Il giorno del debutto del mio spettacolo teatrale si sta avvicinando, gente! E quindi vi intratterrò ancora per un po’ con questa serie di post sulla figura di Bernabò Visconti che è il protagonista assoluto de


Il Diavolo nella Torre

la cui “prima” avverrà a Trezzo sull’Adda il giorno 8 luglio. In quanto a messere, si sta già lisciando le penne per l’occasione… Abbiate pazienza, e vedrete che non rimarrete delusi da ciò che vi racconterò.

Forse nessuna famiglia come quella dei Visconti, infatti, ebbe una fama così luciferina nella storia nostrana. I Borgia passarono ai posteri come corrotti, avidi e dissoluti, ma i Visconti emanarono fin dall’inizio un’aura senza dubbio sulfurea, vuoi per lo stemma col serpente vuoi per alcuni membri particolarmente letali. In questo caso, niente è più vero del motto “parenti-serpenti” in quanto molti Visconti si azzannarono tra loro, facendosi fuori a mezzo veleno o con il delitto su commissione, o provocando morti quantomeno sospette. I Visconti erano i peggiori nemici del Papa, da cui venivano scomunicati un giorno sì e l’altro pure, con l’accusa di essere degli eretici; e Bernabò aveva collezionato una lunga serie di scomuniche.

Il nostro Bernabò Visconti, di cui abbiamo diffusamente parlato nei post precedenti di questa serie a lui dedicata, non era secondo a nessuno, tanto da essere soprannominato il Diavolo. Nell’affresco che potete vedere sotto, sono riuniti i tre fratelli Visconti; nell’ordine partendo da destra, c’è il nostro Bernabò, Galeazzo e Matteo e, ultimo a sinistra, lo zio, l’astuto arcivescovo Giovanni. Nell’articolo ci occuperemo proprio dei fratelli, Matteo e Galeazzo, e poi del nipote Gian Galeazzo che ne determinò la rovina.

Non è facile districarsi nella genealogia della famiglia Visconti, che a un certo punto letteralmente si disseccò per mancanza di eredi maschi: Bianca Maria Visconti, figlia illegittima di Filippo Maria, sposò infatti il capitano di ventura del padre, ovvero un certo Francesco Sforza. A questo scopo ho preparato un albero genealogico con alcuni dei più importanti familiari. Dato che nello scorso post mi sono occupata delle donne di Bernabò (qui il link), mi sembra giusto dedicarmi ora ai parenti maschi con cui ebbe maggiori rapporti o che gli causarono più problemi; ma indirettamente parleremo anche delle donne. Il nostro Bernabò si trova in basso a destra, ed è evidenziato in neretto. Eccolo:

Partiamo quindi con i due fratelli Matteo e Galeazzo, e con l’anno 1349. Tutti i giovani Visconti rientrano infatti a Milano dall’esilio alla morte dello zio Luchino, richiamati dall’altro zio, l’arcivescovo Giovanni. Hanno trent’anni e le vicissitudini già sperimentate ne hanno indurito il carattere.

Matteo II Visconti

Sul dissoluto Matteo II c’è ben poco da dire, se non ricordare che al suo rientro viene fatto sposare con Bianca di Savoia, figlia del conte Aimone di Savoia, e che nella spartizione dei territori con i fratelli a lui spettano i domini subpadani (con accesso da Lodi): Lodi, Piacenza, Bobbio, Parma e Bologna. Assunti i pieni poteri, i tre fratelli prendono possesso di dimore adatte al loro rango, e Matteo va ad abitare in contrada San Clemente, in quella che è stata la lussuosa residenza privata di Giovanni Visconti: un palazzo prospiciente l’Arcivescovado, cui è collegato con un ponte a cavallo dalla strada.

Dopo nemmeno un anno di dominio congiunto da parte dei tre fratelli, il 29 settembre 1355, presso il castello di Saronno, al ritorno da una battuta di caccia presso Monza, dopo una cena Matteo lamenta forti dolori addominali e muore. Sulle circostanze di questa morte prematura circolano versioni differenti. Il cronista Pietro Azario attribuisce il decesso agli stravizi: “Solo dal vizio della lussuria era infangato.” Anche un altro contemporaneo, il Corio, attribuisce la sua fine alla vita dissoluta, dicendo che teneva più di una donna nel proprio letto, la qual cosa avrebbe finito per consumare il suo vigore giovanile. Per amor di completezza Corio aggiunge un’altra versione, addirittura con maledizione materna incorporata: Valentina Doria, la madre, avrebbe maledetto Bernabò e Galeazzo, colpevoli di aver avvelenato il lombo di maiale di cui Matteo era ghiotto. Esiste un’altra versione dello storico Villani, che conferma il fratricidio dopo una losca vicenda ancora una volta improntata alla lussuria. La versione più accreditata parrebbe quindi quella dell’avvelenamento.
Requiescat in pace. +

Galeazzo II Visconti 

Galeazzo è molto diverso dal fratello Bernabò, sia nell’aspetto fisico che nel carattere, almeno in apparenza. Mentre Bernabò è scuro come la pece, esuberante e chiassoso, Galeazzo è attraentechiaro di capelli e d’occhi, e ha un temperamento introverso raffinato; è inoltre molto interessato alla cultura. Ma non è né un ozioso né un debole e nasconde in sé una vena di sadismo pronta a manifestarsi alla prima occasione.

