Un paio d’anni fa Charlie Hebdo, un settimanale satirico francese dallo spirito caustico e irriverente, fu portato alla ribalta per l’eccidio di matrice terroristica di cui fu vittima. Il 7 gennaio 2015, attorno alle ore 11.30, un commando di due uomini armati con kalashnikov fece irruzione nei locali della sede del giornale, durante la riunione settimanale di redazione, sparando. Furono uccise dodici persone, tra le quali il direttore Stéphane Charbonnier detto Charb, diversi collaboratori storici del periodico e due poliziotti; altre quattro persone della redazione rimasero ferite. Pochi istanti prima dell’attacco, il settimanale satirico aveva pubblicato sul proprio profilo Twitter una vignetta su al-Baghdadi, leader dello Stato Islamico. Dopo l’attentato il commando, che durante l’azione gridò frasi inneggianti ad Allah e alla punizione del periodico Charlie Hebdo, fuggì, uccidendo per strada un altro poliziotto. Le pubblicazioni ripresero regolarmente solo il 25 febbraio 2015, con Riss come direttore responsabile.
Dopo l’ondata di iniziale simpatia e solidarietà con il settimanale, Charlie Hebdo perse rapidamente il favore dell’opinione pubblica continuando imperterrito con la linea che aveva sempre portato avanti, ovvero quella di non far sconti a nessuno. Uno degli esempi che ci indignò maggiormente fu la vignetta pubblicata il 2 settembre 2016, in seguito al terremoto di Amatrice in Italia, che causò 298 morti, dove le vittime del terremoto vengono raffigurate come fossero dei piatti di pasta, sotto il titolo Séisme à l’italienne. La domanda che tutti noi ci siamo posti in questi frangenti è se ci sia un limite alla satira, e dove possa collocarsi questo limite.
La Francia ha una lunga tradizione alle spalle nella pubblicazione di vignette satiriche. Durante la
Rivoluzione Francese la derisione e il dissenso si espressero soprattutto nei cosiddetti “libelli” ovvero pubblicazioni il cui autore era anonimo, dal contenuto diffamatorio e violento, e che circolavano tra il popolo in forma clandestina. Erano presi di mira soprattutto i personaggi più odiati: i ministri del re, gli esattori delle tasse, i membri della corte, i rappresentanti dell’alto clero che sfruttavano e affamavano il popolo o la cui condotta dispendiosa era un insulto ai miserabili. Nell’immagine qui sopra, potete vedere il Terzo Stato, raffigurato come un vecchio che si appoggia a un bastone, curvo sotto il peso di un rappresentante particolarmente grasso dell’Alto Clero e di un membro della nobiltà. Per terra vi sono delle quaglie e delle lepri, la cui caccia era vietata ai contadini.
Molto spesso però l’umorismo di scritti e immagini
non era raffinato, e a farne le spese era soprattutto la regina Maria Antonietta, raffigurata in stampe pornografiche mentre amoreggia con il suo favorito Hans Axel von Fersen, o con il marchese di Lafayette, che peraltro detestava, o impegnata in amori saffici con la sua amica duchessa di Polignac, come in quella che potete vedere qui sopra. Tra il 20 e il 21 giugno 1791 vi fu la fuga della famiglia reale, che venne riconosciuta a Varennes e riportata a Parigi; episodio che diede il colpo di grazia alla sua già traballante popolarità. In una stampa i reali furono rappresentati come dei maiali che vengono ricondotti nel porcile; la coppia reale veniva anche trasformata in una mostruosa bestia bicefala.
Nemmeno il regime del Terrore fermò la stampa satirica, che anzi prese come bersaglio privilegiato Maximilien Robespierre. Potete vederlo nella stampa a colori mentre è intento a cucinare munito di lente d’ingrandimento, per togliere dal brodo tutti gli elementi sospetti ovvero controrivoluzionari. A furia di fare piazza pulita degli oppositori, alla fine Robespierre si ritroverà da solo e potrà ghigliottinare soltanto il boia Sanson (vedi la stampa in bianco e nero a destra).
