Il mio articolo sugli sceneggiati storici Rai, ovvero Marco Visconti, La baronessa di Carini e Delitto di Stato (qui il link) aveva avuto un ottimo riscontro, e mi ero ripromessa di rivedere, o vedere ex-novo, alcuni di questi sceneggiati Rai, ora tutti facilmente reperibili su Youtube, in modo da poter continuare a parlarne con cognizione di causa. Anche il successivo post sullo sceneggiato perduto I Giacobini (qui il link) è stato molto gradito. Così in questi mesi mi sono fatta una bella scorpacciata!

Partiamo dunque con quelli che ho ribattezzato i mystery secondo un mio personale criterio, e che contengono tutta la materia esoterica, colta e simbolica che molto mi appassiona, e che viene unita in una trama avvincente e meravigliosamente orchestrata. Si incomincia a furor di popolo con il più bello di tutti:

1. Il segno del comando (1971)


Lo sceneggiato è stato diretto da Daniele D’Anza, e prodotto dalla Rai nel 1971 in cinque puntate con un cast di attori strepitosi, come Ugo Pagliai, Carla Gravina, Massimo Girotti, Rossella Falk, Paola Tedesco solo per citarne alcuni.

Lancelot Edward Forster (Ugo Pagliai) è un professore di letteratura inglese presso l’università di Cambridge. Ha scoperto per caso un inedito diario di Lord Byron, scritto durante il soggiorno romano del 1817, e sta lavorando alla traduzione, di cui ha pubblicato la prima parte su una prestigiosa rivista letteraria inglese. In un passo del diario, Byron ha annotato una frase inquietante ed enigmatica: «21 aprile 1817, notte, ore 11. Esperienza indimenticabile, luogo meraviglioso, piazza con rudere di tempio romano, chiesa rinascimentale, fontana con delfini, messaggero di pietra, musica celestiale, tenebrose presenze».

La pubblicazione del diario ha attirato nel frattempo l’attenzione di George Powell (Massimo Girotti), addetto culturale dell’ambasciata inglese a Roma, che invita Forster a tenere una conferenza presso il British Council in occasione della settimana byroniana. Per combinazione il professore riceve anche un secondo invito a recarsi nella Città Eterna, da parte di un misterioso pittore, un certo Marco Tagliaferri, che gli invia una fotografia della piazza citata da Byron, sfidandolo a trovarla.  
La prima puntata inizia dunque con l’arrivo del professor Forster a Roma, dove si reca innanzitutto presso lo studio di Marco Tagliaferri. Là incontra la bellissima modella del pittore, Lucia (Carla Gravina), che lo invita a un appuntamento serale alla scalinata di Trinità dei Monti per condurlo poi a cena alla Taverna dell’Angelo. Nel frattempo, il professor Forster scopre con sgomento che Tagliaferri è morto da cento anni
Vi assicuro che vedere questo sceneggiato per la prima volta è stata pura emozione, e parla una persona che ha visto centinaia di film. È ammaliante e anche di più, come la sua protagonista femminile, una Carla Gravina bella e sensuale con gli occhi splendenti di una donna innamorata, eppure sfuggente e misteriosa come nella sigla iniziale, dove corre per le strade di una Roma notturna, sostando ogni tanto per voltarsi come per invitare Ugo Pagliai a seguirla. La città diventa un labirinto costellato di simboli e indizi che si presentano nella maniera più inattesa. Si tratta di un linguaggio di oggetti (una collezione di orologi che non devono mai smettere di ticchettare, pena la morte del proprietario, monili dai grandi poteri su cui tutti cercano di mettere le mani, quadri che presentano inquietanti rassomiglianze con i viventi…), indizi di una ricerca che sempre riconduce all’immagine del cerchio, ovvero all’eterno ritorno del pittore Tagliaferri. 
Nello sceneggiato vi sono notazioni colte, come le poesie di Lord Byron, sulfureo poeta inglese che appunto soggiornò a Roma, o come il Salmo XVII della doppia morte, sonata per organo di Baldassarre Vitali, compositore realmente esistito, in un gioco continuo di rimandi che irretisce lo spettatore, e lo incanta. Lentamente si comprende che i personaggi in qualche modo sono tutti collegati, i maggiori come i minori, e che molti di loro non sono quello che sembrano. Vi è un continuo cambio di maschere e di ruoli, e la bonomia lascia spazio alla crudeltà, mentre l’apparenza minacciosa può costituire un aiuto. Una ricerca che, passo dopo passo, conduce Forster all’abbacinante rivelazione finale, quella logica e razionale… o forse no. Quello che è certo è che il binomio amore e morte detta la sua ultima parola.

