Un paio d’anni fa Charlie Hebdo, un settimanale satirico francese dallo spirito caustico e irriverente, fu portato alla ribalta per l’eccidio di matrice terroristica di cui fu vittima. Il 7 gennaio 2015, attorno alle ore 11.30, un commando di due uomini armati con kalashnikov fece irruzione nei locali della sede del giornale, durante la riunione settimanale di redazione, sparando. Furono uccise dodici persone, tra le quali il direttore Stéphane Charbonnier detto Charb, diversi collaboratori storici del periodico e due poliziotti; altre quattro persone della redazione rimasero ferite. Pochi istanti prima dell’attacco, il settimanale satirico aveva pubblicato sul proprio profilo Twitter una vignetta su al-Baghdadi, leader dello Stato Islamico. Dopo l’attentato il commando, che durante l’azione gridò frasi inneggianti ad Allah e alla punizione del periodico Charlie Hebdo, fuggì, uccidendo per strada un altro poliziotto. Le pubblicazioni ripresero regolarmente solo il 25 febbraio 2015, con Riss come direttore responsabile.

Dopo l’ondata di iniziale simpatia e solidarietà con il settimanale, Charlie Hebdo perse rapidamente il favore dell’opinione pubblica continuando imperterrito con la linea che aveva sempre portato avanti, ovvero quella di non far sconti a nessuno. Uno degli esempi che ci indignò maggiormente fu la vignetta pubblicata il 2 settembre 2016, in seguito al terremoto di Amatrice in Italia, che causò 298 morti, dove le vittime del terremoto vengono raffigurate come fossero dei piatti di pasta, sotto il titolo Séisme à l’italienne. La domanda che tutti noi ci siamo posti in questi frangenti è se ci sia un limite alla satira, e dove possa collocarsi questo limite.

La Francia ha una lunga tradizione alle spalle nella pubblicazione di vignette satiriche. Durante la
Rivoluzione Francese la derisione e il dissenso si espressero soprattutto nei cosiddetti “libelli” ovvero pubblicazioni il cui autore era anonimo, dal contenuto diffamatorio e violento, e che circolavano tra il popolo in forma clandestina. Erano presi di mira soprattutto i personaggi più odiati: i ministri del re, gli esattori delle tasse, i membri della corte, i rappresentanti dell’alto clero che sfruttavano e affamavano il popolo o la cui condotta dispendiosa era un insulto ai miserabili. Nell’immagine qui sopra, potete vedere il Terzo Stato, raffigurato come un vecchio che si appoggia a un bastone, curvo sotto il peso di un rappresentante particolarmente grasso dell’Alto Clero e di un membro della nobiltà. Per terra vi sono delle quaglie e delle lepri, la cui caccia era vietata ai contadini.


Molto spesso però l’umorismo di scritti e immagini
non era raffinato, e a farne le spese era soprattutto la regina Maria Antonietta, raffigurata in stampe pornografiche mentre amoreggia con il suo favorito Hans Axel von Fersen, o con il marchese di Lafayette, che peraltro detestava, o impegnata in amori saffici con la sua amica duchessa di Polignac, come in quella che potete vedere qui sopra. Tra il 20 e il 21 giugno 1791 vi fu la fuga della famiglia reale, che venne riconosciuta a Varennes e riportata a Parigi; episodio che diede il colpo di grazia alla sua già traballante popolarità. In una stampa  i reali furono rappresentati come dei maiali che vengono ricondotti nel porcile; la coppia reale veniva anche trasformata in una mostruosa bestia bicefala.

Nemmeno il regime del Terrore fermò la stampa satirica, che anzi prese come bersaglio privilegiato Maximilien Robespierre. Potete vederlo nella stampa a colori mentre è intento a cucinare munito di lente d’ingrandimento, per togliere dal brodo tutti gli elementi sospetti ovvero controrivoluzionari. A furia di fare piazza pulita degli oppositori, alla fine Robespierre si ritroverà da solo e potrà ghigliottinare soltanto il boia Sanson (vedi la stampa in bianco e nero a destra).

A quei tempi però la satira non imperversava solo in Francia, ma anche nella nazione arcinemica per eccellenza: l’Inghilterra. Dopo aver accolto con favore l’inizio della Rivoluzione Francese, infatti, persino gli intellettuali inglesi più illuminati si resero conto che la stessa si stava rapidamente trasformando in un bagno di sangue. E la stampa inglese iniziò a prendere di mira i sanculotti e i patrioti con vignette feroci; quella che vi presento qui accanto è un esempio davvero blando. Nella scena sulla sinistra viene rappresentata la “libertà” francese, ovvero un sanculotto magro e orrido che si nutre di erbe rinsecchite, mentre sulla destra si può osservare la “schiavitù” inglese nella persona di un uomo corpulento, addirittura obeso, dalle guance  e dalle labbra rosse, che si taglia una bella fetta di carne ben cucinata. Francamente non so chi dei due sia più repellente, ma è certo che in un’epoca dove si saltavano i pasti un giorno sì e l’altro pure, un messaggio del genere arrivava in pieno a pance e coscienze.

Il crescendo fu esponenziale e la controrivoluzione si scatenò con vignette che nulla hanno a che invidiare allo stile di Charlie Hebdo, come questa disegnata da James Gillray, Un Petit Souper à la Parisienne (1792), con una scena degna di un racconto dell’orrore dove una famiglia di patrioti cannibali, denutrita e seminuda, sta cucinando e mangiando se stessa in un tugurio.

Dopo Termidoro, ovvero la caduta di Robespierre, e dall’avvento del Direttorio e di Napoleone, sarebbero stati questi ultimi a diventare oggetto della satira più scatenata. Ma questa è un’altra faccenda, che va oltre il periodo storico cui è dedicata questa rubrica.

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Che cosa vi offende di più nella satira, se c’è? Secondo voi ci dovrebbero essere dei limiti alla dissacrazione e in che cosa consistono?