A quei tempi però la satira non imperversava solo in Francia, ma anche nella nazione arcinemica per eccellenza: l’Inghilterra. Dopo aver accolto con favore l’inizio della Rivoluzione Francese, infatti, persino gli intellettuali inglesi più illuminati si resero conto che la stessa si stava rapidamente trasformando in un bagno di sangue. E la stampa inglese iniziò a prendere di mira i sanculotti e i patrioti con vignette feroci; quella che vi presento qui accanto è un esempio davvero blando. Nella scena sulla sinistra viene rappresentata la “libertà” francese, ovvero un sanculotto magro e orrido che si nutre di erbe rinsecchite, mentre sulla destra si può osservare la “schiavitù” inglese nella persona di un uomo corpulento, addirittura obeso, dalle guance e dalle labbra rosse, che si taglia una bella fetta di carne ben cucinata. Francamente non so chi dei due sia più repellente, ma è certo che in un’epoca dove si saltavano i pasti un giorno sì e l’altro pure, un messaggio del genere arrivava in pieno a pance e coscienze.
Il crescendo fu esponenziale e la controrivoluzione si scatenò con vignette che nulla hanno a che invidiare allo stile di Charlie Hebdo, come questa disegnata da James Gillray, Un Petit Souper à la Parisienne (1792), con una scena degna di un racconto dell’orrore dove una famiglia di patrioti cannibali, denutrita e seminuda, sta cucinando e mangiando se stessa in un tugurio.
Dopo Termidoro, ovvero la caduta di Robespierre, e dall’avvento del Direttorio e di Napoleone, sarebbero stati questi ultimi a diventare oggetto della satira più scatenata. Ma questa è un’altra faccenda, che va oltre il periodo storico cui è dedicata questa rubrica.
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Che cosa vi offende di più nella satira, se c’è? Secondo voi ci dovrebbero essere dei limiti alla dissacrazione e in che cosa consistono?
Come sempre le tue pagine sono una miniera di informazioni e di intelligenza e questa pagina, forse, le supera tutte. Ringraziandoti, ti lascio la mia opinione: se la satira è dissacrante, allora è proprio ciò che è "Sacro" ad essere preso di mira e quindi porre dei limiti sarebbe una contraddizione in termini; generalmente la satira ci piace quando colpisce i nostri stessi bersagli ma ci indigniamo quando tocca i nostri valori più cari.
Cara Nadia, grazie per il tuo commento a questo post, su cui in effetti ho lavoricchiato per un po' di tempo. Mio marito mi aveva consigliato di lanciarmi sui libelli pornografici nel periodo della Rivoluzione e non è detto che un giorno non lo faccia. 😉 Potrei avere un botto di visualizzazioni e commenti. Anche di questo articolo non posso lamentarmi.
La tua sottolineatura del termine "sacro" è, come al solito, filologicamente precisa. Il problema è che io posso non ritenere sacro il credo in cui sono cresciuta, ma qualche altra cosa che attiene alla mia sfera privata. Se avessi un figlio disabile o con una grave malattia che viene ridicolizzato dalla satira, sarebbe anche peggio.
Bella questa carrellata di vignette satiriche dei secoli scorsi. L'ultima, poi, è molto forte, un po' come quella delle lasagne all'italiana di Charlie Hebdo. Ho una posizione non di condanna nei confronti della satira, ma di distacco: non mi piace quella estrema, quella che fa riflettere partendo non da un pugno in pancia, ma proprio da una pugnalata. A me l'attività del giornale francese non piace. Capisco le ragioni sposate, ma ne prendo distanza: sì, per me, anche nella satira dovrebbe esserci un limite legato al buon gusto. Mai, però, immaginare di punire il superamento di tale limite con una condanna a morte, com'e accaduto nei fatti.
