quindi se cadevi dal pero rischiavi di farti molto male. A riprova di cioè eccovi una pagina dal titolo King Mark Pear Tree tratto da Tristan romance dove il re si nasconde nel folto del fogliame senza tema di essere visto.

DETTO n. 5 – Il programmatore Altero Tuttosò, della società informatica Techno Oracle, per errore ha inserito nel server un virus che si è diffuso in tutto il sistema aziendale, e sta minacciando di mandare in tilt i computer della casa editrice. Dopo immani sforzi il pericolo è stato scongiurato, ma il programmatore saccente deve presentarsi dal suo capo, che lo detesta, cioè andare a Canossa.

Andare a Canossa (da Wikipedia): L’espressione andare a Canossa nacque in riferimento all’umiliazione di Canossa ed è entrata da allora nell’uso comune. Essa viene utilizzata anche in altre lingue, come in quella tedesca (“nach Canossa gehen”), in inglese (“go to Canossa”), in francese (“aller à Canossa”) e in ebraico(“ללכת לקנוסה”). L’espressione deriva dal noto fatto storico e significa “umiliarsi, piegarsi di fronte a un nemico, ritrattare, ammettere di avere sbagliato, fare atto di sottomissione“. Essa trae le sue origini dall’avvenimento occorso a Canossa nel rigido inverno del 1077, allorquando l’imperatore Enrico IV attese per tre giorni e tre notti, scalzo e vestito solo di un saio, prima di essere ricevuto e perdonato dal papa Gregorio VII, con l’intercessione di Matilde di Canossa.

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Vi sono piaciuti i miei detti? Quali sono i vostri preferiti e che sono magari tipici delle vostre parti?

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Fonti immagini:




  • Kneeling knight, Westminster Psalter, c. 1250, London, British Library.
  • Servi della gleba – fonte ignota.
  • Ritratto di dama (La Belle Ferronière) di Leonardo da Vinci, 1490-1495. Parigi, Musée du Louvre.
  • King Mark in a pear tree, from a series of drawings illustrating the Tristan romance, England (London?), 2nd or 3rd quarter of the 13th century, Add MS 11619, f. 8r – British Library.
  • Enrico IV a Canossa, dipinto di Eduard Schwoiser, 1862.