Prima di essere condannato all’esilio dallo zio Luchino nel 1346, Galeazzo non solo è sospettato di aver preso parte alla congiura per eliminarlo, ma di essere anche l’amante della moglie di Luchino, la genovese Isabella Fieschi soprannominata Fosca, non si sa se per il colore dei capelli e degli occhi oppure per il temperamento ombroso. Nel 1331 la giovane ha sposato Luchino, di molti anni più vecchio di lei. A Milano Isabella si annoia, e trova molto diletto nella compagnia dei nipoti del marito, oltretutto suoi coetanei (per l’appunto Matteo, Bernabò e Galeazzo)… specialmente in quella di Galeazzo. Isabella partorisce poi due gemelli: Luca, poi noto come Luchino Novello Visconti, e Giovanni. Parte alla volta di Venezia per un adempiere a un voto fatto a San Marco, nel caso le fosse nato un figlio, a bordo di una sontuosa imbarcazione. Su di essa di celebrano feste e festini, si suona e si danza e, così navigando e folleggiando, si giunge a Mantova e poi a Venezia. Allarmato dai resoconti della vita allegra condotta dalla moglie, Luchino la richiama a corte e Isabella ripercorre a malincuore il viaggio di ritorno. Egli sta facendo buon viso a cattivo gioco, ma sospetta che i due bambini siano figli di Galeazzo. Pare che, in seguito, sia addirittura Isabella la mandante dell’avvelenamento decisivo del marito. Al rimpatrio di Galeazzo dall’esilio, comunque, viene bandita insieme con i due bambini in un lontano castello ligure per chiudere una volta per tutte la questione.

Riprendiamo la successione cronologica delle vicende, dopo questa breve digressione su Isabella Fieschi. Alla morte di Matteo II, senza eredi, Galeazzo e Bernabò si spartiscono i suoi domini, spianando la strada per il grande “Stato Visconteo” che sarebbe stato definitivamente plasmato da Gian Galeazzo. I due fratelli danno prova di poter convivere a lungo e senza pestarsi troppo i piedi, tranne qualche momento di dissidio, e di accorrere l’uno in aiuto dell’altro in occasione delle numerose guerre causate da leghe antiviscontee. L’aver vissuto così tanto insieme durante l’esilio da Milano ha senza dubbio fatto sì che i fratelli conoscano a menadito pregi e difetti reciproci.  La sposa di Galeazzo è la dolce e caritatevole Bianca di Savoia, che con il marito condivide il gusto per una vita ritirata, lontana dalle manifestazioni più estreme della mondanità. Anche l’assegnazione dei domini di Galeazzo è significativa, dato che si tratta delle terre occidentali, vicine al dominio sabaudo da cui viene la moglie: Pavia, Como, Novara, Vercelli, Asti, Alba, Tortona, Alessandria e Vigevano.

Dal suo castello di Pavia, vero centro politico del dominio visconteo che Bernabò va allargando con i suoi continui conflitti, Galeazzo ordisce una complessa trama di alleanze diplomatiche per garantire stabilità allo Stato. Chiama a Pavia Francesco Petrarca come precettore per suo figlio Gian Galeazzo e come diplomatico. Abbellisce Milano ed il Milanese di molti edifici, avvia la costruzione della rocca di Porta Giovia che divenne in seguito il Castello Sforzesco, mentre il suo castello di Pavia diviene un cantiere aperto di artisti provenienti dall’Europa francofona che diffondono in Italia gli ultimi sviluppi dell’arte tardo gotica. Fonda anche l’Università di Pavia.

Galeazzo è però anche tristemente noto per il suo sadismo, e ad esempio per aver inventato la Quaresima, una pratica sadica che prevede l’alternanza, per i condannati al supplizio della ruota, di un giorno di atroci torture ad un giorno di riposo. I condannati muoiono spesso prima di poter essere suppliziati con la ruota. Galeazzo muore a Pavia nel 1378, ormai contorto nelle membra a causa di un’artrite deformante… e non c’è modo migliore per esprimere quello che doveva essere quest’uomo nel suo intimo: molto più significativo di qualsiasi ritratto di Dorian Gray.

Gian Galeazzo Visconti 

L’ultimo dei nostri personaggi è quello che si potrebbe definire come il più subdolo dei Visconti, ovvero Gian Galeazzo (Pavia, 16 ottobre 1351-Melegnano, 3 settembre 1402), l figlio ed erede di Galeazzo II. Viene detto Conte di Virtù dal nome di Vertus in Champagne, titolo portato in dote dalla prima moglie Isabella di Valois. Dopo la morte del padre, egli gli subentra nel governo dei territori.