Ciao, Marina, vero che l'ultima vignetta è parecchio forte? Ero convinta che non ne esistessero di questo genere all'epoca, e quando l'ho vista non credevo ai miei occhi. Se pensiamo che le persone morivano proprio di fame… beh, forse il metro di paragone è disegnare una vignetta, oggi, sui bambini denutriti del Nord Corea o in Africa.
Anche a me non piace il tipo di satira di Charlie Hebdo, preferisco le vignette nello stile di Giannelli. Lui lavora di fioretto, ma è talmente pungente e geniale che raggiunge ugualmente il suo risultato. Forse anche più di certa satira, lascia il segno.
P.S. Ovviamente sono d'accordo con te: nessuno dovrebbe morire per una vignetta!
La satira è per sua natura offensiva. Non punta al ragionamento ma alla derisione. I capitalisti sono raffigurati come porci, gli ebrei come viscidi, gli italiani come magna magna. Non punta come il comico o l'ironia a svelare una contraddizione della società, non ha nulla di nobile o intelligente. È un attacco a una controparte, a una fazione, spesso a una minoranza impotente e già vessata.
Quelli che si sono indignati per la vignetta sul terremoto l'hanno fatto perché confondono satira e ironia. Cercano nella prima l'intelligenza della seconda. La satira vuole offendere, perciò non mi piace, perché non punta al ragionamento. Ė la parte degli istinti bassi della comicità becera. Come ben testimoni tu ha una lunga storia, e ha il diritto di esistere senza fare sconti a nessuno. Come dice un commento sopra, satira non dissacrante non è satira. Comunque non vuole educare nessuno. Islamici, terremotati, Donald Trump per un giornale satirico sono fonte di ispirazione allo stesso livello. Non mi ricordo di avere mai riso a una vignetta satirica.
Per esempio Forattini faceva vignette umoristiche, c'era un fondo di verità, di contraddizione che le rendeva nobili e intelligenti.Il contrario della satira (basta guardare le vignette che ai postato per rendersi conto delle differenze).
Ciao Helgado, grazie per il tuo intervento così preciso e articolato… e benvenuto nel blog! Con tutta probabilità deriva dagli sbeffeggi dei giullari medievali, a cui tutto o quasi era consentito. Con la differenza, però, che era l'unico strumento per prendersi gioco del potere, politico o ecclesiastico, senza incorrere in punizioni atroci. In questo senso aveva una funzione alta, di rivolta e contestazione, perché si metteva dalla parte del debole, della vittima, del povero e del perseguitato. Non è una differenza da poco, a mio parere!
Invece nella satira odierna sono tutti, "democraticamente", sullo stesso piano. Mi viene da pensare che, non esistendo paletti, ciascuna categoria, o ciascuna situazione, possa essere oggetto di lazzi: dal disabile al malato di sclerosi multipla, dall'obeso all'anoressico, dalla vittima di uno stupro a quella di una strage. Questo è ciò che fa male nella satira, il fatto di prendere di mira tutti indistintamente. Mi ricordo anche la copertina di Charlie Hebdo dopo gli attentati di Bruxelles, con Stromae e la domanda ripresa dalla canzone Papaoutai ("Papà, dove sei?), a cui piedi e braccia mutilati rispondono "Qui", "la", "e anche qua". Questo è non soltanto offensivo, ma anche inutile e stupido.
I limiti dovrebbero essere quelli imposti dal buon senso. Fare satira sulla morte di un innocente è disgustoso, eppure c'è chi lo fa (senza scomodare Charlie Hebdo, ricordo che su siti satirici nostrani come Nonciclopedia e Spinoza comparvero indecenti battute umoristiche sulla morte di Simoncelli… Per non parlare, in ambito di tifoserie calcistiche, certe vignette su facebook che inneggiano alla morte di giocatori o tifosi avversari…)
Io credo che la satira debba avere un limite e dovrebbe essere sanzionata quando lo supera. Se poi partono le solite polemiche pretestuose sulla "libertà di espressione", beh, la libertà tua finisce dove inizia la mia. Se irridi un morto innocente e dichiari che è "satira" per quanto mi riguarda meriti uno sputo in faccia… ed è satira anche quella, eh!