La realizzazione di questo finale fu alquanto travagliata. Sarebbero state preparate cinque versioni (notizia però non confermata da D’Agata), ma comunque Daniele D’Anza fu costretto a cambiarlo su pressione di alcuni attori. Di questo travaglio produttivo non si coglie alcun segno in questo meraviglioso sceneggiato. Non bisogna dimenticare nemmeno la sigla finale, la suggestiva canzone Cento campane, scritta da Fiorenzo Fiorentini per il testo e da Romolo Grano per la musica, cantata da Nico Tirone, cantante del gruppo beat Nico e i Gabbiani. Mentre scorrono i titoli di coda, si intravedono in filigrana le carte dei tarocchi, e in special modo quella del Diavolo. Il disco ebbe un buon successo di vendite, anche se il brano è noto soprattutto nella versione successiva di Lando Fiorini.

A voi vedere questo sceneggiato per scoprire che cos’è “il segno del comando” del titolo.

2. La dama dei veleni (1978)
L’unico difetto di questo sceneggiato Rai è la brevità! La storia si svolge infatti in tre puntate anziché nelle sei minime canoniche. Per il resto la trama non ha nulla a che invidiare a Il segno del comando, e annovera nel suo cast proprio Ugo Pagliai nel ruolo del protagonista maschile. Altri volti celebri sono Susanna Martinkova, Warner Bencivegna e Corrado Gaipa. La regia è di Silverio Blasi. La sceneggiatura è tratta dal romanzo The Burning Court (1937) o La Camera Ardente di John Dickson Carr, ovvero il nome di un tribunale francese speciale, investito di poteri straordinari per giudicare reati eccezionali, la cui sala delle udienze era illuminata in continuazione, anche di giorno, con fiaccole.
Nella prima puntata Dario Gherardi (Ugo Pagliai), dirigente di una casa editrice specializzata in editoria esoterica, incontra a Parigi Marie D’Aubray (Susanna Martinkova), una ragazza franco-canadese. La ragazza sta fissando come incantata la facciata di un palazzo e ha al polso un braccialetto con il muso di un gatto. I due si innamorano immediatamente e, pur conoscendo poco o nulla del suo passato, Dario sposa Marie e la porta a vivere in una sua villa a Frascati. Un giorno Dario, che da Roma – dove ha sede la casa editrice – sta tornando a casa in treno per il fine settimana, si ritrova a sfogliare un libro del criminologo Guido Santacroce (Corrado Gaipa), che mostra il ritratto di una dama francese dell’800 ghigliottinata per veneficio. Il viso della dama mostra un’inquietante rassomiglianza con quello della moglie. 
Arrivato a casa affronta l’argomento con Marie, ma viene interrotto dall’arrivo del vicino di casa, Carlo Desgrez (Warner Bencivegna), che comunica alla coppia che il ricco zio non è morto di gastrite, come supponevano, ma sospettano che sia stato avvelenato. L’intento del nipote è quello di riaprire la tomba per cercare tracce e reperire quello che in gergo si chiama “la scala della strega”, ovvero una cordicella con nove nodi. Infatti i Desgrez hanno dimestichezza con i casi di stregoneria nella loro storia familiare: in casa esiste persino il ritratto di una famosa avvelenatrice, Marie-Madeleine d’Aubray, marchesa di Brinvilliers, vissuta nel 1600, arrestata e torturata da un inquisitore membro dei Desgrez, e condannata ad essere bruciata viva. Peccato che il ritratto appeso in casa abbia il viso asportato e quindi dai lineamenti irriconoscibili, ma reca al polso un braccialetto identico a quello sfoggiato da Marie. E Marie è terrorizzata alla vista di un semplice imbuto, strumento con cui la marchesa di Brinvilliers venne sottoposta alla tortura dell’acqua…
Di particolare suggestione sono le vie di Frascati e il Parco dei Mostri di Bomarzo in provincia di Viterbo dove furono girate alcune scene. Insomma, un altro sceneggiato assolutamente da recuperare!
3. Ritratto di donna velata (1975)