Fin da giovane Gian Galeazzo dà prova di un carattere fintamente mite, quasi contemplativo, e amante delle arti. Appassionato della caccia col falco, e giudicato un imbecille dallo zio Bernabò, viene deriso da quest’ultimo per la sua scarsa discendenza, poiché dalla moglie francese egli ha avuto soltanto il piccolo Azzone e Valentina. Ma il fuoco cova sotto la cenere, ed egli aspetta soltanto l’occasione opportuna per liberarsi dell’ingombrante e troppo virile zio, che ha invece una moglie feconda e uno stuolo di amanti da cui ha avuto una trentina di figli, opportunamente accasati, e a cui la sorte sembra sorridere.

Gian Galeazzo è un uomo che sa scegliersi i consiglieri e i capitani degli eserciti, e ha già nominato, nel 1378, proprio capitano generale, quel Jacopo Dal Verme che gli sarà fedele per i successivi trent’anni. Nel 1380 asseconda lo zio Bernabò nella lotta contro i veneziani, e nello stesso anno viene nominato vicario imperiale. Finge dapprima grande amore allo zio e, rimasto vedovo, ne sposa la figlia, sua cugina Caterina. Caterina e Gian Galeazzo si sposano dunque il 15 novembre 1380 presso la chiesa di San Giovanni in Conca.  Il piccolo Azzone muore lo stesso giorno delle nozze, e a quanto pare lo zio non gli fa nemmeno le condoglianze. 

Ma Gian Galeazzo s’è legato tutto al dito e comincia a scavargli il terreno sotto i piedi. Dopo aver orchestrato una congiura insieme con i suoi consiglieri in modo da prevenire possibili reazioni dalle corti europee, in cui Bernabò aveva sistemato molti figli e figlie con opportuni matrimoni, Gian Galeazzo passa da Milano fingendo di recarsi a un pio pellegrinaggio al Sacro Monte di Varese. Aspetta lo zio alla pusterla di Sant’Ambrogio con una scorta di armigeri e là lo fa catturare e arrestare, insieme con due dei suoi figli maschi, nel 1387. Acquisisce la benevolenza dei soldati e del popolo permettendo il saccheggio del palazzo e dei tesori di Bernabò, che finisce con l’essere imprigionato nel castello di Trezzo sull’Adda dove muore. Poco prima di morire, la leggenda narra che fosse riuscito a incidere sul muro la frase: “Tal a mi qual a ti“… il cui significato è self-explanatory come direbbero gli anglosassoni.

Pochi sembrano ricordare questo dettaglio, ma a me ha sempre colpito che Gian Galeazzo non fosse soltanto il nipote di Bernabò, ma anche il genero, avendone sposato la figlia Caterina. Quest’ultima era stata promessa dapprima in sposa al re d’Inghilterra, ma le nozze erano andate a monte. Dei sentimenti della povera Caterina, vittima come tutte le donne di alto lignaggio che vengono scambiate come se fossero della merce, si sa poco a nulla. Dopo premesse tanto eccellenti per la sua vita matrimoniale, si ritrova sposata al mandante dell’assassinio di suo padre, in quanto pare che il veleno propinato nel piatto di fagioli di Bernabò, al castello di Trezzo, fosse dovuto alla mano amorevole del nipote e genero.

Il sangue del Diavolo continua tuttavia a scorrere nelle vene dei figli di Gian Galeazzo e Caterina, producendo esponenti degni di cotanta stirpe, come dimostra il duchino Giovanni Maria. Era noto per le sue efferatezze e viene assassinato davanti alla chiesa di S. Gottardo in Corte da un gruppo di congiurati, come raffigurato in questo olio su tela di Ludovico Pogliaghi in un’interpretazione dal sapore romantico tipicamente ottocentesca.

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Fonte:
Bernabò Visconti di Daniela Pizzagalli – Rusconi


Immagini:

  • Stemma visconteo. Wikipedia.
  • Affresco rappresentante i tre fratelli Visconti. Nell’ordine: Bernabò, Galeazzo e Matteo. Ultimo a sinistra, lo zio, l’arcivescovo Giovanni.
  • Incisione di Matteo II, opera di Eugenio Silvestri (1843?), tratta dal libro “Ritratti dei Visconti, Signori di Milano” di C. Pompeo Litta.
  • Galeazzo II Visconti di Cristofano dell’Altissimo.
  •  Danza di fronte al genio Amore (1420-30); miniatura tratta da Roman de la Rose, Vienna.
  • Gian Galeazzo Visconti, ritratto del 15° secolo attribuito ad Ambrogio de’ Predis.
  • Caterina Visconti con il marito Gian Galeazzo Visconti accanto a un cespuglio di rose.
  • La morte di Giovanni Maria Visconti nel 1412 di Ludovico Pogliaghi (1886).