Ciao Ariano, grazie mille del commento. Non conosco questi siti satirici nostrani… per fortuna, forse! Le vignette che mi hai descritto non fanno altro che aumentare il grado di violenza già ben presente nella nostra società, e si sa che dalla parola all'azione il passo è breve. Alle volte mi chiedo se anche nel caso dei disegnatori satirici ci sia qualcosa che possa ferirli nel profondo. Nessun essere umano ha la pelle talmente rinocerontica da essere impermeabile a qualsiasi cosa.
Beh, io vedo una netta differenza tra le vignette di Charlie e ciò che hanno fatto (e fanno) certe tifoserie calcistiche. Mi riferisco a chi ha inneggiato alle vittime juventine dell'Heysel e a quelle granata di Superga (per tace di Vincenzo Paparelli). Quella non è ironia e non è nemmeno sarcasmo…. quella è apologia di strage, e come tale dovrebbe essere classificata come reato.
La vignetta di Charlie sulla valanga personalmente l'ho letta come una pesante critica all'italianità (quella di costruire a ca##o, spesso abusivamente, dove non sarebbe il caso). Capisco però che di fronte alla perdita di vite umane, specialmente quella dei propri cari, si fa fatica ad accettare qualunque voce fuori dal coro.
Ciao, TOM, grazie del tuo contributo. Non avevo pensato alle tifoserie calcistiche e all'esultanza per le vittime della controparte; o anche a certi striscioni che di satireggiante hanno poco o nulla. Mi ricordo anche la "coda" che seguì nell'ambito delle polemiche sulle vignette di Charlie Hebdo. Pubblicarono un'altra vignetta che voleva in qualche modo giustificare la precedente, con una persona maciullata dal terremoto che, emergendo dalla terra, diceva: "Italiani… Non è Charlie Hebdo che costruisce le vostre case, è la mafia!"
Credo che oggi come oggi il pubblico consideri satira due generi molto diversi tra loro, uno più insolente, trasgressivo e volutamente più mordace e volgare, l'altro più sottile e contenuto nei suoi registri espressivi. In realtà, solo il primo rientra a pieno titolo nella satira, mentre l'altro afferisce all'ironia. E la satira non può essere imbrigliata, è dissacrante per definizione, per cui anche polarizzante: la si ama o la si odia. Ma nessuno costringe a seguirla. Se non la si gradisce, basta ignorarla. In sintesi: io non metterei bavagli o limiti proprio a nessuno.
Grazie del tuo parere, Clem. Nella prima parte hai espresso sostanzialmente lo stesso concetto di Helgado, ovvero che satira e ironia sono due registri linguistici differenti. Mi viene in mente anche la stessa differenza che intercorre, a livello verbale, tra il sarcasmo, che è pesante e offensivo, e l'ironia, che è raffinata, colta e sottile. Spesso l'ironia è imparentata con l'umorismo: quest'ultimo diverte chi lo esercita e lo stesso avviene nella controparte. Nello stesso tempo ha il pregio di sdrammatizzare situazioni che non sono per nulla tragiche.
La penso esattamente come Ariano, fare satira su morti innocenti non mi sembra assolutamente di buon gusto, io credo nel potere delle parole e so che possono ferire come coltelli. Per questo credo che debba esserci un limite. Come al solito il tuo post è interessantissimo.
Hai detto bene, Giulia, le parole hanno un potere non indifferente specialmente se sono scritte! Nella nostra società dove tutti scrivono di pancia, e senza filtrare nulla, sarebbe importante anche recuperare questo peso specifico delle parole. Le parole scritte sono nude perché non sono accompagnate dallo sguardo, dal tono di voce, dai gesti che possono fare la differenza. Basta vedere le risse che scoppiano sui social – che tra parentesi stanno pure cominciando a stancarmi (parlo di Facebook perché ho solo quello). Grazie per l'apprezzamento! 🙂
Post come sempre ricchissimo di spunti e molto piacevole da leggere.