Anche questo è uno sceneggiato di genere giallo, diretto da Flaminio Bollini, con protagonisti Nino Castelnuovo e Daria Nicolodi. Prodotto dalla Rai nel 1974, è andato in onda dal 31 agosto al 14 settembre 1975 in prima serata sul Programma Nazionale (l’odierna Rai 1). Riuscì a catturare una audience altissima, risultando uno dei programmi televisivi italiani più visti di quell’anno. Per affinità di genere può essere accostato ad altri celebri sceneggiati gialli-fantastici prodotti dalla Rai in quel periodo quali A come Andromeda, ESP, Il fauno di marmo, Gamma e soprattutto Il segno del comando, con cui vi sono svariate similitudini.

L’azione si svolge in Toscana, tra Firenze e la zona di Volterra e coinvolge un giovane pilota collaudatore, e nobile spiantato, Luigi Certaldo (Nino Castelnuovo) alle prese con una misteriosa studentessa universitaria di archeologia, l’enigmatica Elisa (Daria Nicolodi), conosciuta a casa di un suo amico. La porta quindi a Volterra, dove si trova la villa della famiglia Certaldo e dove attualmente vive suo cugino Alberto, in quanto la ragazza deve svolgere delle ricerche nella zona per i suoi studi.

Volterra è nota per il museo etrusco e le svariate tombe, queste ultime oggetto di saccheggio da parte dei tombaroli; e, nel film, viene nominata una necropoli etrusca ancora da scoprire i cui ricchi corredi funerari assicurerebbero il possesso di un’enorme ricchezza. La vicenda prende subito a muoversi attorno al mistero legato a un’urna funeraria che nasconde le indicazioni per trovare l’ingresso a questa “città dei morti” di cui vogliono entrare in possesso i personaggi più loschi, anche legati alla malavita. Anche la famiglia Certaldo pare legata a filo doppio alla storia locale tramite l’inquietante cugino Giacomo, il cui viso è identico a quello di un antenato del 1700 in odore di negromanzia. Nella villa c’è anche un secondo ritratto, ovvero quello della donna amata dal marchese, il cui volto è però celato da un velo nero… Ma la realtà è spesso più incredibile della fantasia e anche questo finale ce lo confermerà in pieno. E i morti della necropoli non vanno disturbati, perché si vendicano sempre.

Gli attori sono tutti perfettamente calzanti nel loro ruolo. Nino Castelnuovo, ormai celebre per la sua interpretazione di Renzo ne  I Promessi Sposi, interpreta la parte di un giovane arruffone e spesso irritante. Il personaggio non ha il fascino e la nobiltà di quelli interpretati da Ugo Pagliai, e forse è giusto che sia così, in quanto la sua ingenuità gli permette di sopravvivere alle situazioni più rischiose, sebbene per il rotto della cuffia. Anche Daria Nicolodi, molto nota dopo il successo del film Profondo rosso, esprime in pieno il suo fascino magnetico e lunare, come di chi viva sotto un incantesimo. Molti bravi anche gli attori di contorno, che contribuiscono a rendere la trama avvincente fino alla fine.

Concludo con una curiosità sulla statuetta etrusca della sigla iniziale, detta anche “l’ombra della sera”. Essa rappresenta un dio benevolo e protettivo sulle cui labbra aleggia un lieve sorriso. Questa statuetta ha una linea così moderna che è stata molto spesso presa come pietra di paragone con le opere di Giacometti.

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Ma qual è il filo conduttore che lega questi tre sceneggiati? Ce n’è più di uno, ma il tema ricorrente è il concetto della reincarnazione, tema “scottante” nell’Italia di allora – e forse ancora oggi!


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Avevate visto questi sceneggiati all’epoca oppure vi piacerebbe vederli sulla base del post? Vi erano piaciuti e vi avevano fatto paura, specialmente La dama dei veleni?

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Fonti:

  • Wikipedia per le trame
  • Immagini in pubblico dominio