La libertà di satira è una delle cifre della democrazia. Posso offendermi per delle vignette, posso trovarle di pessimo gusto, ma è sacrosanto che possano essere prodotte e diffuse (poi che una cosa si possa fare è un conto, sta al buon gusto del vignettista decidere se si debba farla).
Grazie mille per il commento, Tenar. Una cosa è sicura, è che una volta si finiva dei guai per cose che adesso verrebbero considerate delle inezie. Un esempio celebre è la vignetta di Guareschi del 1950 sul presidente Einaudi, che venne ritratto tra due file di bottiglie di Nebiolo di sua produzione come fossero stati dei corazzieri. Il disegnatore si fece un anno di carcere. Se accadesse oggi, Crozza come minimo sarebbe un pluriergastolano!
Ciao Cris, volevo scriverti un commento ma ho letto che Ariano mi ha preceduto dicendo esattamente le stesse cose che ti avrei detto io.
Satira è dissacrazione, ok, però ci sono limiti che dovrebbero essere non superati. Il buonsenso dovrebbe sempre essere in "funzione".
Grazie mille di essere passata, Pat. Sono d'accordo con te e Ariano, anche a me non piace certa satira che trovo insultante o, peggio ancora, stupida. Come diceva Fouché a proposito dell'esecuzione del duca d'Enghien a Vincennes, frase anche riportata nelle sue memorie: "È peggio di un crimine: è un errore politico." Il problema è che il "buon senso" e il "buon gusto" variano molto da individuo e individuo, e c'è anche chi non ne ha affatto, purtroppo!
Non so quanti di voi si ricordano che anche noi un tempo, negli anni '70, avevamo il nostro Charlie-Hebdo. Si chiamava "Il Male" e io lo acquistavo ogni settimana, come anche molti dei miei amici. La coeva rivista di fumetti underground "Cannibale" gli si avvicinava molto come spirito, anche perché alcuni suoi autori lavoravano in entrambe le pubblicazioni. Poi le acque, da questo punto di vista, si sono calmate qui in Italia e lo spirito che animava le pubblicazioni anni '80 era già diverso.
Ciao, Ivano! Non ho mai sentito nominare queste pubblicazioni, dunque lascio la parola a chi ne sa qualcosa. Grazie del tuo commento e a presto.
Scusate se mi intrometto.
Ricordo "Il Male", ci lavorava anche Vauro, che non è certo uno dalla mano leggera. Tuttavia, è impensabile che in democrazia tutte le opinioni si presentino appiattite e omologate ad un pensiero unico. Non c'è nulla di più aberrante. La libertà di parola, e quindi anche di satira (anche se talvolta è stupidamente spietata), è fondamentale. Senza libertà di opinioni la democrazia è solo finzione. Ho letto diversi commenti che alludono al bisogno di porre dei limiti alla satira e mi chiedo: chi dovrebbe decidere su quali temi si può far satira e su quali no? E cosa significa appellarsi al buon senso? Chi regolamenta il buon senso? Vogliamo davvero demandare alla legge la scelta di cosa sia meritevole di essere pubblicato, dipinto, cantato, recitato,…?
Benvenuta sia la tua intromissione! Approfitto per dirti che ho eliminato il tuo commento eliminato, e quindi non ho fatto censura. 😉
Mi è venuto in mente ora il celebre settimanale satirico Cuore di Michele Serra. Mi pare uscisse negli anni Ottanta – quelli famosi – in quanto ricordo che andavo a lavorare, e lo compravo insieme a una mia collega. Mi divertiva molto, specialmente alcune rubriche come "Botteghe oscure" con i negozi dalle insegne becere; alcune strisce un po' meno, ma nel complesso mi piaceva.
E hai fatto bene a eliminarlo perché era il doppione del mio precedente commento 🙂
Mi premeva solo mettere in luce che la libertà di espressione è sacrosanta, per chiunque, e va difesa a tutti i costi (e qui mi ritrovo perfettamente in linea con Gloria), perché anche laddove le nostre opinioni cozzano contro altre, esistono vie alternative da percorrere prima di invocare l'introduzione di barriere (che poi, fissate le asticelle, queste fatalmente potranno essere spostate di volta in volta). Rifacendomi, quindi, al tuo ricordo della lettura di "Cuore", basta promuovere ciò che piace e bocciare ciò che disturba 😉
Concludo con vivissimi complimenti, per la scelta del tema di questo post e per l'ottimo trattamento che ne hai fatto *_*
E meno male che ci sono i blog ben frequentati, cara Clem, perché non oso immaginare trattare un argomento del genere su "faccialibro", come dice Ivano. Sarebbe la volta buona e chiuderei la pagina.
Proprio stamattina ho letto dei commenti orripilanti su quella mamma che ha dimenticato la bimba in macchina ieri ad Arezzo; è orribile la faciloneria con la gente assume questo atteggiamento perennemente "giudicante" sui social (della serie: "a me non capiterebbe mai" ovvero "io sono meglio di te"). Sono persone che normalmente sono anche posate, ma esce loro di bocca il peggio. Io invece mi metto nei panni di quella mamma, è terribile quello che è accaduto a lei e alla sua bambina. Bisogna tornare alla compassione, "patire con gli altri".
Per completare il discorso sulla satira rivoluzionaria, non bisogna nemmeno dimenticare che all'epoca per pubblicazioni del genere si rischiava l'arresto e la galera, come minimo. Infatti gli autori si nascondevano dietro pseudonimi oppure pubblicavano anonimi. Bastava poco e partiva la cosiddetta lettre de cachet e si finiva in carcere.
Guarda, Cri, questa è un'isola felice, frequentata benissimo. Su faccialibro (simpatico!:) sarebbe stato un disastro, perché è pieno di persone giudicanti e cariche di aggressività. Tornando, invece, alla Rivoluzione, concordo che c'era poco da scherzare, ma ancora ai giorni nostri ne abbiamo viste di prepotenze. Certo, non da finire in carcere, però ci sono state espulsioni storiche: da Fo e Rame, nel '62, per aver citato le morti dei lavoratori edili, e che han potuto rimetter piede in Rai solo dopo 15 anni, al più recente "editto bulgaro", che ha dato un colpo di spugna a Luttazzi (per non parlare di Biagi e Santoro)…
Giusto, Fo e Rame cacciati sono un esempio celeberrimo. Mi viene in mente anche la battuta di Grillo sui socialisti durante Fantastico 7 nel 1986: «Se in Cina sono tutti socialisti a chi rubano?». Per questa battuta fu allontanato anche lui dalla Rai per anni.
Non mi offende mai la satira, posso non capirla o non condividerne intenzioni e contenuti nello specifico. Mi irrita molto di più la sua strumentalizzazione a fini politici o di consenso di vario tipo.
Quello che offende me o diciamo ciò che per me è "al limite", può non esserlo per l'Altro: qui si tocca la sfera personale e più intima, si va oltre l'appartenenza a una religione, a un paese, a un credo ideologico. Perciò stesso concordo con Clementina e il suo acutissimo commento qui sopra. Altrimenti dovremmo vietare pressoché qualsiasi espressione delle nostre idee.
Fantastica la carrellata che ci hai offerto nel post! *_*
Grazie infinite del tuo contributo, Glò. Quando dici "Mi irrita molto di più la sua strumentalizzazione a fini politici o di consenso di vario tipo." intendi un comico che fa un qualsiasi sketch e un rappresentante politico, magari della controparte, che se ne impadronisce?
La Rivoluzione Francese è modernissima anche in questi "poster" di contestazione politica e sociale. Più approfondisco il periodo e più mi stupisco come spesso non ci sia alcuna differenza! E' stupefacente.
Ti dirò, finché si tratta di "scontro alla pari", una sorta di contro-satira non mi disturba affatto, è espressione libera.
Intendo quando si cavalca l'onda populista per veicolare in qualche modo l'opinione comune, e secondo me le vignette CH sono state utilizzate anche dai nostri politici in questo modo: proporre un feroce ban perché quella vignetta "DICE" quello, non ammettere di aver capito in parte, di essere particolarmente suscettibili per un tabù – la morte – e quindi non accettare un messaggio diverso. Finché rimane a livello personale è lecitissimo, ma sapere che un Comune italiano intraprende azioni legali contro la satira… io cinicamente penso che ci sian ben altro sotto 😛 E questo è un esempio soltanto, non che in passato la Politica non si sia affannata contro i vari "Vauro". Tristezza.
Adesso ho capito… sì, ho ben presente il triste "modello" politico cui fai riferimento. Peraltro sono quelli che fanno di tutta l'erba un fascio. E si stracciano le vesti, sottolineando il fatto di cronaca soltanto quando conviene a loro e passando sotto silenzio gli episodi (molti) che sconfesserebbero le loro statistiche. Un Comune italiano che intraprende azioni legali contro la satira fa specie. Se poi si nota, i dittatori o dittatorelli sono molto permalosi, e difficilmente tollerano il dissenso e la caricatura.
La satira è estremismo per sua propria natura, altrimenti sarebbe ironia ed è impensabile recintata con i paletti del "buon gusto" per il semplice fatto che non si possono mettere paletti al libero pensiero se non al costo di cadere in una dittatura.
Non piace? Nessuno è obbligato a nutrirsene.
E poi è una sana valvola di sfogo per certe tensioni interiori che altrimenti non farebbero altro che aumentare fino ad esplodere! Che la satira sia benedetta! Un abbraccio
Grazie a te di essere passata da queste parti, Elisabetta, e di aver lasciato il tuo parere! A quanto pare l'argomento accende gli animi, in una bella discussione che sono contenta di aver stimolato con il mio pezzettino di Storia francese. A presto.
Maria Antonietta offrì spunti a non finire alla satira del tempo.
Bellissimo articolo, devo ricordarmene per il nuovo anno scolastico. 🙂
Concordo con Helgaldo, la satira non punta al "politicamente corretto" ma a provocare, lavora in modo anche scorretto sulle coscienze, vuole essere volgare e controversa.
Ai tempi dell'attacco alla redazione francese, ammetto, restai inorridita e mi schierai apertamente col diritto di satira. Fu una reazione istintiva. Poi col tempo guardai meglio e vidi decine di vignette offensive anche della religione cristiana, con pose sconce di Cristo, di Dio, insomma volutamente orrende. Non ci trovai nulla che mi inducesse alla riflessione, così mi convinsi che buona parte della loro attività è finalizzata esclusivamente alla provocazione fine a se stessa, a un esserci che smentirebbe perfino gli intenti della satira almeno delle origini.
Credo che il diritto di satira sia sacrosanto, ma non mi piace sempre e non mi piace tutta.
Grazie per aver considerato un possibile utilizzo dell'articolo nel prossimo anno scolastico. 🙂
Penso che la tua reazione alla strage della redazione di Charlie Hebdo sia stata comune a molti di noi, me inclusa. Sull'onda dello slogan "Je suis Charlie" un noto quotidiano italiano stampò anche un volumetto di vignette di noti disegnatori, abbinato al giornale, i cui proventi sarebbero andati ai parenti delle vittime. Peccato che poi alcuni disegnatori protestarono perché le loro vignette erano state usate senza che fossero stati minimamente interpellati. Insomma, ci fu un ulteriore strascico di polemiche, sebbene di tipo diverso.
Anch'io fui infastidita da quelle vignette offensive sulla religione cristiana. Ciò non toglie che, come te, penso che tutti dovrebbero esprimersi come meglio credono, senza ostacoli e soprattutto senza rischiare la vita.
Premessa: al liceo (sì è serata se hai letto prima l'altro commento :P) ho fatto la "pazzia" di comprare, per sfizio tutto mio, le Satire di Giovenale (in latino con traduzione a fronte). Ero rimasto affascinato da una frase in particolare: difficile est saturam non scribere. Probabilmente ben si sposava con il mio essere un po' cinico e dissacratore a tratti.
Quando è avvenuto il fattaccio in Francia, la rete si smosse in maniera virale: tutti con le bandierine sul profilo e il famoso hashtag "jesuisCharlie", io no. Non perché il fatto non mi avesse scosso, delle torri gemelle in poi la paura di nuovi attacchi era ben chiara nel mio immaginario, ma mi son fermato a riflettere sulle conseguenze di quel tipo di manifestazione. Poi ho incrociato alcune becere vignette sulla Trinità (e non sono propriamente religioso), sul razzismo, e mi sono fatto l'idea che un semplice hashtag avrebbe avuto risultati fuorvianti, come poi dimostrato dai fatti successivi. A Charlie dei "nostri" #jesuis non è interessato poi molto e, con la scusa infima della satira, ha continuato a pubblicare -permettetemi- porcate.
Il confine tra satira e buon gusto è labile, tanto quanto quello tra sarcasmo e ironia. E tutto si riconduce, a mio parere, all'intelligenza che c'è dietro dette manifestazioni. La libertà di espressione non c'entra nulla, è solo un'altra scusa becera per fare un po' quello che si vuole: "eh, ma l'articolo 21!", tutti conoscono il numerillo, ma non l'ha letto nessuno, è palese.
Concludo rispondendo alle tue domande.
Ciò che mi offende nella satira, ma vale in generale per me, è sicuramente il manifestarsi della mancanza di intelligenza (e logica) dietro alcune scelte, ma anche l'intenzione e il fine con cui le si fanno.
Per quello che riguarda i limiti, un professore del mio papà era solito dire, più o meno: la libertà di ognuno è la possibilità di tirare pugni in aria, finisce quando colpisci qualcuno. Da qui si potrebbe anche introdurre il discorso sul prendersi la responsabilità delle proprie azioni, ma varrebbe la pena quando sappiamo che c'è l'articolo 21? 😉
Sìsì, ho letto l'altro commento al post… sei proprio ispirato! Ben vengano questi momenti-mementi nostalgici! 🙂 Mi ricordo benissimo le iniziative virali in rete, anche perché avevo partecipato anch'io con #jesuisCharlie su Fb, per una volta contravvenendo a una delle mie regole sui social, ovvero: a) non parlare di politica; b) non parlare di religione; c) perché è inutile e controproducente. Più sopra infatti commentavo che una discussione su un post come questo, sui social, avrebbe prodotto un bagno di sangue stile Rivoluzione con scambio di insulti feroci. E' inutile, sui social esce "l'incivile che c'è in te", e non lo tieni a freno tanto facilmente una volta che si è scatenato. Credo dipenda dalla facilità di scrittura e del click conseguente, e dal fatto che le bacheche si assomiglino un po' tutte, in fin dei conti. Quindi se uno vede qualcosa che gli dà fastidio, si precipita a corpo morto a commentare.
Da quanto leggo appartieni al gruppo di coloro che preferirebbe che si usasse comprendonio e intelligenza nell'uso della satira. Però, appunto, il confine tra satira e buon gusto è labile e quello che offende me potrebbe non offendere altri. Nello stesso modo, ci sono popoli più "permalosi" in quanto non hanno attraversato il processo di democratizzazione europeo.
Per quanto riguarda l'articolo 21, proporrei una "verifica a sorpresa" sul grado di conoscenza di coloro che lo invocano… così rimaniamo anche in tema dei nostri ricordi liceali. 😉